Nei giorni festivi un importante rete televisiva a pagamento ha trasmesso reiteratamente (in modo da consentire anche agli zucconi di comprendere il vero senso della pellicola ) Florence, il film magistralmente interpretato da Meryl Streep nei panni della vecchia che si esibì, persino, alla Carnegie Hall a dimostrazione che non l’arte, ma i soldi e le elargizioni aprono molte porte.
Il film,ad una prima vista, si presta a due chiavi di lettura. La prima assolutamente comica e ridicola ovvero una vecchia pazza, musicalmente e vocalmente sgangherata che, forte della propria follia e del proprio portafogli si esibisce nel club da lei fondato cantando l’opera. E’ inutile nascondersi che talune situation a partire da come la Streep canti, facciano sganasciare dalle risa. Inutile aggiungere che i suoni stonati, calanti, fissi, abbaiati di questa vecchia gallina provochino risate a crepapancia soprattutto fra i melomani. Possiamo anche aggiungere che le magistrali interpretazioni di Michael Aspinall oltre che alle registrazioni dell’età della pietra di una Patti o di una Melba abbiano attinto a quelle di Florence Foster Jenkins; possiamo anche aggiungere che le movenze e le pose di Meryl Streep, oltre che rifarsi all’iconografia delle dive liberty richiamino quelle di Joan Sutherland ovvero di colei che, per tutta la carriera, si è ispirata a quelle dive.
Poi possiamo anche vedere lo sguardo di Meryl Streep, perennemente triste e un poco sperso per vedere non già una povera, vecchia pagliaccia, ma una donna sola triste infelice (presa in giro da tutti a partire da un marito forse innamorato, forse attratto dalla generosa follia della donna, certamente iper protettivo) che nelle esibizioni da baraccone crede o meglio si illude di trovare la propria realizzazione non potendo certo averla come donna in quanto la sifilide, regalo del primo marito le impedì la maternità. Forse Florence Foster Jenkins fu più questo che non la caricatura di una cantante d’opera, anche se la abitudine della “cantante” di considerare Frida Hempel e Luisa Tetrazzini come rivale potrebbe propendere per la follia e non già per il disperato tentativo di realizzarsi.
Però credo che il film si presti per chi conosca da quasi mezzo secolo il caravan serraglio dell’opera, ogni giorno sempre più tale e sempre più privo delle preziosità, che facevano dei caravan serragli luoghi di sogno, ad altra più realistica e cruda interpretazione. Nella tragedia di Florence ho rivisto tante patetiche vicende di tante cantanti d’opera spesso plagiate, ingannata da pseudo mariti, agenti complici amanti, che si proponevano come filtro verso il mondo e che in realtà realizzavano se stessi nella carriera più o meno fortunata della moglie o amante. Quante volte abbiamo sentito dire che metà dei cachet finivano in pubblicità dove con questo termine abbiamo appreso che no si dovesse solo intendere pagine di pubblicità con l’elenco degli impegni ( tutte grosse produzioni, ovviamente), ma autentiche stecche pagate ora in forma di pranzi e cene, ora in viaggi all inclusive ai critici più in voga cui dovevano seguire incensi e peana per povere svociate, decine di biglietti da distribuire a fidati amici, che garantissero applausi e, fuori del teatro dopo il biglietto avessero quanto meno la cena (l’ipotesi più sfigata era la pizza donde per certi soprani il soprannome di pizzettare o bigliettaie). E questo da una parte del palcoscenico perché il mondo ritratto dall’altra parte è peggio ancora ben più crudele ed aspro. Basta la lezione di canto dove un celebre maestro di canto, che poi l’onnipresente consorte paga profumatamente fuori dalla porta, tratta la povera Florence come fosse una delle dive più in auge del Met e distribuisce consiglio utili quanto una lezione di ballo ad un tetraplegico. La prostituzione, talvolta non si realizza solo nell’attività sessuale, ma in altro modo. Questo è l’amaro, agro insegnamento che viene fuori da Florence. Questa è la assoluta attualità che un film, nato per raccontare una pseudo diva ad opera e magistero di una vera ed autentica diva, lascia al melomane ormai stagionato, ormai disilluso perché le Foster Jenkins di oggi hanno un difetto non fanno neppure ridere e per certo non ci mettono il cuore come quella autentica ed originale, quando cantava per i soldati, che inesorati ridevano. Florence Foster Jenkins fu una patetica parodia dell’opera, oggi non abbiamo più la Foster Jenkins, ma solo patetiche parodie di cantanti d’opera cui accanto si vediamo lo stesso mondo dei grassatori e dei profittatori che sfruttavano Florence.