In questi giorni nebbiosi e noiosi di gennaio il solo evento in grado di muover foglia nella lirica italiana pare essere la trovata pubblicitaria montata a Firenze cambiando il finale alla Carmen di Bizet. Sono passati in secondo piano il basso livello musicale della proposta, il fatto che il monumentale opificio che fiancheggia la Leopolda continui ad essere in deficit di pubblico mentre il vecchio Maggio è ancora “sul goeb” di quelli che ne avevano garantita l’immediata vendita, che il prestigiosissimo (e costoso) direttore musicale dell’Opera fiorentina continui da lustri a non produrre nulla di degno di comparire nei radar della musica classica contemporanea che conta. Restando solo il disperato bisogno di lanciare un urlo per dar segno di esistenza, a Firenze si è realizzato un finale in cui Carmen ammazza don Jose’ con una pistola che poi fa pure cilecca, una TROVATA degna di uno spot pubblicitario più che un pensiero registico, mirabilmente perfezionata dall’uscita da Controriforma del politico sciovinista di turno ( il sindaco di Firenze ). Un vero omaggio alla CULTURA che solo le menti accuratamente selezionate dalla nostra colta e raffinata classe politica potevano allestire, in perfetta sintonia con ciò che il nostro Paese ama di più e in cui si tuffa con maggior slancio ed energia, le stronzate. Stronzate quotidiane in grado di sollevare maree di commenti, manifestazioni di indignazione, commozione, felicità, un grandissimo flusso di energia collettiva mentre le questioni importanti non sembrano mai attecchire nella mente degli italiani, come il polverone sui sacchetti biologici, mentre le bollette e le tariffe autostradali si impennano a briglia sciolta nella totale indifferenza; la morte in odore di santità della Ripa di Meana, una perdita descritta quasi come l’incrocio tra quella di Madre Teresa e quella della Montalcini o gli sproloqui da dominatrice femminista di Asia Argento, attrice praticamente dismessa che non interessa a nessuno; le tre settimane sullo “slisone” di Scalfari, quasi rimbambito, furbescamente adescato da Floris prima di Natale….Mentre tutto va a rotoli, il paese si perde in turbini di idiozie…stronzate. Le amate ed imprescindibili stronzate italiche. E il mondo della cultura non è da meno della quotidianità, come ha dimostrato la Damnation romana, dove la stronzata d’autore scorreva continua sulla scena. Ne abbiamo parlato per settimane, mentre meritava solo il silenzio. Più è ciarpame e più fa chiasso, come questa noiosa parentesi fiorentina con Carmen, che non era nè miglio nè peggiore di tante altre manipolazioni gratuite ed illecite che dovremmo riconoscere, se fossimo abituati a parlare nel merito delle cose, ogni sera ci vengono offerte nei teatri. Del resto se una Gruber mummificata fa per mezz’ora la bocca a culo di gallina davanti al professor Montanari che si permette di protestare su un parco musei ridotti a contatori di biglietti per folle che entrano, ruminano ed escono senza nulla aver appreso o capito, mentre dovrebbero essere anche centri di studio e approfondimento della conoscenza, c’è da domandarsi, come mi ha fatto osservare un caro amico, quale sia l’idea di cultura corrente oggi in questo paese.
