Rondine o Rondinella?

Quando pensammo il ciclo “Musica proibita” sorse, a più di uno di noi, il dubbio se fosse il caso di inserirvi “La rondine” proprio perché opera (?) un po’ dimenticata e poco conosciuta di Puccini. Poi la fama di Puccini, la circostanza che un titolo pucciniano (Butterfly) sia l’opera più rappresentata al mondo consigliarono, dinanzi alla grande produzione davvero sconosciuta a cavallo fra Otto e Novecento, di escludere il titolo. Eppure l’opera continua ad essere poco rappresentata e, prima ancora, poco conosciuta. E’ pacifico che con la produzione di Puccini non si possa parlare di genere, ma l’averla classificata operetta quando tale proprio non è perché Madga la protagonista risponde in toto alle caratteristiche (masochiste dice qualcuno) delle eroine pucciniane e perché l’opera, sia pure in formato ridotto, vanta tutte le caratteristiche della produzione pucciniana sia sotto il profilo della drammaturgia che della scrittura musicale. Non per nulla, sotto il profilo drammaturgico, Giuseppe Adami (caro ai milanesi doc quale autore di Felicita Colombo) fu da Rondine in poi il librettista di Puccini. Ed anche questo aspetto deve essere considerato.
Opera, operetta o, più semplicemente opera quasi breve, quale che sia Rondine è l’immagine della mentalità ancora borghese del tempo per cui ad una mantenuta di altissimo rango è riservato il destino di essere tale e se non muore di tisi come la più celebrata rappresentante della categoria deve, come la rondine, migrare su alti lidi, che non siano la felicità borghese dell’essere moglie e madre. Felicità borghese di cui la stessa Magda con vera crudeltà verso sé stessa si priva dopo un incontro vocale con Ruggero la cui difficoltà vocale è pari alle scene di Tosca, Minnie e Butterfly. E questo aspetto ci dice una cosa chiarissima ossia che la parte venne scritta ad personam o quasi pensando ad una certa categoria vocale di soprano di cui la Dalla Rizza nel 1917, ma prima di lei la Storchio e la Farneti (certamente assai più rifinite tecnicamente) e di li a poco Lucrezia Bori, prima Madga al Met nel 1928 furono fra le rappresentanti più accreditate. Tanto vicine al personaggio che il soprano veneto soleva dire parafrasando una frasetta della protagonista che “in casa mia è lecito tutto ciò che nelle altre case non lo è”. E questa circostanza ci illumina della inadeguatezza della protagonista fiorentina che, proveniente dalle fila dei soprani lirico leggeri, stenta e soffre il duetto del terzo atto, e manca del sapere dire, del canto di conversazione che sono l’essenza al dà della famosissima aria “Chi il bel sogno” autenticamente pucciniana. Infatti se il sogno di Doretta è scolastico e mostra limiti di timbro e di dinamica, derivati da quelli tecnici è proprio l’aria seguente “Ore dolci e divine”, che svela le limitazione del canto di conversazione che in un’opera denominata operetta è gravissimo e limitatamente della realizzazione del personaggio di questa Violetta pucciniana, che già profuma di Freud e di insoddisfazioni novecentesche. Per capire la vocalità di Madga, che nel secondo atto, poi, si dedica al solo canto di conversazione basta sentire quello che, con l’avanzo di una voce modesta fa Lucrezia Bori nell’aria “Ore dolci e divine” o in un brano da canzonettista Rosina Storchio nel “Mimì Pinson” della Boheme di Leoncavallo. Tutto questo ieri sera latitava e non solo nella protagonista. Peggio ancora con i due tenori sia Matteo Desole nel ruolo di Ruggero che Matteo Mezzaro in quello di Prunier. In primo luogo le due voci sono identiche e non dovrebbe essere perché Prunier, almeno in parte attinge alla tradizione da operetta, del tenore leggero e chiaro. Ma questo sarebbe il meno dei mali, il maggiore, largamente diffuso al giorno d’oggi è che entrambi questi giovani “di belle speranze” non sanno da che parte “si giri” la voce e quando arrivano, nel canto di conversazione, note che appartengono al cosiddetto passaggio di registro anzichè conversare e legare, urlano e gridano e con ciò l’effetto del canto di conversazione che richiede mille sfumature (dimentichiamo che il primo Ruggero fu Tito Schipa indiscusso dicitore e fraseggiatore, prima che vocalista esimio) resta assolutamente frustrato e vanificato. Che poi l’orchestra, senza strafare, suoni beni e che la guida del maestro Valerio Galli sia sicura e tenga insieme buca, palco (dove le coriste non brillano certo per avvenenza in abiti inesorato con cosce forti e polpacci all’italiana anni ’50) è importante ma non riesce a nascondere le mende. Taccio dell’allestimento. I registi di oggi non sanno muovere le masse corali (però noi li paghiamo), non suggeriscono ai cantanti quel gesto che connoti il personaggio, le scene ricordano le stazioni sciistiche anni ’50 e i costumi sono assolutamente anonimi. Domanda e quanto è costato proporre, come era ipoteticamente giusto la Rondine in occasione del centenario della sua prima.

