Il rapporto tra Schubert e l’opera è la storia di un amore non corrisposto. E’ quasi un paradosso che un compositore che dedicò larga parte del proprio catalogo alla musica vocale, riuscendo a curvare il canto ad ogni piega del sentimento umano, ed a concentrare in una manciata di minuti affetti e suggestioni, non abbia trovato un riscontro nel teatro musicale. Eppure Schubert vi si dedicò con passione e abnegazione: tra il 1811 ed il 1827 terminò ben undici lavori drammatici e ne lasciò incompiuti altri sette. Eppure solo quattro di essi raggiunsero la scena, lui vivente. E anche dopo la prematura scomparsa la sua produzione operistica rimase marginale. Le ragioni sono diverse. Innanzitutto Schubert, pur amando il teatro musicale (rimase folgorato dall’avvento di Weber e dal superamento dell’egemonia rossiniana a favore della neonata opera romantica tedesca) non riuscì mai a rapportarsi al suo ambiente: ne rimase sempre distante, incapace di trattare con burocrazia e impresari, gestire conti e cantanti, scendere a compromessi e patti con la censura e i committenti. Questo dipese, probabilmente, dal carattere schivo e appartato del compositore, portato all’idealizzazione della musica come valore trascendente e, quindi, inconciliabile con il mestiere dell’operista per cui si richiedeva una certa buona dose di cinismo e resistenza. Ma non solo di attitudine pratica mancò Schubert. Un primo ed evidente problema risiede nelle scelte dei librettisti: il compositore – per insicurezza, bisogno di protezione, eccessivo scrupolo – si rivolse sempre alla propria cerchia amicale, non riuscendo mai ad imporsi nella dialettica librettista/musicista e subendo più che altro acriticamente testi privi di vera vitalità teatrale. Queste ebbe un ovvio riflesso sulla musica, ma la “colpa” non è solo dello scarso valore dei testi: Schubert – nella sua visione utopica del teatro (e nella mancanza di apertura internazionale delle sue conoscenze operistiche: circoscritte a ciò che passava a Vienna) – intese il suo lavoro come mero compositore di musiche finalizzate ad accompagnare ciò che accadeva in scena e ad evocare sentimenti e suggestioni, senza mai rappresentarli, senza mai aver piena consapevolezza di un vero flusso drammatico. In questo senso il teatro musicale di Schubert non può essere definito come una raccolta di lieder slegati tra loro (conosceva bene la differenza tra generi), ma il compositore strutturò i suoi lavori come se si trattasse di un lied e quindi il testo rimase sempre slegato e marginale. Questo si traduce in una scrittura ricercata ed estremamente rifinita, ricca di situazioni e rimandi (a Mozart e Weber), ma invariabilmente monotona nell’evocare un senso di distacco narrativo. La vicenda – ispirata ai paladini di Carlo Magno, all’atmosfera della Chanson de Roland e allo scontro con i mori – offre anche spunti drammaturgia interessanti, ma l’insipienza del librettista non ne coglie appieno le potenzialità. Così come la musica di Schubert che si preoccupa di “riempire” lo spazio scenico prescindendo dalla dinamica e dal carattere dei personaggi che appaiono tutti irreali, idealizzati ed estranei alla vicenda narrata. Non mancano, tuttavia, singoli momenti in cui l’oggettiva bellezza della musica ne compensa la mancanza di teatralità: alcuni cori molto suggestivi (quello dei paladini prigionieri), l’ouverture, i concertati che chiudono gli atti, le arie di Emma e Florinda intrise di spirito liederistico, quelle di Carlo Magno. Schubert, comunque, non vide mai la sua opera in scena: la prima – programmata nel teatro di Barbaja a Vienna per la fine del 1823 – venne annullata visto lo scarso successo dell’Euryanthe di Weber e sparì. Qualche anno dopo la morte del compositore alcuni brani vennero eseguiti in concerto e poi, nel 1897, Felix Mottl ne propose una versione riveduta e ridotta. Salvo sporadiche e parziali riprese fu solo nel 1988 che Fierrabras venne eseguito nella sua veste completa e originale, grazie all’amore di Claudio Abbado per l’opera. E’ quindi un