Come di consueto, il nostro ascolto è dedicato a un interprete di origini ebraiche, anzi due, in questo caso. Entrambi riuscirono, con la fuga o perché già residenti oltre Oceano, a evitare la morte, ma non è questa la ragione della scelta. La verità è che questo ascolto, come tutta la registrazione da cui proviene, è esemplare tanto per il canto quanto per la direzione d’orchestra. Le voci sfoggiano un legato e una dinamica unica, nessuno grida, nessuno forza e viene da chiedersi (non è una domanda retorica) quanto è che non sentiamo un Marke capace di fare filature e smorzare. È un modo di eseguire Wagner che abbiamo dimenticato. Questi cantanti e questi direttori (tanto per fare qualche altro nome: Erich Kleiber, Furtwängler, De Sabata per quel che si sente in un fortunoso live milanese) avevano chiarissimo il senso della frase musicale e del dire, in un repertorio in cui l’avvento della cosiddetta “espressione” sembra più che altro la scusa per avallare suoni che del canto professionale non conservano neppure l’impronta. Il dubbio davanti a questo Tristano di voci splendide, sontuose, dal legato inossidabile con una direzione straordinaria e che smentisce la fama di estroversione un po’ facilona di Reiner è che interpreti successivi, anche grandissimi e rimasti inimitati nonostante gli innumerevoli tentativi, non abbiano riformato nulla o ben poco.