È di una tragica ironia che lo streaming della Norma, allestita dall’Opéra Royal de Wallonie, sia stato reso disponibile proprio nei giorni di Halloween, a tal punto la produzione si uniforma al gusto, fra il macabro e il grottesco, che caratterizza questa festa. Purtroppo, non si tratta di un allestimento goliardico, ma di un tentativo di rendere giustizia (sic) al capolavoro belliniano, proponendo il debutto nel titolo di una cantante celebre per i suoi exploit nel repertorio del primo Ottocento. Patrizia Ciofi si inserisce, così, nell’ormai lungo elenco dei soprani di coloratura che affrontano il personaggio della sacerdotessa d’Irminsul. Solo negli ultimi anni abbiamo avuto, fra le altre, le ovvie Gruberova e Devia (approdate al titolo già prossime alla sessantina o ben oltre quel traguardo), Marina Rebeka, Carmela Remigio e prossimamente Desirée Rancatore. Insomma il personaggio creato da Giuditta Pasta sembra ormai “territorio di caccia” preferenziale per il tipo della chanteuse à roulades, al punto che una Yoncheva e a maggior ragione una Radvanovsky (rispettivamente un lirico pieno e un lirico spinto) sembrano evocare, al paragone, la Pedrini e la Cigna (ovviamente riviste sotto il profilo del gusto, che era assai più sorvegliato in queste che non in quelle). Pur nell’uniformità del panorama odierno, la prova della Ciofi è comunque sorprendente, perché, a differenza di altre colleghe (più sorvegliate, magari più abituate a maneggiare ruoli al di sopra delle proprie possibilità), la cantante toscana non cerca di valorizzare gli aspetti melanconici e la fragilità della donna combattuta fra dovere, gelosia, amore materno e onore, ma aderisce perfettamente all’immagine stereotipica della protagonista, affrontando “con la propria voce” (secondo un tautologico luogo comune) tutte le insidie della partitura. Lo scarto fra le richieste vocali e interpretative e i limiti pesantissimi di una voce di soprano leggero, svuotata nell’ottava grave (mai stata particolarmente consistente), spesso a corto di fiato (si ha la sensazione che canti in apnea – e basta osservare viso e torace per capire che, in effetti, è quello che accade), stridula e ballante nella regione acuta, in difetto di appoggio e quindi sistematicamente stonata, produce un effetto al tempo stesso angoscioso e ridicolo, che potrà colpire gli amanti delle novità a ogni costo (sono gli stessi su cui, in genere, fanno effetti gli annunci mirabolanti di certa stampa), ma lascerà indifferenti, nella migliore delle ipotesi, tutti gli altri. Particolare sofferenza destano nella cantante (e nell’ascoltatore) i passi più brillanti e concitati, che siano la cabaletta “Ah bello a me ritorna” (proposta in versione pesantemente scorciata), il finale primo o la stretta del duetto con Pollione, in cui le agilità sono sistematicamente spianate, oltre che aspirate e maldestramente compitate. Anche l’articolazione delle vocali risente della precarietà del canto, soprattutto nei recitativi (ma non esclusivamente – si ascolti l’attacco di “Casta Diva”, in cui la prima “a” ricorda da vicino una “u” e “queste sacre” diviene “queste socre”). Ancora, in alcuni passi (anche celeberrimi, come appunto la sortita) si riscontrano incertezze nell’articolazione del testo, che risultano insolite e non giustificabili in forza della circostanza che si tratta di un debutto, anche perché un’opera come questa non può essere preparata in poche settimane (checché ne pensino certe rinunciatarie divine) e dunque alla première si dovrebbe arrivare, se non altro, con il libretto mandato perfettamente a memoria. Ai lettori che pensino che quelli della Grisi non sappiano fare altro che lamentarsi non possiamo che raccomandare la visione del video e suggerire di confrontare la prova della Ciofi con quella di altri soprani leggeri, che in altra epoca hanno eseguito alcune delle pagine dell’opera, senza peraltro affrontarla in teatro (ché era ritenuta appannaggio di voci di ben diverso calibro). Sempre nell’allestimento belga si potranno poi ammirare (pour ainsi dire) il solito, legnoso ma preparato (e ci sembra davvero il minimo sindacale) Gregory Kunde e, come Adalgisa, un altro soprano leggero (di solito impiegato in ruoli mezzosopranili o da autentico contralto), José Maria Lo Monaco, non meno periclitante della protagonista. La direzione di Massimo Zanetti, avara di colori e atmosfere e assai propensa ad accompagnamenti meccanici, e la surreale regia di Davide Garattini Raimondi (che trasforma la tragedia di Felice Romani in una sorta di spettacolo del sabato sera vintage di Rai 1, fra onnipresenti mimi, ballerine di fila e scenografie che evocano un presepe della Standa) completano il quadro.
9 pensieri su “Fratello streaming: Norma a Liegi. Poor trick, no treat.”
