ROF 2018: considerazioni sul programma preliminare.

Rossini-ExhumationIl ROF ha offerto il proprio sostanzioso contributo per mandare traverso ai melomani il cenone di vigilia ed il successivo pranzo di Natale. Non che ci aspettassimo qualcosa di differente, atteso il consolidato andazzo dell’organizzazione festivaliera. Quest’anno, però, il festival dovrebbe celebrare il 150enario della morte di Rossini e dovrebbe avere quel carattere di peculiare solennità, che un anniversario impone. Ora anni or sono a Parigi, presso il cimitero del Père Lachaise, dove fra il 1868 ed il 1878 il maestro ebbe la propria prima sepoltura ebbi occasione di vedere un’ immagine dell’esumazione della salma di Rossini, prima che venisse traslata a Firenze. Alcuni degli astanti, davanti al feretro aperto, si premevano fazzoletti sul viso evidentemente per evitare gli sgradevoli miasmi, che i resti indecomposti del maestro emanavano. Ecco questa è l’immagine più corrispondente alla qualità del programma predisposto per il cento cinquantenario. Onorare il maestro con un’operina come Adina, l’ennesimo Barbiere di Siviglia e spacciare per una grande produzione il Ricciardo, che non siamo tanto ritardati da capire che dovrebbe rispondere all’intento celebrativo a vantaggio non già del titolare del festival, ma del tenore che dovrebbe indossare i panni del paladin Ricciardo, dopo aver tentato ruoli come Werther, Edgardo e Hoffmann, circondato alla bisogna da un soprano chiaro e corto, notariamnete affetta da problemi di intonazione, in un ruolo scritto per la voce importante di Isabella Colbran e da un tenore contraltino che dovrebbe rievocare i fasti della vocalità aulica e magniloquente doi Andrea Nozzari. Insomma la chiara realizzazione dell’adagio milanese “mal tra insema”. E quando poi su titoli come Adina e Ricciardo , che , con ragione, la critica elogia per la sapienza compositiva ed il raffinato ordito orchestrale vengono affidati a bacchette per certo impari al compito come precedenti prove e disavventure documentano, antipasti e minestre natalizie sono sempre più inamovibili dalla busecche dei grisini. Premesso che i grisini vaneggiano l’assedio di Marinuzzi, la Semiramide di Bruno Walter e considerano il paradigma , ovvero l’irraggiungibile le sinfonie del genio pesarese dirette da Ferenc Fricsay dirigere Rossini è assai più difficoltoso che cantarlo perché le atmosfere, la raffinata ricchezza dell’orchestrazione, le difficoltà del canto con le sue peculiarità ed esigenze mettono a dura prova chiunque oggi si avventuri nel dramma rossiniano. Massime se serio. Quell’oggi che ha bandito dai lavori seri aulicità e solennità, che ha trasformato le marce in marcette, i recitativi da scanditi in sculettati, eroi ed eroine in personaggi di mezzo carattere e soubrette; insomma Arnoldo con i tratti vocali di Dorville, Semiramide come Rachelina della Bella molinara. Ora direttori ce ne sono pochi e quando hanno la ventura di approdare a Pesaro o vengono sottoutilizzati ed ove mai diano buona prova rispediti prontamente al mittente al fine di salvaguardare razze e vitigni autoctoni; cantanti validi e spendibili sul repertorio rossiniano ce ne sono un paio o tre al più questi vengono ostracizzati e/o respinti. Però assistiamo a celebrazioni anticipate per i convocati delle edizioni successive al 2018 e tutto ciò rende impossibile ai grisini digerire il bollito (ambrosiano modo “far passar giù il manzo a lesso”).
Quando poi guardiamo le idee da avanspettacolo (perché la rivista della Wanda e di Erminio Macario con regia, magari, di Luchino Visconti era una produzione seria professionale dove si doveva e voleva fare il massimo) che governano concerto di canto e spettacolini di contorno per educare il pubblico come accade con le serate, in cui spiccano i nomi di Remo Girone e Massimo Ranieri (quest’ultima denominata – sic! – “Cabaret Rossini”), anche l’arrosto sia esso di volatile o di quadrupede è piantato sullo stomaco.
L’opera è una altissima forma d’arte ed all’interno della produzione italiana quella di Rossini tiene il luogo dei vertici della produzione pittorica del XVI secolo ( scelga il lettore un nome fra molti). Come le mostre a tema sono la morte dell’arte perché creano l’evento (leggi: fanno cassetta), ma non hanno la possibilità di creare autentico interesse e stimolo per l’arte ed educare alla medesima del pari una sceneggiata o avantspettacolo con protagonista Rossini elide in partenza la possibilità di onorare il genio pesarese, di rigenerare e rinvigorire le schiere degli appassionati. Ma in fondo è l’evento o lo pseudo evento che si vuole e si rincorre perché porta un apparente consenso, non crea problemi che un pubblico di buon udito creerebbe quando vengono ammanniti dei surrogati.
Sono certo che la stampa ammessa alle stanze del potere prova un senso di pesantezza di stomaco , che poi si deve sfogare, davanti a questo indigesto pensierino post natalizio. E’ la medesima costipazione, che mi ha generato la lettura del programma del Festival. Non rimpiango precedenti gestioni o passate produzioni ( quelle buone a Pesaro furono le figlie del più assoluto caso), ma la serietà, la ricerca della cultura e l’onestà.

