Poliuto era, desde mi punto de vista, uno de los pocos espectáculos de interés de la temporada operística barcelonesa. En primer lugar, por la “rareza” de la obra, que se vio por última vez en Barcelona en 1975 (con la voz y el arte de Leyla Gencer). La anterior representación tuvo lugar 90 años con lo que fue, según parece, un fracaso de Francesco Tamagno (quien, eso sí, había cosechado éxitos entre 1875 y 1877 con nada más y nada menos que 33 representaciones del título: http://www.liceubarcelona.cat/sites/default/files/cronologia_liceista/cronologia_poliuto_cat.pdf). El segundo punto de interés era un reparto, por los tiempos que corren, relativamente atractivo.
No obstante, a pesar de esos puntos de interés, el aforo presentaba una ocupación preocupantemente escasa, como es cada vez más habitual. Sería excesivo por mi parte tratar de dilucidar las causas de esa situación, que son complejas y, en buena parte, globales. Pero, a nivel local, me parece claro que las políticas aplicadas desde la reapertura del teatro en 1999 no han ayudado. La anterior dirección puso todo su empeño y obcecación en las “puestas en escena” con la vana esperanza de abrir la ópera a “nuevos públicos” y no ocultaba su satisfacción ante la lenta, pero constante, deserción de melómanos. La actual dirección, primando la contención presupuestaria, ha rebajado la calidad de los espectáculos, al mismo tiempo que ha aumentado las tarifas de forma temeraria, y ha tratado de favorecer espectáculos que puedieran atraer a los turistas que pasean por la Rambla. Sospecho que se han quedado sin los aficionados de larga tradición y sin los anhelados “nuevos públicos”.
A pesar de la escasa asistencia de público, la representación se saldó con un éxito notable para tenor y soprano. Creo que el éxito de la podría haber sido algo mayor con otra batuta. Daniele Callegari parece haber confundido la exaltación religiosa y el martirio sereno de la tragedia de Corneille y de la ópera de Donizetti con la barahúnda y el desorden de una marcha triunfal carnavalera y trasnochada. El maestro no supo definir y diferenciar las distintas escenas de la ópera y parecía complacerse en unos acompañamientos mecánicos y monótonos, en el sonido impreciso y bandístico y en el volumen exagerado.
El rol protagonista ha sido tradicionalmente terreno de tenores dramáticos por la tesitura central, los impetuosos ascensos al agudo y las grandes escenas solistas y de conjunto con acentos grandilocuentes y heroicos. Si Gregory Kunde en los últimos tiempos frecuenta el repertorio dramático es porque la edad y la falta de competencia por parte de colegas más jóvenes se lo consienten (en junio participará en Manon Lescaut alternándose con Jorge de León y Rafael Davila). Pero la senilidad y la aridez de la voz no han hecho sino agravarse y el canto se encuentra en constante conflicto con la afinación y el legato. Lo triste del caso es que probablemente el tenor, a sus casi 64 años, es quizá de las pocas opciones para cantar el rol con una voz mínimamente sonora y agudos de cierta penetración, que, no obstante, son cada vez menos fáciles. Al final, los principales damnificados son la naturaleza trágica del personaje y su heroico deseo de gloria divina.
Por su parte, Sondra Radvanovsky, debutante en el rol de Paolina, se movía en un terreno más propicio a sus características vocales, y fue la gran triunfadora de la noche. En la parte negativa de su prestación, se debe mencionar el vibrato ingrato de la voz, especialmente sensible en el primer acto, y el “tubamiento” evidente del centro-grave. Además, se le pueden criticar otros aspectos, que quizá podrán solventarse en un futuro, como algunos agudos a plena voz chillados, cierta dificultad para negociar las agilidades o una dicción poco clara. Pero, acostumbrados como estamos a cantantes de muy inferior categoría, sigue siendo impresionante el caudal de voz y la capacidad para regularlo con éxito (aunque a veces falseando ligeramente el sonido). Me pareció asimismo encomiable el coraje de la cantante, que no se ocultó en los momentos más comprometidos, y que trató de frasear con compostura, gusto y sentimiento. Será interesante escucharla en marzo en su debut como Maddalena de Coigny.