A cosa si dia lo status di bene culturale o di operazione culturale oggi in Italia è abbastanza facile a dirsi, dato che tutti ne parlano e se ne riempiono la bocca, tutti sono pro cultura, la cultura è imprescindibile, pane e cultura etc. etc. Al lato pratico, in realtà di cultura ve ne è ben poca e quando per caso vi si inciampa, magari la si sbeffeggia pure. Si parla da un lato solo di budget, di business, di numero di presenti o partecipanti per le istituzioni di grande blasone ( sempre che faccia comodo, poiché vi sono casi come quello fiorentino in cui è meglio tacere…), oppure di operazioni minuscole e diffuse, il più delle volte ripetitive, già viste e consunte, dove chiunque può autodefinirsi artista o promotore culturale e pretendere di accedere a fondi ( sempre meno ), omaggi, biglietti etc etc che dir si voglia, elargiti da enti o istituzioni di vario genere allo scopo di tenere viva la CULTURA, appunto del paese. Oscilliamo tra business ( cioè biglietti ) e dilettantismo diffuso, ma la realtà è tragicamente quella di un paese provinciale, sempre più tagliato fuori, incapace di selezionare e distinguere ciò che vale da ciò che non vale. Siamo del tutto marginali, diciamocelo, e non ci è rimasta, a furia di dar spazio ad amici e dilettanti, nemmeno l’ombra dell’autorevolezza che avevamo un tempo, per cui l’Italia era in grado di esportare e guidare gli altri nel settore ( penso proprio alla regia teatrale….) e di conferire agli artisti che la attraversavano un coté professionale più alto, perché se piaci in Italia allora piaci dappertutto…
E poi, per scendere al caso pratico di questo diffuso scatafascio, siccome la parola CULTURA non solo riempie la bocca e ci si ingegna di millantarla per riempire la pancia, ogni tanto la cultura si deve anche usare. E lì son dolori. Quando venga utilizzata proporzionalmente a quanta se ne possiede, allora siamo alla festa del riciclo, del ripescaggio di idee e non solo, per cui il copiaincolla imperversa e lo si pratica senza ritegno e senza dignità, neppure quella di evitare di andare a raspollare nell’orto di dichiarati nemici, di quei soggetti – i Grisini- che, da sempre in contrasto con le centrali del consenso, debbono essere perseguiti ed additati al pubblico ludibrio salvo poi …..saccheggiarli. I Grisini non hanno dubbi, “molti nemici molto onore”; e non è la prima volta che, parlando di cantanti antichi, è capitato di rileggere nel web frasi ( a cominciare da You Tube…) che profumavano “di produzione casalinga”, ma i due pezzi che vi offriamo a paragone sono più eloquenti di qualunque altro. Non andremo certo per così poco a disturbare la giustizia, tanto per gli articoli più pregnanti opera già un dispositivo di anticopiaggio, che l’anniversario rossiniano ci imporrà di sfruttare, ma vorremmo un po’ di decoro e di buon gusto. Anzi, di ONESTA’INTELLETTUALE. Peraltro le maestre che facevano fare riassunti, parafrasi ed imponevano quell’esercizio-sadico, ma educativo – che si nomava “arricchimento del linguaggio” sono sparite al pari dei soprani che possono tentare di rinverdire il fasto un po’ popolare, ma genuino e spontaneo di Bianca Scacciati, la Bianchina tanto cara a Mascagni.
Dopo i programmi pedissequamente copiati da controcopertine di compilation discografiche farlocche, ecco qui un altro bell’impresto per un festival lirico estivo. Un episodio piccolo piccolo che però ci illumina su chi fa, cosa come e perchè nel mondo che ci circonda.
DOMENICO DONZELLI sul Corriere della Grisi
http://www.corgrisi.com/2015/03/il-soprano-prima-della-callas-trentaquattresima-puntata-bianca-scacciati-1894-1948/
” Bianca Scacciati nacque a Firenze il 3 luglio 1894, da una famiglia del popolo fiorentino, socialista. Ed a questa sua origine rimase fedele per tutta la carriera, denotando una onestà ed una solidità di idee, che oggi oltre che la voce strepitosa per qualità naturali, sono assolutamente uniche e dimenticate in un mondo di yes men and women. Mi riferisco all’episodio del 1926 quando, nell’aprile di quell’anno, la Bianchina, così la chiamava Mascagni fu protagonista della Turandot alla prima romana e l’allora primo ministro la invitò a palazzo Venezia per congratulazioni e consegna di foto con dedica. L’invitò venne ricusato cortesemente con la scusa della necessità di studiare la Messa verdiana, ma in realtà per non venire meno ai propri ideali. Questo le costò un certo, silenzioso ostracismo da parte del reale dell’Opera, che si avviava e diventare il teatro della capitale fascista, e nel contempo la “sistemò” alla Scala , allora teatro di Toscanini di ben altro orientamento. Alla Scala la Scacciati prese parte a molte stagioni in un repertorio operosissimo sino al 1932. Poi, complice il matrimonio e il probabile appannarsi dei mezzi vocali, cominciò a presentarsi in teatro di minor importanza e più raramente.
All’epoca dell’episodio romano la Scacciati poco più che trentenne era una cantante famosissima ed in Italia, con la Arangi Lombardi, si divideva il repertorio più pesante dal tardo Verdi al Verismo, praticando spessissimo la Norma e detenendo il monopolio di Turandot.”
