Sappiamo già quel che sentiremo e vedremo fra pochi giorni in occasione del quarantesimo anniversario della scomparsa di Maria Callas: Pletore di amici ed amiche, destinatari di confidenze su amori e carriera, ammiratori e colleghi che ricordano dettagli di rappresentazioni del 1953 o giù di lì. E poi giovani ed allegri critici, che blaternao dell’ enorme voce del soprano, che appena le fu possibile abbandono’ Turandot, Brunilde, terreno di caccia delle voci autenticamente grandi. Con tutte queste disoneste cianfrusaglie che idea può farsi un giovane ascoltatore del soprano più famoso degli ultimi settanta anni, divenuta suo malgrado dichiarato modello di qualsiasi cagnetta calchi il palcoscenico e che, appena lanciata, si affretta a dire che la sua interpretazione sarà diversa da quella della Maria.E poi non dimentichiamo quelli che vanno dicendo che la Maria ha inventato il canto, il bel canto ed il buon canto prima maltratto dai centri aperti e pletorici della Caniglia o gli acuti spinti e ghermiti della Cigna, come se il canto di riducesse a quelle due cantanti.
Beh, a mio avviso, la Callas non è nulla di tutto questo. È ben altro è prima di tutto la strepitosa cantante Delle registrazioni di Mexico City, del Nabucco di Napoli, del Macbeth milanese e di Vespri ed Armida fiorentina.
È paradossale, ma la GRANDE CALLAS è la grassona, goffa, malvestita e complessata, che faceva centro al debutto come lady Macbeth, Armida e Abigaille. Ruoli che non ripete’ più nella sua carriera. Aveva è vero alle spalle grandi maestri, autentiche guide, ma era straordinaria. Straordinaria perché aveva appreso nei dettagli la tecnica della scuola di Garcia (la stessa da cui per vie traverse veniva Eleanor Steber),che le aveva dato una straordinaria estensione e la possibilità di cantare dal pianissimo al fortissimo in un rispetto assoluto e maniacale dello spartito. Ecco la ricetta della grandezza della Maria: controllo assoluto della voce, una sapienza tecnica approfondita e la musicista davvero grande, davvero allenata e davvero studiosa, come pochi altri cantanti nella storia dell’ opera. Anche in ruoli che non potevano essere i suoi (come Mimì o Butterfly) la Callas sarà inadeguata o inferiore ad altre per il timbro, ma il fraseggio, i colori e la dinamica sono sempre pertinenti e congrui. Poi altre hanno fatto la storia di quei ruoli o di altri coevi, ma la Callas mai è venuta meno alla fedeltà all’ autore.
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Solo che con buona pace di facili lodatori non ha inventato nulla. Più semplicemente ha continuato in una strada di cui vi sono testimonianze significative solo a volerle esaminare e conoscere. Invito i lettori ad ascoltatare Lilli Lehmann, Charlotte von Seebok, Ester Mazzoleni, magari anche Claudia Muzio, Barbara Kemp, Frida Leider ed Eleanor Steber ovvero cantanti che hanno avuto repertori vastissimi, in grado di spaziare da Spontini, Gluck o Cherubini sino a Mascagni e Puccini, passando per Mozart, Bellini e Verdi. Non servono pedanti disamine, bastano buona fede ed ascolti.
8 pensieri su “Maria Callas: proemio per le celebrazioni”
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E che dire delle sedicenti “amiche della Callas”, auto celebratesi come tali solo perché le hanno portato la borsetta una volta o due? Chi andrà stasera si cuccherà anche i loro imperdibili ricordi…..
una penosa fiera della ignoranza e della vanità, uno struscio da casa di riposo o gay pride. Poi ne riferiremo con tanto di ascolti per non fare anche noi la figura di quelli che parlano a vanvera.
L’articolo sostiene una tesi che sovverte il paradigma interpretativo dominante: quello che prevede sia esistito un prima e un dopo Callas, che con la Callas vi sia stata una netta discontinuità rispetto al passato, almeno quello novecentesco. Discontinuità gravida di implicazioni e conseguenze che hanno investito non solo il versante interpretativo ma anche quello più latamente musicologico. Diversamente Donzelli ritiene il fenomeno Callas in continuità con una precisa e illustre tradizione ben presente anche nel secolo passato già prima del suo avvento ( “non ha inventato nulla” ). Ipotesi interessante e poco condivisa ( anche dal sottoscritto ): credo che sarebbe più stimolante riflettere e intervenire su questo lasciando perdere l’esibizione della sacrosanta ma scontata insofferenza verso i pettegolezzi e le cronache mondane.