evento importante la prima volta alla Scala in uno spettacolo nel complesso riuscito. A tenere – molto bene – le fila del discorso è stato scelto il più talentuoso discepolo di Abbado, e ormai direttore di prima grandezza (forse solo a Milano non se ne sono accorti, vista la sporadicità delle sue apparizioni) Daniel Harding che ha fatto suonare magnificamente l’orchestra scaligera (persino i corni) con tinte malinconiche e romantiche, offrendo un’interpretazione intrisa di atmosfera liederistica, semplicità e pulizia, dando coerenza drammatica ad un lavoro comunque diseguale e poco omogeneo. Una lettura raffinata, ma non intellettualistica, anzi, ricca di abbandoni lirici e attenta a sottolineare le finezze della scrittura di Schubert senza scadere nel calligrafico. Il cast, nel complesso efficace (stante anche il modesto livello di difficoltà del testo), ha ben servito le intenzioni del podio: in particolare il Carlo Magno di Tomasz Konieczny e il Roland di Markus Werba. Bene anche Dorothea Röschmann nel ruolo di Florinda. Splendida la prova del coro, molto sollecitato nell’opera. Un discorso a parte lo merita la messinscena firmata da Peter Stein, già vista a Salisburgo. Stein, grande uomo di teatro, ma che con l’opera spesso non ha trovato il linguaggio giusto (come la brutta Aida e l’altrettanto brutto Flauto Magico passati anche a Milano), propone per Fierrabras una lettura essenzialmente fiabesca attraverso una messinscena che richiama le stampe ottocentesche a ricreare – con una scelta di toni in bianco e nero e l’uso sapiente delle luci – architetture e ambienti come scaturiti dalle pagine di vecchi libri illustrati del ciclo carolingio. Le scene, semplici e agili, hanno permesso rapidi cambi d’ambiente dando movimento alla staticità della vicenda. Molto belli i costumi giocati sui toni del bianco e dell’argento per i paladini e del nero per i mori. Meno convincente la regia dei personaggi, anche se il modo antico con cui agivano in scena – gesti ampi che richiamavano certi vecchi film di ambientazione medievale – contribuivano all’atmosfera fiabesca e cavalleresca. Il combinato disposto della lettura di Harding e della visione di Stein ha dato coerenza al lavoro di Schubert che – pur salutato da convinto apprezzamento – avrebbe meritato un maggior coinvolgimento da parte del pubblico comunque numeroso, nonostante la rarità del titolo. Una bella serata e uno spettacolo che merita: ci sono ancora 4 repliche.
Gli ascolti:
Overtüre – István Kertész (1963)
Duetto Emma – Carlo Magno (2014)
“Beschlossen ist’s, ich löse seine Ketten” – Fritz Wunderlich (1959)
Apertura atto II – Markus Werba (2014)
Fierrabras – opera completa – Claudio Abbado (1988)
Sarò onesto a me Schubert e i suoi lieder li ho sempre trovati una palla allucinante. Ovviamente non sto dicendo che non sa comporre perché sono indubbiamente geniali ma le melodie le trovo brutte brutte brutte a parte qualche eccezione che guarda caso si rifa al canto italiano almeno all’ascolto quindi melodia piana ed espressiva. Invece mi piacciono molto le sinfonie.
Rispondo subito per stoppare immediatamente una discussione che non vorrei portasse ad un ridicolo “processo” a Schubert. Fuori luogo e fuori tema. Salvo, ovviamente, il diritto di ciascuno d’avere il proprio gusto credo che ogni genere vada giudicato nel suo ambito. Schubert fu uno dei più grandi e complessi liederisti della storia della musica e la sua produzione è di assoluta grandezza. Ovviamente non è opera e cercarvi rimandi al canto “italiano” è sbagliato (sarebbe come criticare Caravaggio perché non dipinge come Piero della Francesca). E si arriverebbe alle assurdità che pure mi è capitato di leggere in questi giorni sul gruppo FB della Barcaccia in cui taluno ha definito una schifezza il Fidelio di Beethoven perché non è un melodramma in stile italiano (e pure ha definito brutto il Concerto Triplo, non so per quali ragioni questo…che poi basterebbe dire “non mi piace”, mica sparare sentenze in base a qualche regolino appresa in conservatorio).