Por otra parte, fueron limpia y llanamente insignificantes los demás cantantes, empezando por el Severo de Gabriele Viviani (sustituto del inicialmente previsto Luca Salsi), contra quien hubo un intento de abucheo. Hubo también una timidísima reprobación para Callegari.
Me gustaría pensar que los menguantes resultados artísticos y de taquilla de los últimos tiempos harán reflexionar a la actual dirección del teatro y, sobre todo, al próximo director general que llegue a partir del mes de marzo. ¡Vana esperanza!
8 pensieri su “Le cronache di Nicola Ivanoff: Poliuto al Gran Teatre del Liceu.”
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Questo succede quando manca la consapevolezza e lo studio in quello che si fa..ma un po’ di approfondimento da parte dei cantanti? Anche se lo studio non salva se poi non subentrano altre qualità ma almeno ci si salva dagli scivoloni. E poi c’è chi oggi si permette di cantare opere come il pirata..ci vuole coraggio!
se penso che fra Scala e casa Corelli lo spartito del Poliuto andò e tornò un paio di volte perchè il tenore temeva (e forse non a torto) di non essere all’altezza della parte.
É semplicemente una questione di umiltà che a questa gente manca. Certe opere vanno semplicemente chiuse nelle polverose librerie delle biblioteche e basta perché altrimenti diventano una volgare farsa. Dove sta il saper dire? Il controllo assoluto del fiato? La scansione perfetta delle agilità? La poesia e infinita meraviglia nel canto? Lo vorrei chiedere a certi insegnanti di canto
Su questo non sono d’accordo: nulla va chiuso in biblioteca, semplicemente va preparato meglio. La perfezione non esiste oggi, come non esisteva ieri – anche se tutti tendiamo a mitizzare il passato, e più si allontana più diventa leggendario – e non esisterà neppure domani: ciò che invece c’era sino a poco tempo fa, era la serietà e la condivisione di una determinata civiltà d’ascolto. E non è la rampogna per cui, invecchiando, ci si dimentica di come si era da giovani, ma la constatazione che in molte forme d’arte la superficialità e l’approssimazione hanno preso il posto di idee, contenuti, competenza e serietà. Una cartina al tornasole è costituito dai tanti complessi specializzati in musica barocca che, negli ultimi anni, sono spuntati come funghi: ho avuto modo di discuterne con un amico che di mestiere proprio questo fa (non in Italia, ovviamente, perché qui di musica fatta seriamente non si vive). La serietà dell’approccio alla musica barocca da parte sua e del suo ensemble è rara avis oggi dove imperversano – e ottengono inspiegabili riconoscimenti – soggetti che non hanno la benché minima competenza del genere che propongono, ma purtroppo – per l’ignoranza diffusa, finiscono per condizionare i gusti già scalcagnati di un pubblico sempre più impreparato che ormai ha assorbito per verte cose che non hanno alcun fondamento: gli organici fantasiosi, l’utilizzo di strumenti non adeguati, il basso continuo rimpolpato sino a dimensioni assurde, l’uso di tiorbe e liuti come fossero le chitarre dei Led Zeppelin, la contaminazione con elementi jazzistici, i ritmi saltellanti e nervosi, l’uso indiscriminato del falsettista come succedaneo del castrato etc… Queste cose – per chi ha seria preparazione musicologica – sono fesserie eppure passano per l’ubi consistam della specializzazione barocchista. In un periodo in cui l’opera d’arte non solo è tecnicamente riproducibile (con tutto ciò che ne consegue come aveva analizzato Benjamin), ma falsificabile per via dell’impreparazione del recettore, il risultato è la totale libertà di propinare qualsiasi stortura per buona. Il pubblico non sa, non distingue, non vuole distinguere. I critici non esistono più e, anzi, se qualcuno si permette di dubitare o sostenere altre tesi viene immediatamente subissato di insulti ed additato come un troglodita retrogrado e coglione. L’opera, poi, soffre più di altri generi musicali per via di un decadimento generale del livello del pubblico che sempre di più è popolato da isterismi e fanatismi che riducono il teatro musicale a fenomeno di costume, a pettegolezzo da foyer: ci sono vere e proprie comunità sull’internet dedicate al culto di questo o quel cantante e a leggere