Il Corriere, dopo avere proposto riflessioni sulle dichiarazioni del regista passa all’aspetto musicale del capolavoro verdiano. Non è stato uno spettacolo decente perché la direzione orchestrale di Chung non poteva bastare a portarlo al livello di sufficiente. E poi anche la parte direttoriale, al di là della qualità e del bel suono orchestrale, ha mancato di slancio drammatico nella congiura e nell’incipit del secondo atto, non ha colto la tragicità della gavotta che accompagna l’ultimo incontro fra i due amanti ed anche i momenti di colore erano ben suonati, ma smorti e spenti. E non è un limite da poco. Nulla per altro in raffronto alla qualità della compagnia di canto davvero scalcinata. Che per radio si proclami la unicità di Francesco Meli quale Riccardo resta un proclama perché alla prova dei fatti abbiamo i soliti acuti duri e tirati, l’incapacità ad eseguire il passaggio di registro che impedisce colori e legato, essenziali per il più sfaccettato carattere tenorile verdiano: amante, amico, nemico politico, sovrano. Di pari livello il Renato di Vladimir Stoyanov, da sempre limitato e sordo in zona acuta, ma che oggi, esaurito da lunga e non consona frequentazione verdiana, suona afono, stonato e dal fiato corto. La sezione conclusiva dell’aria del terzo atto, benchè aderente al momento scenico, è stata un autentico supplizio. Nulla la compagine femminile nella quale la sola signora Meli (Serena Gamberoni) può avvicinarsi alla sufficienza pur con acuti, i pochi previsti, piuttosto duri e una linea di canto, che non consente la leggerezza e l’ironia del paggio verdiano. Nella miglior tradizione dei suoni duri, gonfi ed ingolati l’Ulrica di Silvia Beltrami, per la quale la salita ai parchi acuti di Ulrica, vero ruolo di contralto ovvero la discesa in zona grave è davvero problematica. Ma la prova che possiamo definire solo indecente è quella di Kristin Lewis, che forse avrebbe avuto anni or sono la voce di Mimì e che spacciata per soprano verdiano non ha alcuna caratteristica del canto professionale, di tal qualità sono i suoni gridati, duri e forzati in zona acuta, soffocati e indietro in zona centrale e inesistenti in zona grave. La caricatura di un soprano da Verdi. Prova passata sotto silenzio che oggi equivale ad un fiasco.
5 pensieri su “Ballo in maschera a Venezia”
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Anche in occasione di una Aida torinese la prestazione della Lewis è stata accolta in modo abbastanza gelido. Alla fine dell’opera solo pochi applausi di cortesia di bassissima intensità. A Parma, quando il Regio di Parma era il Regio di Parma (e non quel teatro provinciale che avalla con applausi i suoni mal emessi della predetta) ella avrebbe rischiato il linciaggio…
Ho visto la recita di domenica 3 e la Lewis mi ha lasciato interdetto. Vado abbastanza spesso alla Fenice, approfittando degli sconti per studenti, e credo sia stata la peggiore cantante che abbia mai sentito. Ho rivalutato ampiamente la Cedolins in Tosca, per non dire la Ciofi in Traviata. Non credo fosse malata perché non aveva solo enormi problemi di intonazione e controllo della voce, ma anche di basilare solfeggio. La Gamberoni si sentiva molto di più ed era molto più precisa. Ma la scena più pietosa si è vista agli applausi finali: qualche buu subito coperto dalle acclamazioni della claque, e lei che avanzava sul palco a piccoli passi, raggelata, imbarazzatissima. Era proprio necessario ingaggiarla?
Dalle ultime cronache sembra dunque che Bologna e Venezia piangano. Vedremo tra poche ore se piangera’ anche la Scala. A me sembra comunque che, per rimanere nell’attualita’, se anche la Scala dovesse piangere il Covent Garden non rida.
Piange la lirica mio caro…la lirica morta e sepolta. Fi ni ta !
Piange, amaramente. Prendere esempio dalla Conressa di Coigny: licenziamento in tronco, per i coniugi Eyvazov. Questo e’ troppo, signora Netrebko !!!
Un po meglio il baritono, ma … nel regno dei ciechi ….