Nel mio post sulla storia interpretativa di Norma su documenta questo per il ruolo in questione, ad esempio. Nessuno argomenta la tesi di una Callas in continuità perché lo si può fare solo conoscendo molto bene il mondo dei 78 giri, cosa che i vari Fedele D’Amico etc ignorano…
http://www.corgrisi.com/2012/11/maria-callas-in-norma-londra-1952-la-prima-moderna-o%e2%80%a6%e2%80%a6-l%e2%80%99ultima-del-passato/
L’articolo segnalato qui sopra è ricco di spunti considerevoli e si collega perfettamente alla tesi sostenuta da Donzelli. E’ noto che Fedele D’Amico rifuggisse dall’ascolto di dischi – 78 o 33 che fossero – per scelta deliberata, ma la posizione a sostegno di una Callas rivoluzionaria ( o restauratrice ) in discontinuità rispetto al recente passato è stata sostenuta anche da chi aveva profonda dimestichezza con gli interpreti storici cui vi riferite. Un vociologo che ben conosciamo arrivò a scrivere che “la Callas rinnovò totalmente personaggi come Norma, Amina, Elvira, Lucia, Lady Macbeth e ricreò dal nulla, perché ogni tradizione interpretativa s’era dissolta, Medea, Fiorilla, Armida e Anna Bolena”. Posizione nettamente a favore della discontinuità callasiana rispetto al passato. Non amo le antiche registrazioni storiche e dunque ne sento poche ( perlopiù alcune di quelle che proponete voi ): finora avevo preso per buone questa posizione, ora ho i vostri argomenti per riflettere al riguardo. Una cosa è però sicura: un certo repertorio è stato sdoganato, a livello della musicologia che conta, proprio dalla Callas. Fino alla metà del secolo scorso, ricordiamolo, i titoli indicati sopra erano considerati di serie B ( basti ricordare, ad esempio, la testimonianza di Philip Gossett al riguardo ). Una cantante arrivata a influenzare lo sviluppo di orientamenti musicologici: mai visto prima e credo testimonianza di una caratura interpretativa straordinaria e di forte innovazione. Aggiungo che, nelle vostre analisi, avete trascurato un elemento che ha contribuito a fare grande e unica la Callas: la valorizzazione dell’aspetto scenico/drammaturgico, la Callas somma attrice vocale. In questo innovatrice indiscutibile ( ma è forse un aspetto che vi interessa meno ).
Ma non c’è nulla a cui pensare, solo da sentire. Quando la sutherland canta Bel raggio lusinghier è in linea con la siems e la abendroth che venivano dalla scuola della. Viardot. ..e potremmo citare altre dive dei cilindri.
Ti basta l esperienza di Armida con cui la Callas ha aperto e chiuso la questione Colbran senza tante balle….lo ha fatto semplicemente cantando come Serafin e i suoi ripassatori le avevano detto si cantava quel genere di musica che peraltro loro conoscevano a modo loro ma ben intuivano ( serafin si orchestro’ parte della partitura con Bartoletti ,perché nemmwno avevano la partitura completa). È indiscutibile che la Fleming non possa competere con lei vocalmente ma è tragico il verismo deteriore di cui infarci’ l opera nelle recite del Met, quando da diva canto’ l opera. Questo ti dà la misura della.lontananza culturale tra l oggi e ciò che l opera belcantista è stata e dovrebbe essere. Del resto noi abbiamo prodotto la.Norma della Bartoli….
Cmque maria callas fu ciò che fu perché apparteneva ad un sistema fatto di direttori e preparatori che furono la tradizione esecutiva non scritta ma messa in scena. Senza i serafin nessuna callas sarebbe mai cresciuta ed esistita. Gente che aveva visto e sentito la Lehmann e tutte le altre….La Sutherland è esistita perché il marito la plasmo ‘ sui 78 giri….etc etc….La verità è che abbiamo scambiato lo stile esecutivo dei cantanti con le questioni documentarie inerenti gli spartiti, la loro integralita etc..etc che sono tra loro ben distinte.
Scusi se mi intrometto Sig.ra Grisi ma sono d’accordissimo con Lei. La Callas non inventò ma, padrona della tecnica, fece suoi molti personaggi. Se si ascolta la bellissima Traviata di Rosa Ponselle si capisce subito che il secondo atto è servito da spunto per la Callas. La Vestale- altro ruolo che tutti dicono riportò in auge la Callas- era già stato affrontato dala stessa Ponselle. La Callas fu la prima che, come una sacerdotessa, votò la sua vita per lo studio e la conoscenza dell’autore in modo molto approfondito, spesso a discapito della voce. Il dare così tanto e così in poco tempo usura le corde vocali, specialmente l’articolare e sviscerare ogni parola del testo- come si dovrebbe giustamente sempre fare. Lei era onesta, professionista e grande esperta nel suo lavoro e non faceva la “furba” come alcune sue rinomate colleghe facevano (vedasi la Caballe con gli estremi acuti o i continui svarioni di testo per emettere i suoi meravigliosi pianissimo, vedasi la Sutherland con pronuncia pasticciata e aggiustamenti di tono, ecc.), pur ammirandole moltissimo!
È stata una donna che ha vissuto per il suo lavoro e per dare al pubblico qualcosa di sempre nuovo e diverso a livello interpretativo. Non ha inventato nulla, ci ha fatto solo ricordare e mettere in evidenza ciò che avevamo tralasciato o dimenticato: lo studio e la voce come strumento di emozione.