L’universo sinfonico di Bruckner è un organismo complesso: un labirinto musicale e concettuale in cui il rigore della forma è dilatato e smantellato nella costruzioni di architetture sonore di smisurate dimensioni. Bruckner – più di Mahler – raccoglie il testimone della grande tradizione sinfonica classica e lo porta verso le sponde frastagliate del XX secolo, attraverso due fondamentali direttrici: l’eredità bacchiata e la nuova musica wagneriana. Le sinfonie di Bruckner sono un percorso – compatto e concentrato nella seconda parte della sua vita – verso moduli espressivi volti al superamento della tradizione austro tedesca, attraverso ricerca e continuo ripensamento. Il carattere mite, l’insicurezza, l’ostilità esplicita degli ambienti “cittadini” che guardavano con sospetto e disprezzo quel goffo uomo di provincia e l’avversione anche violenta dei seguaci di Brahms (capeggiati da Hanslick che non risparmiò livore e crudeltà verso Bruckner, accusato di essere un degenerato alcolista, incapace di scrivere musica), si intrecciano alle vicende compositive ed alle scelte estetiche facendo da contrappasso al successo (soprattutto all’estero) ed ai riconoscimenti ufficiali, come la cattedra di armonia e contrappunto al Conservatorio di Vienna e l’appoggio dell’Imperatore. Tutto questo mondo fatto di gioie, dolori, invidie e conflitti, riverbera nella sua opera. Testimone di ciò è il continuo lavoro di riscrittura e modifica sui suoi lavori. Le tante versioni delle sinfonie di Bruckner sono una vexata quaestio musicologia ed impongono all’interprete scelte fondamentali al fine dell’esecuzione. Di quasi ogni sinfonia, infatti, disponiamo di 2 o 3 versioni d’autore oltre a varianti intermedie e posteriori ricostruzioni (la cui correttezza filologica è, ovviamente, assai discutibile, ma che nondimeno hanno avuto una larga diffusione ed una larga frequentazione). L’Ottava sinfonia è forse il lavoro sinfonico più complesso di Bruckner: sia per le dimensioni che per la complessità della forma ormai dilatata in un labirinto di temi che si coordinano tra loro in una specie di mosaico musicale. I gruppi tematici si incastrano l’uno nell’altro accrescendosi reciprocamente di intensità in simmetrie strutturali che superano i temi stessi e la funzione di motivi conduttori assunta nei precedenti lavori. Bruckner ci lavorò per più di 6 anni, dal 1884 al 1890: è suddivisa in 4 movimenti. Il primo, Allegro Moderato, è teso e drammatico ed in esso cui si giustappongono tre temi: un’apertura cupa e misteriosa seguita da un strappo lirica e cantabile che conduce ad un finale concitato e fosco attraverso un sapiente uso di climax e anticlimax sino a spegnersi lentamente nel silenzio delle pause. Segue uno Scherzo dal carattere più brillante e ironico. Il terzo movimento è uno dei vertici assoluti dell’opera di Bruckner: un ampio Adagio di grande espansione lirica in cui i dettagli strumentali e solistici si intrecciano alle ondate sonore del pieno orchestrale in un’atmosfera che rimanda chiaramente al cromatismo wagneriano con un più ampio respiro sinfonico. L’ultimo movimento è un Finale grandioso e complesso di dimensioni monumentali. Un lavoro complesso, difficile e smisurato che solo una grande orchestra ed un grande direttore riescono a porgere all’ascoltatore. E ieri alla Scala c’erano entrambi: Mariss Jansons e la Symphonieorchester des Bayerischen Rundfunks hanno dato una prove superlativa in termini di interpretazione, sonorità, precisione. La scelta editoriale cade sulla versione del 1890 (molto diversa dalla prima e molto più rifinita orchestralmente). Indescrivibile la sensazione dei pieni orchestrali giustapposti alla perfezione degli episodi solistici (il corno, l’oboe e il flauto). L’Adagio è stato il momento più toccante ed intenso della serata (dedicata alla Fondazione Veronesi ed alla ricerca scientifica) con una gestione delle immense architetture bruckneriane semplicemente perfetta: Jansons non indulge in nessun effettismo e nel gioco delle cadenze e dei climax non si lascia mai trascinare nell’eccesso sonoro. Un equilibrio magico in cui ogni piega della partitura, ogni dettaglio orchestrale viene esaltato e sottolineato senza mai perdere di vista la complessità e l’organicità del tutto. Al termine gli applausi sembravano non finire più, tra lanci di fiori e persino coriandoli colorati, come una festa a sorpresa, che mai mi è capitato di vedere alla Scala, sempre troppo avara di eventi per cui valga la pena spellarsi le mani. E ieri ne valeva la pena.
Gli ascolti:
– Versione originale del 1887 (ed. Nowak): Georg Tintner.
– Versione mista 1887/1890 (ed. Haas): Herbert von Karajan.
– Versione rivista del 1890 (ed. Nowak): Sergiu Celibidache.
– Versione Bruckner/Schalk del 1892: Hans Knappertsbusch.
– Versione “Furtwängler” (1944): Wilhelm Furtwängler.