La musica di Johann Strauss si fonde nel mito della Mitteleuropa con il retaggio e le suggestioni di Roth, Kraus, Musil, Canetti in una danza malinconica e leggera in bilico sull’orlo di un burrone: un equilibrio delicato che separa la fiaba scintillante dell’impero absburgico col suo carico di nostalgia, storia, epopea mescolati nelle bollicine dello champagne, dall’imminente crollo di quel mondo in caduta libera verso il primo conflitto mondiale e la sua dissoluzione. Il Fledermaus è forse il più idiomatico prodotto di quella stagione irripetibile che inaugura la dolce decadenza dell’Austra-Ungheria e che racchiude – nelle melodie frizzanti, nei ritmi spumeggianti del valzer o nel lirismo malinconico dei notturni – i semi di quel sentimento di sereno rimpianto che è la fine della Duplice Monarchia: la finis Austriae. L’opera, o meglio l’operetta, di Strauss è una summa difficile da interpretare per chi non ha nel sangue la storia di quella “fine del mondo”. Ecco la ragione per cui è raro trovare interpreti non “austroungarici” che riescano a comunicare con la giuste dose di scintillante nostalgia e nobile leggerezza una musica che solo in superficie appare piana e semplice. In attesa dell’annunciata catastrofe del Fledermaus meneghino (trovo non vi sia nulla di più estraneo al carattere unico del capolavoro di Strauss dell’orchestra scaligera ed in generale della tradizione operistica italiana), si propongono cinque diverse letture della celebre ouverture, per mano e bacchetta dei più grandi interpreti del Fledermaus: una sorta di “indispensabile” che propone il meglio della storia esecutiva dell’operetta. Si comincia obbligatoriamente con Herbert von Karajan: il Karajan del Concerto di Capodanno del 1987 dove i mille colori dell’orchestra di Strauss rifulgono nella bellezza assoluta del suono del maestro salisburghese, qui venato – in perfetta coerenza con la finis Austriae – di una tenera malinconia ed una consapevolezza e presagio della fine prossima. Senza tristezza. Si prosegue poi con Carlos Kleiber e la finezza estrema del suo tocco che sembra accarezzare le melodie con la naturalezza di un sorriso: una lettura vivace e leggera, irrequieta nel ritmo e luminosa anche nelle vene più malinconiche. Tutto l’opposto di Ferenc Fricsay che dona al brano una carica più serrata, dai contrasti più accentuati e febbrili lasciando trasparire una nostalgia più amara. Sulla stessa linea, ma accentuando ancora di più il ritmo incandescente Nikolaus Harnoncourt. Infine non può mancare Clemens Krauss ed il suo sangue viennese purissimo. Cinque ascolti indispensabili: cinque pregiati champagne da gustare nelle più grandi occasioni.
Herbert von Karajan:
Carlos Kleiber:
Ferenc Fricsay:
Nikolaus Harnoncourt:
Clemens Krauss:
Bellissimo lavoro, caro Duprez: come al solito, dimostri sempre un “passo” perfetto quando parli di repertorio mitteleuropeo! Complimenti!
Una curiosità: come voce per Eisenstein, tu cosa preferisci, tenore o baritono? Io non ho ancora una scelta definitiva, visto che amo sia Anders (e Gedda, ça va sans dire) che Waechter