ciò che scrivono, con un profluvio indigesto di superlativi assoluti, svenevolezze ed isteria collettiva viene il voltastomaco. Esistono trasmissioni radio del medesimo livello con i conduttori intenti a titillare il pubblico con le più banali generalizzazioni del mondo operistico trasfigurato in una specie di operetta degli equivoci. Esiste un loggionista di ritorno che non si distacca dalle medesime generalizzazioni e schermandosi dietro presunte tradizioni si autoincorona custode di chissà quale verità estetica mentre, più banalmente, esercita il più bieco provincialismo nell’acritico sostegno dei nomi locali. Esistono i fans piccoli e grandi che neppure si curano di ciò che stan sentendo, ma solo di chi sta cantando: e gli va bene così. Esistono i neo appassionati che sono più intenti a invadere i social network con foto prese nei teatri o selfie rubati con i loro idoli in una versione terribilmente nerd delle groupies degli anni ’70/80… E se questo – e molto altro – è il pubblico che fruisce dello spettacolo operistico che cosa ci si può aspettare? Non è la perfezione che manca, ma la consapevolezza (di tutti coloro che gravitano in quel mondo) che l’opera è musica e la musica va fatta con serietà. Oggi – in Italia soprattutto – l’opera è una burlesca parata di luoghi comuni, pettegolezzi, delirio collettivo, superlativi assoluti…e diventa normale che in TV (quella di stato che ancora dovrebbe aver conservato nelle competenze una certa dignità culturale rispetto ai piazzisti di pentole delle televisioni commerciali) parli d’opera un cantantucolo pop che ha al suo attivo canzoni dedicate al catarro e ad altre deiezioni corporali o alle dimensioni del pene di un attore pornografico, ma passa per “esperto” di musica in quanto ha frequentato il conservatorio così che quella che dovrebbe essere la base (ossia gli studi musicali di primo livello) diventano il punto d’arrivo. E così di opera non parla il musicologo, lo studioso, il musicista, ma gente come Elio e Morgan, con la scusa di voler “avvicinare” il grande pubblico. Ma come dissi tempo fa, il pubblico non lo avvicini abbassando il livello, ma con iniziative concrete per elevare le conoscenze di chi ascolta, per allargare la fruizione degli eventi musicali, per fare cultura vera. Invece da noi iniziative lodevoli che uniscono buona musica ad eventi aggregativi vengono rifiutate con sospetto, ma si acconsente che di opera e di musica parli un saltimbanco. Fino a che non si cambierà prospettiva le cose non muteranno e non serve a nulla l’oltranzismo di considerare qualcosa ineseguibile. Perché tutto, se fatto male, è ineseguibile.
Concordo ma se permetti quando a Bologna assisto al Guglielmo Tell ed esco dal teatro triste perché non ho percepito nulla di emozionante io credo che sia molto peggio. Io dico solo che un buon padre di figlia gestisce le spese in base a quello che guadagna e allo stesso modo i teatri proporre spettacoli in base al livello degli artisti che in molti casi riuscirebbero meglio in altri repertori. Il mio non é un discorso retrogrado ma di buon senso tutto qua.
Sì, però il problema non è solo questo. Il teatro propone certe cose perché al pubblico basta questo. E’ un problema di educazione. Lasciando perdere i titoli impegnativi di per sé (come il Tell, i Troyens, i Meistersinger etc.. che necessitano di un certo sforzo produttivo), qui si parla di un Poliuto. Significa non curarsi di ciò che si offre. Ché tanto al pubblico non interessa…
Intervengo, probabilmente a sproposito, ma mi sento di sottolineare che, nel caso specifico di Kunde, tutto gli si può addebitare con riferimento alla voce e quanto scritto da chi ha recensito il Poliuto del GTL mi trova d’accordo, ma non il fatto di non preparare adeguatamente le opere che decide di interpretare. Voglio chiarire che questa mia considerazione è totalmente di parte, poiché è un tenore che seguo spesso dal vivo … e che da qualche tempo fa scelte di repertorio molto impegnative e forse non più sostenibili, questo si che gli si può contestare. Credo ci siano ruoli adeguati all’età ed alla voce se vuole continuare ad essere sulle scene. Vi seguo sempre volentieri.
grazie per il fatto che ci segui volentieri. ci fa davvero piacere dd