Trent’anni fa moriva Gianna Pederzini. Due sono le frasi, lacerti di interviste, che meglio di tutte rendono conto dell’intelligenza della donna e della consapevolezza della professionista. A un giornalista che ricordava la sua liaison con il gerarca Roberto Farinacci: “quando lo conobbi ero già la Pederzini”, ovvero una delle cantanti più quotate nei grandi teatri italiani, Carmen e Mignon di assoluto riferimento ma avvezza anche a Mozart, Rossini e Verdi. L’altra frase: “Noialtre avevamo gli avanzi della Stignani, ed era giusto che avessimo gli avanzi”. Alla monumentale voce e sovrana tecnica della Stignani la Pederzini opponeva una fisicità prorompente, da autentica vamp, una consona presenza scenica (a differenza di certe “belle” di oggi, che evocano al più le proverbiali belle statuine) e uno strumento forse non privilegiato (a onta del timbro marcatamente sensuale), ma coltivato alla scuola di Fernando de Lucia (a sua volta allievo di Beniamino Carelli, in ogni senso padre di alcune delle voci più importanti dei primi anni del Novecento) e quindi capace di saldezza nel legato, eleganza nel porgere, pregnanza nella scansione del testo, anche in una canzoncina come quella che proponiamo di Tosti, ritratto di una parente stretta delle tante “reiette” del melodramma.