Correttamente hai scritto un tuo parere personale, ma ho voluto puntualizzare prima che la discussione degenerasse
io vado ben oltre trovo tutti i lieder, escluso Strauss se lo cantano la Lehmann, la Schumann, una trippa insopportabile e ritengo la “povera Lina” di Capponi affidata all’Olivero poesia pura.
Quando parli con i tedeschi ti guardano dall’alto in basso perché si credono superiori musicalmente. Ricordo che uno dei più grandi compositori di cultura tedesca ossia Mozart si rifaceva alla scuola italiana.
Questo non è affatto vero: sia che Mozart si rifacesse ad una fantomatica “scuola italiana” né che i tedeschi ti guardino dall’alto in basso… Pregherei tutti di evitare i luoghi comuni e di tornare a parlare di Fierrabras. Se si vuole fare il tifo stile Italia-Germania prego rivolgersi al Bar Sport.
Va beh dai ridiamo un po’ su 😁 l’ho detto perché recentemente mi é successa questa cosa parlando con un collega austriaco appassionato come me di musica. Che si credano i detentori della musica questo é vero. Mozart ovviamente non era italiano però l’influsso é evidente basta ascoltare paisiello Cimarosa e forse salieri. Diciamo che le citazioni era prassi comune ma che buona parte di quelle sue siano italiane é un dato di fatto. Poi neanche io credo nelle scuole nel senso che ogni musicista é unico quindi diciamo scuola per indicare un contesto culturale.
Con questo però chiudiamo – davvero non voglio entrare in una assurda discussione su chi è meglio di chi e relativi deliri – la musica di Mozart si inserisce in un ambiente culturale e musicale differente da quello italiano. Basti pensare a sinfonie, concerti, musica da camera. L’ambiente in cui opera ha già superato l’opera seria e subisce l’influenza della riforma di Gluck e dell’opera francese. Poi sia Cimarosa che Paisiello erano compositori di livello internazionale e all’epoca le contaminazioni c’erano. Se però si parte dal presupposto che l’opera italiana sia geneticamente superiore ad ogni altro genere qui mi fermo, perché si passa al tifo. Ora però davvero si torni in argomento
Per me invece “Povera Lina” è cacca pura…come Tosti, Arditi, e immondizia varia. Detto questo – sicuro del fatto che non importi un tubo a nessuno delle nostre opinioni su tali argomenti – ricordo a me stesso che non si sta parlando dei Lieder di Schubert (opera somma della storia nella musica, nonostante i legittimi gusti contrari), ma di altra cosa. Quanto ai Lieder di Strauss non so che dire, salvo che l’autore detestava la Schumann-Heink: personalmente mi fido dell’autore.
Io di Frau tini
Concordo con Duprez, Fierrabras si compra le sue debolezze drammaturgiche con la bellezza musicale. E scusate se e’ poco, ma questa gentucola (Beethoven, Schubert, Weber…) che non scriveva l’opera “all’italiana”, lo faceva appositamente, proprio per cercare un’altra via. Il fatto che agli albori, questa forma non fosse ancora una macchina ben oliata, mi sembra pure normale.
Io voto opera all’ italiana e non per motivi patriottici, ma il tentativo di fare qualcosa che fosse diverso dall’ opera italiana (alla quale molti fra cui Weber pagarono ampio tributo) nasce proprio nel primo ventennio dell’ 800 e preciso che uno degli autori più fervente in questo senso fu un italiano ossia Nicolini, il cui Tebaldo era considerato il modello dell’opera anti-italiana. Oggi se ascoltiamo il Tebaldo facciamo fatica a capire
Perdonami, ma questo proprio no. Innanzitutto Nicolini non scrisse mai nessun Tebaldo (forse ti confondi con Morlacchi), poi che fosse il “fondatore” dell’opera anti italiana o tedesca è quanto meno bizzarro… Anche perchè già l’opera tedesca era segnata dai due singspiele mozartiani e dal Fidelio . Senza contare che l’opera italiana era già superata da Gluck e dalla riforma. Poi anche Mercadante venne giudicato (in Italia ovviamente) un maestro di contrappunto, cosa che faceva sbellicare dalle risa molti compositori tedeschi. Se però non si accetta che esistano linguaggi operistici differenti da quelli italiani e se si ritiene che tutto ciò che si distacca da essa sia frutto dell’errore…è cosa che attiene più alla religione che ad una discussione. Discussione comunque inutile, visto che è ridicolo sostenere che Weber, Wagner, Schumann, Beethoven, Schubert etc..fossero solo dei poveretti che “non sapevano” scrivere opere “all’italiana”.