Giovanni Vitali: presentazione del concerto In omaggio alla Scacciati, festival (!) Non solo Belcanto
http://www.solobelcanto.it/it/bianca-scacciati-la-principessa-socialista
“Bianca Scacciati, fiorentina, è stata una delle più grandi cantanti italiane dei primi quarant’anni del Novecento. Sulla scena incarnò personaggi aristocratici e nobili: fu la Principessa Turandot, la sacerdotessa Norma, la primadonna Floria Tosca. Nella vita non tradì mai le origini della sua famiglia, popolare e socialista. L’episodio più emblematico in tal senso accadde nel 1926, quando era protagonista della prima romana di Turandot al Costanzi. Benito Mussolini la convocò a Palazzo Venezia per un’udienza privata, durante la quale si sarebbe congratulato con l’artista e le avrebbe regalato una foto con dedica. La Scacciati declinò l’invito, facendo sapere al Duce che non aveva tempo, perché doveva studiare la Messa da Requiem di Verdi. Mussolini non la prese bene. Cantò ai massimi livelli, nei teatri europei e sudamericani, fino alla fine degli anni Trenta. Senza dubbio fu la migliore Turandot della sua epoca, ma si accostò anche a parti come Norma e Giulia nella Vestale, imponendosi come un’antesignana delle grandi interpreti belcantiste della seconda metà del ventesimo secolo.”
D’accordo però bisogna ammettere che non siamo solo noi i rincoglioniti, nel senso che é tutta l’umanità che investita da una demenza diffusa. Non credo che le produzioni del Met siano tanto migliori di quelle nostre, quindi secondo me é la nuvola di Fantozzi che é diventata più grande..quello che é una vera piaga é che noi aggiungiamo il provincialismo e quello più che una nuvola é una piaga come quelle d’egitto..
Ma quello che circonda i teatri c è solo qui…Quanto al ns modo di essere cittadini, siamo sempre fermi al livello dell Italia dei film di Alberto Sordi. E il paese non ci appartiene ma sono sempre cazzi degli altri. Siamo diventati oltre il tollerabile un paese cialtrone e ladro, ragion per cui nessuno ci considera
Sicuramente ma per quello non c’è cura, forse col tempo chissà..e comunque l’italiano é di per se un egoista troppo preso da se stesso e questo si riflette in tante cose. Ci vorrebbe più sostanza e meno sentirci fighi senza esserlo poi almeno oggi.
Dovremmo ricominciare dalla buona educazione e dell onesta. Troppe porcherie passate senza pena e troppi reati impuniti hanno creato questo stato di cose. Poi magari ci vengono naturali ma siamo andati oltre il limite
Ne approfitto per dire che dare varietà alla programmazione dei teatri non sarebbe male anche perché darebbe maggiore incentivi e stimoli al pubblico ormai pigro e svogliato. Quando potremo assistere alla scala a una meravigliosa Nina di Paisiello o il barbiere dello stesso autore. Spesso si parla dell’Ottocento come l’epoca d’oro ma i due secoli prima non sono certamente stati da meno.
C è poco d aggiungere a quanto detto..
siamo un paese declinante tenuto in piedi solo ed
esclusivamente per convenienza.. tenuto su con la
colla ‘vinavil… ‘ infatti al primo stornir di fronde c’è
il solito patatrack!
La ‘Cultura ‘ il cinema ,il teatro , i musei sono usati
da questa banda di deficenti che ci sgovernano
con lo stesso criterio con cui si manda avanti sto
paese: un tot al kilo…..parolai del nulla.. ma sempre
in prima fila quando c è da spartirsi il bottino!
La nostra unica ricchezza è la bellezza che ci circonda un pò ovunque e forse anche un poco la ns sventura
tale e tanta che facciamo fatica a rendercene conto
Italia, Italia, o tu cui feo la sorte
Dono infelice di bellezza, ond’ hai
Funesta dote d’infiniti guai
Che in fronte scritti per gran doglia porte.
( Vincenzo da Filicaia )
La bellezza e la grandezza artistica dell’ Italia sono da troppo tempo gestiti da ignoranti o ciarlatani. Con pretesti di modernizzazioni culturali si perpetrano le peggiori stupidità, e si pretende di infliggere al pubblico cose che il pubblico non gradirebbe, se potesse scegliere : e alla fine il pubblico sceglie di astenersi, così come fa dal voto. Si impongono come “cultura” robe senza gusto e senza senso, e le spese di addossano ai contribuenti. Le guide di questa “cultura” si incensano tra loro ( asinus asinum fricat) : sembra di essere nella tribù delle scimmie descritta nel Libro della giungla. E noi superstiti, pur modesti e senza pretese, della vecchia concezione di cultura ormai possiamo solo assistere allo sfacelo.