Celebrare Rossini, lo abbiamo scritto di recente, è un dovere sentito. Celebrare Rossini come ha fatto Rai 5 trasmettendo il 1° marzo l’Otello che l’anno passato inaugurò la stagione napoletana è un insulto ed un’offesa.
Dal 1977 quando si presentò sul podio di Roma per dirigervi Tancredi, sappiamo bene con quale protagonista, Gabriele Ferro ha usurpato la fama di direttore di Rossini. Alle prese con il genio pesarese ha sempre combinato pasticci perché manca dei ferri del mestiere minimali quali saper tenere e gestire l’orchestra, bilanciare i tempi e le sonorità onde evitare letargici sopori o affannose corse, che snaturano il melodramma, incapace di dare un senso alle atmosfere ed alla peculiare drammaturgia rossiniana che è un delicato equilibrio fra palcoscenico ed orchestra. Se a questo aggiungiamo un’orchestra pesante, svogliata e dal cattivo suono soprattutto nelle sezioni di fiati ed ottoni lo scempio di Otello è totale. Abbiamo sentito un’ouverture pesante fragorosa, accompagnamenti sempre rumorosi, tempi che hanno messo in difficoltà per la lentezza i ben poco dotati esecutori (vedi il duetto finale dove entrambi i protagonisti annaspavano maldestramente sotto la lenta mazza ferrata del direttore). I momenti di nostalgia come tutta l’introduzione del terzo atto con il canto fuori scena del Gondoliere (pessimo il cantante) meccanici e pesanti senza fascino e colore, come pure l’ingresso di Desdemona al primo atto.
Siccome lo scempio era anche visivo non possiamo non dire che per la regia assolutamente immobile non si doveva scomodare (o più precisamente pagare con i pochi denari dei contribuenti) un celebre regista cinematografico, simili cose non le facevano neppure i praticoni della regia in anni pregressi, che allestivano in pochi giorni e con un decoro ignoto a questo Otello. E tacciamo del premio Oscar per i costumi Signora Pescucci. Viste alcune cose della stessa davvero belle ho il dubbio che mai questa signora abbia pensato ad uno dei costumi visti in scena. Partiamo da una Desdemona perennemente in deshabillé, evocatrice del “signori in camera” di certe case e non già la tragica protagonista dell’opera per tacere di John Osborn piccolo di statura ed atticciato, che nell’ultimo atto veste come pantaloni e pullover giro collo , che mettono in bella mostra baricentro basso, curva del benessere. E non che Osborn ci guadagni dalla divisa in doppiopetto.
Tacciamo delle immagini proiettate e del solito, ormai stucchevole, richiamo ad immagini di migranti (Otello migrante ? Un corno era semplicemente cipriota….) e citazioni di Brecht la cui grandezza è proporzionale alla assoluta estraneità alla drammaturgia rossiniana per parlare di una scena, che richiama un deposito merci e vorrebbe, nella scarsa fantasia dello scenografo, copiare il Vittore Carpaccio evocato da Pierluigi Pizzi nel 1988 a Pesaro. E noi li paghiamo e questo basterebbe al pubblico per omaggiarli con una caracca di fischi e buh!
Quanto ai cantanti dimostrano, chi più chi meno, la scarsa preparazione della categoria odierna e la immensa ignoranza di chi li assembla. Tre tenori Otello, Rodrigo ed Jago che sono tre tenori leggeri da opera di mezzo carattere di cui uno solo Dimitri Korchak prova a cantare nella tessitura propria. Solo che la parte piuttosto fiorita ed acuta (fu la prima scritta per David figlio) e la respirazione diciamo poco professionale rendono evidente lo sforzo e la fatica nel dominare tessitura (in particolare in zona di passaggio dove Rodrigo canta e fioritura. Più evidente alla sfida ed al duetto atto primo con Jago che non all’aria che apre il primo atto.