Nessuno ha detto che fanno schifo. In ogni caso quest’opera é un valido motivo di riflessione sulla diversa concezione drammaturgica tedesca ma io ovviamente faccio un discorso generale visto che si parla di un opera unica nel suo genere. Personalmente non spendo i soldi per andare a vederla mi basta il disco per quest’opera. Saluti.
Sono d’accordo con te…personalmente, poi, non tollero più sentir parlare di presunta superiorità dell’opera italiana. Che palle!
Non ho commentato su Nicolini, che non conoscevo. Ho letto un profilo Wikipedia e mi e’ parsa strana l’affermazione di Donzelli, ma non mi fido di Wikipedia e non ho avuto tempo di fare ulteriori ricerche per cui ho preferito tacere.
Detto questo la storia dell’opera italiana e’ piena di italiani marchiati come tedeschi in segno di spregio. Affermazioni viste da oggi come totalmente risibili o al massimo spiegabili solo all’interno di quel contesto storico-geografico, dove un amore per le proporzioni e un senso della costruzione che proviene dai classici viennesi veniva scambiato per un difetto (il “tedeschino” Rossini che fa la forma sonata all’interno del quintetto di Cenerentola per esempio…). Allo stesso modo, l’opera tedesca non ha bisogno di padri italiani. L’ottocento e’ il secolo delle “nazioni”: ognuno cercava la sua via, proprio tentando di uscire dal modello “cosmopolita” italiano, per cui se il modello nuovo e’ ancora fragile e richiede perfezionamenti drammaturgici (che solo Wagner sarà in grado di dare), e’ solo normale.
Per la cronaca, se vogliamo davvero farci la guerra sui modelli drammaturgici e sui rapporti tra musica e testo, potremmo ancora restare in Italia, tornando all’origine dell’opera “italiana”, al “recitar cantando”, a Monteverdi e a tutte le oscillazioni del pendolo drammaturgico del periodo barocco.
PER FAVORE, FATE QUALCOSA AL SITO. I COMMENTI, QUANDO SI MOLTIPLICANO, DIVENTANO SEMPRE PIU’ STRETTI E DIFFICILI DA LEGGERE. UN ESERCIZIO DI SADISMO OTTICO. GRAZIE
Prego, se abbiamo un po’ di tempo lo faccio fare
Prego, se abbiamo un po’ di tempo lo faccio fare
Non sono andato
ad ascoltare l’opera in questione, che trovo tediosissima, perché Harding mi aveva terribilmente deluso la sera prima dirigendo svogliatamente l’Eroica di Beethoven. Davvero con Schubert ha fatto bene? Io trovo che ultimamente stia scivolandobun poco nella routine…..pare si prenderà un anno sabbatico
Buonasera. Rispondo a te e indirettamente a Duprez. Io sono stato ieri sera…premetto avevo visto l’opera a Salisburgo 4 anni fa…..riguardo Schubert sto con Duprez – lieder o non lieder é un autore sommo che amo moltissimo. Riguardo a Fierrabras, l’opera é bella e vederla é stato interessante visto anché la raritá nel vederla in scena. Ma ieri sera……sono fuggito dopo il primo atto! Harding non l’ho trovato cosi convincente anche se l’orchestra ha suonato bene, ma i …”cantanti”??? Erano tremendi!!!! I 2 tenori (Eginhard e Fierrabras) penosi, Emma…strillava e il basso……stendiamo un velo pietoso. A Salisburgo erano decisamente meglio. Non avevo voglia di rovinare il bellissimo ricordo che avevo quindi…..ho mollato l’osso. Peccato