L’identificazione di Madga Olivero con il personaggio di Adriana Lecouvreur è ancor più significativa e pregnante di quella della Callas con Norma o della Sutherland con Lucia a motivo che fu lo stesso Cilea ad indicare nell’artista piemontese l’interprete ideale della protagonista del proprio più famoso titolo. Madga Olivero fu, sulle scene, Adriana dal 1938 al 1973 e, ritirata da tempo, registrò ad 83 anni con il solo pianoforte l’intera parte. Paradossalmente è questa la sola registrazione ufficiale dell’Adriana dell’Olivero, ma della stessa, definita “la regina dei pirati”, circolano molti live a partire da un estratto di una recita romana con Beniamino Gigli alle recite d’addio del 1973 a Newark con Placido Domingo. La registrazione più famosa è quella del novembre 1959, quando, reduce da un intervento chirurgico, l’Olivero sostituì la prevista Renata Tebaldi al San Carlo di Napoli con un cast di star (Corelli, Simionato, Bastianini), la migliore, a detta della stessa cantante, quella della Rai del 1965.
In qualsiasi registrazione, a prescindere dalle modifiche della voce assai più chiara e vibrante nelle prime, le caratteristiche dell’interpretazione sono costanti: un assoluto controllo tecnico che consente fiati lunghissimi, filature, piani e pianissimi in qualunque zona della voce, slanci repentini e, pur nel genere di una voce modesta, ma proiettatissima, e capace di riempire ampi spazi acuti penetranti e squillanti, tali da sovrastare la massa orchestrale e contrastare mezzosoprani di voce importante.
E, poi, purtroppo non documentata c’era l’attrice. All’indomani della trionfale recita napoletana la critica elogiò l’eleganza della gestualità e delle mani della cantante. Una simile considerazione è l’apoteosi della cantante attrice. Eppure, anche in assenza dell’immagine, quella dell’Olivero anche dalla sola registrazione, spesso precaria di suono, è una celebrazione della cantante attrice. Bastano poche frasi dal civettare con Michonnet sullo zio farmacista di Carcassona, al luciferino “ Fedra sia” quando l’incauta Adriana raccoglie la sfida della Principessa alla voce ed all’accento distrutto della donna ferita del “perché mai discendere a tanta scortesia” perché questa Adriana sia, nell’ortodossia del canto, prima ancora che cantata, recitata o detta. E non mi riferisco ai momenti ufficiali della diva, dove Madga Olivero, sia pure con qualche difetto di dizione, evoca con la giusta enfasi del personaggio, dell’epoca e dell’operazione di rievocare una grande tragedienne i fantasmi delle grandi attrici come Irma Gramatica, Maria Melato o Tina di Lorenzo ovvero le maggiori attrici di prosa (oltre la Duse, naturalmente) dell’epoca della premiere, ma a quelle che sono piccole frasi. Piccole frasi che o passano inosservate o vengono riproposte imitando la Magda.
In questo senso l’apoteosi è nella scena della morte dove l’attrice delirante della apostrofe “scostatevi profani, Melpomene son io” cede alla donna morente di “ecco la luce”. In tutte le scene di morte Adriana, Fedora, Manon Lescaut l’Olivero montava in cattedra verista e vocalista sublime nel contempo, alitando le ultime parole con un’eco di voce, controllatissima, per realizzare il principio interpretativo che al morente restasse poco e corto fiato. Solo gli ignoranti ed in malafede possono definire baraccona una simile scelta, che trascina e commuove il pubblico e celebra nella versione più autentica e compiuta la diva verista.
Condivido tutto il commento. Siamo davanti a una cantante che possiede un dono (non una caratteristica) cruciale nei grandi……canta con la veritá…..dopo, per caritá di versione ci sono tante…..ma cantare sendo il personaggio….è da pochi.