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Quanto mi sono divertito! Che risate a vedere codesta Norma!! Non ho mai riso così tanto a vedere Norma!!! Per fare certe cose ci vuole genio, a meno che siffatta alchimia non sia il frutto del caso. Per ora mi sono limitato alla sinfonia ed alla priam scena e primo atto, perchè un siffatto opus maximum va degustato un poco per volta, per evitare che la sazietà (o il disgusto, a seconda dei gusti) subentri troppo presto.
Prima di tutto, che idea far danzare (no, danzare è una parola troppo grossa nel nostro caso…) tutta la sinfonia. Il senso? boh! E poi, come evidenzia giustamente Tmaburini, ‘sti ballerini e mimi, con movenze da far rimpiangere, non i balletti di Don Lurio, ma quelli del Bagaglino.
E i costumi! Ridicoli, con tutti con le facce tutte impiastricciate di colore. Rimasugli di una lontana visione di Breveheart? Ma il regist anon ha pensato che questa idea l’hanno avuto già altri colleghi?
La direzione della sinfonia mi ha fatto sinceramente rimpiangere quella, ben migliore, di Michele Mariotti sentita anni fa a Torino. E lo dico senza alcuna ironia. Preferisco fare il paragone con un direttore giovane in carriera, piuttosto che citare i mostri sacri Gui, Serafin, Gavazzeni, Muti etc.
Chissà quali altre sorprese riserverà la visione del seguito di quest Norma!
Però l’ultima Norma a Torino era diretta da Roberto Abbado (Mariotti ha diretto i Puritani). O forse alludevi a un concerto?
Mi riferivo alla Norma del maggio 2012.
cfr. http://www.teatroregio.torino.it/node/2814/locandina
Ne I Puritani Mariotti non mi aveva molto convinto, né mi aveva molto convinto la di lui bella consorte; io avrei salvato tenore e basso e basta, anche perchè la messa in scena (la stessa vista a Firenze con la Pratt) era di rara bruttezza ed insensatezza.
Almeno la messa in scena del SImon Boccanegra del S. Carlo che si vede in questo momento in TV si lascia vedere con vero piacere (i cantanti non sono tutti altrettanto piacevoli….), trattandosi della vecchia messinscena di Bussotti creata per Torino quasi 40 anni fa e riproposta varie volte sempre con successo (mi pare anche in altri teatri italiani). Elegante, di buon gusto, raffinata, rispettosa della lettera del libretto e dello spirito dell’opera. Praticamente il contrario di una qualsiasi regia di Bieito!
Salve, Don Carlos, tutto bene per la messinscena: ma i cantanti… quelli ora li ha visti MOLTO meglio che alla prima. Il basso, ora come alla prima, inascoltabile. E Maestri è caduto, e non è la prima volta (a parte una certa inadeguatezza per la parte di Simone): qui hanno fatto un bel taglia-e-cuci (e meno male…).
Molto meglio il soprano -Papathanassiou- e l’Albiani.
Il San Carlo è in pessima salute, ahinoi…
Arrivo con la recensione.
Non si riesce a sentirla tutta. Non almeno in un colpo solo. Troppo indecente. Irritante in alcuni momenti, devi smettere per non farti prendere dalla “nevrosi”. Non c’è proprio niente che “gira” in questa produzione. A questo punto, non posso lamentarmi troppo degli spettacoli visti e sentiti alla Scala. Qui, regia, voci, direzione d’orchestra, tutto è “sgangherato”. Ma siccome l’articolo è sulla Ciofi mi sento di dire che non doveva farla una cosa del genere. Pazzesco o pazza lei. In alcuni momenti irrita, in altri muove perfino a pietà, in altri ancora è semplicemente appunto ridicola. E parimenti sconvolgenti gli applausi finali. Capisco l’amico Don Carlo di Vargas che ha visto e sentito solo la prima parte. Della Ciofi si ha l’impressione che le si debbano “scoppiare” le giugulari da un momento all’altro ma anche chi l’ha sentita fino alla fine corre un bel rischio per le proprie coronarie. Non ne sono un fiero sostenitore ma un paio d’anni fa al Teatro Magnani di Fidenza in una produzione “periferica” della Norma, la Theodossiou ha fatto ancora la sua bella figura. E anche in questo caso, per non fare confronti con altre interpreti di livello nettamente superiore a partire dalla stessa Devia. Meglio volgere dunque le proprie orecchie (e occhi) a migliori cose per chi non l’avesse ancora sentita (e guardata)!
Non riesco ad ascoltarla. Con la scusa dell’agilità richiesta dal ruolo, Norma è oggi frequentata da voci liriche, lirico leggere o leggere del tutto solamente perché non esiste il soprano drammatico che la partitura esige. E non si tratta solo di voce!
L’allestimento poi e’ semplicemente ridicolo come la maggior parte delle produzioni attuali, insensate e irrimediabilmente brutte.
concordo e aggiungo che ho il dubbio che al fraseggio ed all’ accento possa essere sacrificato qualche cosa del canto di agilità, dovendo scegliere. questo non significa prediligere la norma della Cigna, sia chiaro. aggiungo che le attuali oltre ad essere ridicole o inadeguate x l’ accento non sono virtuose che possano competere con una Sutherland o una Sills e neppure con la miglior Callas