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9 pensieri su “Rondine o Rondinella?

  1. Questo che ha scritto l’articolo è proprio un cialtrone! Guardi che gli artisti del coro vengono vestiti dai costumisti e si mettono quello che gli viene chiesto di portare e non possono fare a loro piacimento altrimenti vengono licenziati! Certo che non tutti possono avere le gambe belle, ma sicuramente hanno altre qualità che senz’altro avrà avuto modo di ascoltare!

        • Gentile Laura Lensi, le rispondo in qualità di spettatore non di costumista. Ma dove sta la coerenza e la sensatezza del suo ragionamento? Allora se vado in pizzeria e la pizza mi fa schifo non ho diritto di protesta perché non sono un pizzaiolo? Le dico solo questo perché in realtà la sua è una considerazione che non merita risposta e che purtroppo ho sentito tante volte. Fa parte del vostro lavoro alla fine. Saluti.

  2. Nicola Biffi mi ha preceduto. quando si sale sul palcoscenico si è appunto sul palcoscenico con tutto quel che ne consegue. la verità è ben altra ovvero che i cialtroni sono quelli che non sanno che coristi e comparse mettere in primo piano e chi in secondo….. simili errori i registi della vecchia scuola fossero anche se Tomasi o dalla Corte non li avrebbero mai commessi

  3. Cara signora Lensi, come scrivevo sopra, i registi devono aiutare chi sta in scena , ossia farvi belli, ossia …mettervi li bene e non vestirvi maldestramente, soprattutto se poi si finisce per tv. Detto ciò, quando inveisce contro qualcuno si assicuri che sia il giusto destinatario dei suoi lamenti …..io non sono l autrice dell articolo e non vedo perché si rivolge a me. Ho visto 10 minuti e ne ho avuto abbastanza. Cmque se vuol fare il soprano si faccia una bella scorza difensiva di fronte alle critiche oppure cambi mestiere ….

  4. Solidarietà alle mie bellissime e bravissime colleghe, anche a quelle con i polpacci anni 50!
    Ma davvero ha fatto la recensione su quanto visto alla TV?
    ma che non avete nemmeno 50 euro per pagarvi un biglietto del treno? hahaha!

    • sono un uomo di altri tempi e mi hanno insegnato che è buona educazione non criticare MAI le persone che non spendono perché, magari, non possono affrontare talune spese secondo: nessuno ha criticato i polpaccioni Delle sue colleghe atteso che ciascuno ha quelli che la genetica e le abitudini alimentari gli hanno dato, ma il regista che li mette inutilmente in mostra non dovendo allestire un quadro vivente del girone dei golosi o di un quadro di Botero. da ultimo: i soldi sono miei e li spendo come voglio. avessero cantato kraus, zeani, sciutti ed alla avrei anche speso i soldi di treno e biglietti (perché alla Grisi, ovviamente i teatri non farebbero omaggi di posti stampa come ad altre testate virtuale) ma per quanto assemblato a Firenze avrei anche risparmiato il biglietto della Atm. saluti

  5. Ho assistito alla recita di domenica scorsa e devo dire che quest’opera mi ha piacevolmente sorpreso: la musica è bellissima, “fluida”, scorre e corre in sala che è una meraviglia! Sono rimasto molto soddisfatto della direzione del Maestro Galli: un giovane che fa il suo lavoro in modo professionale (molto meglio di tanti suoi colleghi blasonati che calcano palcoscenici più importanti solo perché “spinti” dai nomi giusti). In merito ai cantanti, non ho trovato così terribile la protagonista: sa stare molto bene in scena e la voce è arrivata senza problemi fino alla galleria anche quando la barriera del suono orchestrale era più forte. Discorso diverso per Ruggero che, effettivamente, forza molto in acuto perdendo smalto. Non mi è dispiaciuta la coppia Prunier-Lisette, dotata di buona verve e autoironia (quindi, penso, in linea con l’intento dell’autore). Per quanto riguarda l’allestimento, nulla più e nulla meno di quanto mi aspettassi da un regista come Krief: la resa televisiva, in verità, non rende giustizia in quanto si concentra, come è ovvio, sul particolare. Dal vero, invece, si percepisce – nel primo atto – l’intimità dell’ambiente rispetto alle mille luci di Parigi: si ha la sensazione che l’azione si svolga in un “hortus conclusus” e non ci si perde sul palcoscenico, peraltro molto grande, del teatro fiorentino. Buona anche l’idea di far svolgere la prima parte del terzo atto all’interno della camera da letto di Magda e Ruggero: anche qui, assistere allo spettacolo dal vero mi ha dato in toto la possibilità di percepire l’intimità della scena rispetto all’ambiente circostante, sensazione che si perdeva nella ripresa televisiva. Molto bella anche l’idea di mettere a confronto/contrasto l’intimità di un ambiente privato quale la camera da letto con l’immensità del mare. Per concludere, un gradevole pomeriggio a teatro, in compagnia di uno dei massimi compositori italiani e di un titolo troppo bistrattato e che ci auguriamo torni presto in auge, o meglio, visto che popolare non lo è mai stato, venga proposto con maggiore frequenza.

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