Rossini, dopo quattro o cinque recite di Giovan Battista Rubini quale Otello a Parigi, si affrettò a scrivere a Domenico Donzelli preannunciandogli, per la stagione successiva agli Italiani, il title role, atteso che sì Rubini era bravo, ma … ampiezza, declamato e vigore gli erano estranei. Non poteva essere diversamente perché Rubini era nato per Rodrigo e non per Otello, benché ricorresse a trasporti e riscritture, ma c’era la questione dell’accento e del vigore che gli aggiusti non ti regalano. E qui abbiamo, con pochi trasporti, un tenore che per tutta la sera gonfia la voce, simula a pancia in fuori ( e quindi senza l’alzar del petto che era la prova del sostegno del fiato) un centro ampio e scuro che non gli sono propri per stentare, previo cambio della posizione del suono, proprio nella zona acuta della voce. L’operazione per inserire il do diesis ( che pare non piacesse a Rossini) nel “morrò, ma vendicato” oltre tutto non nel luogo dove si dice lo inserissero i vari Tamberlick e Tiberini è la prova delle difficoltà del canto. E se il cantante sopravvive alla sortita e lunghi recitativi , che erano la sede dove i grandi interpreti sfoggiavano fiato, ampiezza, declamato appoggiature ed inserimenti nel testo sono insufficienti come pure il furore alla sfida (dove Rodrigo spara in alto ed Otello sfoggia o dovrebbe sfoggiare il centro) e soprattutto al duetto con Desdemona mancano di evocare le qualità degli autentici protagonisti del dramma rossiniano.
Taccio di Gatell in una parte quasi di baritono sciapo ed incolore oltre che in seria difficoltà per dire che il vero buco di questa produzione è la protagonista. Perché Desdemona, cui riservate tutte le corde del canto e dell’interpretazione richiede un controllo del suono, una rotondità ed una morbidezza, oltre che una varietà di fraseggio assolutamente estranee alla voce vetrosa e corta di Nino Machaidze, dagli occhi seducenti e dalla coscia forte. Siccome la signora Machaidze è stata indicata come una delle tante nuove Colbran credo a causa della impossibilità a reggere tessiture da soprano lirico e lirico leggero dell’opera tardo ottocentesca per limiti tecnici non possiamo che prendere atto dell’ennesimo sfondone di agenti e direttori di teatro. Una chiosa per la Emilia di Gaia Petrone brutta da vedere (taglio di capelli da collettivo saffo leninista, vestito da orfanella) e ancor peggio da sentire, in una scrittura dove con un centro decente al primo duettino hai la meglio sulla protagonista.
Il povero Gioachino si impone…. Certo che qualche miglior reperto negli archivi RAI si doveva trovare, anche perché taluni spettacoli è meglio per tutti non vengano conservati.
3 pensieri su “Omaggio/oltraggio a Rossini”
Lascia un commento
Devi essere connesso per pubblicare un commento.
Giace negli archivi della Rai l’Otello che inaugurò il ROF nel 1988, vale a dire una delle più grandi e importanti realizzazioni rossiniane degli ultimi 50 anni. Cantavano Chris Merritt, Rocqwell Blake, Ezio Di Cesare, Giorgio Surjan e June Anderson nei ruoli principali, diretti da quel gran signore di Sir John Pritchard e con una messinscena-capolavoro di Pier Luigi Pizzi. Ecco, sarebbe bastato trasmettere quella serata per celebrare nel migliore dei modi possibili Rossini.
l’aggettivo che mi viene in mente è indegno. svogliato e privo di poetica, un insulto a rossini e al san carlo
..aggiungo solo che in pellegrinaggio a Napoli per vedere proprio quest edizione ricordo uno spettacolo incolore
un orchestra sciapa e un cast noioso …pure Osborne non brillava… l edizione tv migliorava solo di poco le voci e l orchestra miracolo della tecnologia…e del mixer!
a mia discolpa assistetti nel lontano 88 all edizione del rof da voi citata
saranno pure i dolci ricordi ma il paragone è fra:
Diamanti contro zirconi