Un pensiero su “ROF 2018: considerazioni sul programma preliminare.

  1. Sono andato a leggermi il programma e, da rossiniano impenitente pubblico e notorio, l’effetto che mi ha prodotto è strano. Da un lato pesantezza di stomaco; dall’altro lassativo.
    Solo alcune considerazioni.
    Non ho mai sentito dirigere il M° Sagripanti, quindi non esprimo giudizi su di lui. Potrà essere bravissimo, potrà essere il contrario. Però la precedente edizione del Ricciardo vedeva sul podio Chailly in gran forma…
    Non dico di richiamarlo dalle auguste scaligere volte per un opera completa, ma per un concertino? Mi ricordo de auditu il concerto con le cantate per il Borboni fatto nel 1992, quando il bicentenario della nascita del Cigno di Pesaro – Cignale di Lugo era stato festeggiato in modo mi pare più consono che la ricorrenza attuale. Allora il M° Chailly aveva fatto meraviglia, anche perchè aveva a disposizione gente come la Devia e Matteuzzi!
    Sul cast concordo con Donzelli. Certo che fra la Anderson di allora e la Yende di oggi c’è un abisso. La Yende è una voce leggera leggera, la Anderson non lo era mica.
    Ma chi cavolo è poi il regista?
    L’altra volta c’era Ronconi. Ronconi in gran forma.
    Mai sentito Matheuz, ma già solo il leggere che era aiuto di Dudamel…. Ma ciò che rende inorriditi è vedere che la regia è affidata alla Cucchi, colei che partorì (il verbo giusto dovrebbe essere, però, un altro…) quella schifosa vomitevole orripilante disgustosa agghiacciante atroce raccapricciante nauseabonda indegna ripugnante messa in scena veneziana de La favorita che si è vista tempo fa in TV. Avendo letto delle critiche su altre geniali trovate di tale signora non posso che avere foschi pensieri su ciò che tirerà fuori.
    Barbiere.
    25 anni fa mi pare che Zedda aveva detto che per il bicentenario avrebbero fatto l’opera che non aveva bisogno di essere fatta a Pesaro, cioè il Barbiere. Fu – se non erro – un Barbiere abbastanza criticato per tante ragioni; c’era chi lo considerava troppo serio (mi pare che Almaviva fosse Ford), con una messinscena troppo seria, benché le scene, dalle foto che avevo visto, mi parevano di gran classe e, se ricordo bene, la regia era di un certo Luigi Squarzina, regista di un livello che oggi ce lo si sogna.
    Anche oggi c’è un metteur en scene tutt’altro che sprovveduto, anche se, forse, più celebre sul campo del Rossini serio che del comico (peraltro ricorso nel 1992 una sua splendida Italiana in Algeri a Torino, divertentissima). C’era la necessità di mettere in scena il Barbiere? C’era, soprattutto, la necessità di mettere in scena il Barbiere se non nel caso in cui si disponesse di una distribuzione vocale di altissimo livello, tale da garantirne un’edizione epocale (che poi di per sé non la rende certa, avendo letto che il leggendario Barbierone scaligero, 1 sola recita 1929 o 1930, con la Toti, Schipa, Franci, Scialiapin e Baccaloni pare fosse stato un mezzo fiasco, con il basso ciucco perso, tutti a gigioneggiare ed altre lepidezze, e quelli erano quel po’ po’ di cantanti!)?
    Certo forse siamo messi un po’ meglio che con il resto, ma non troppo.
    Abel dovrebbe essere un buon direttore. Ma è un esperto del Rossini buffo?
    Ho un buon ricordo di Spagnoli e Pertusi come rossiniani (soprattutto un Cenerentola torinese di 22-23 anni fa circa), ma non ne conosco lo stato attuale. Dicono che Mironov sia un buon tenorino (ma la primo volta che ho sentito a teatro il Barbiere Almaviva era Blake ed io ce l’ho sempre nelle orecchie); il cantante prescelto come Figaro mi è ignoto; la Zilio era una buona cantante, ma ora non sarà un pochetto agée anche per Berta? Ma soprattutto, la cantante scelta per Rosina non si era dimostrata un po’ troppo leggerina nella Pietra lo scorso anno?
    Non vorrei che alla fine la cosa migliore del Festival fosse proprio quel Cabaret Rossini di cui parla Donzelli, dato che risulta venire fuori “Da un’idea di Filippo Crivelli ed Emilio Sala” e Filippo Crivelli è notoriamente un uomo di spettacolo serio ed inventivo che aveva delle buone idee (infatti in tanti teatri troppo à la page non lo chiamavano a fare regie; se non erro alla Scala ha messo in scena solo la Luisa Miller diretta da Gavazzeni negli anni ’70, fra l’altro con grande successo); almeno Ballista è un pianista che sa fare il pianista ed almeno Ranieri è artista serio e preparato, almeno lui…
    Beh, in ogni caso, prepariamoci a rifare il funerale a Rossini.
    Ciò che ci prepara il festival a Lui dedicato sa più di requiem dhe si festa.
    AMEN

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