Si inaugura questa sera la XXXVIII edizione del Rossini Opera Festival con “Le siège de Corinthe”, titolo finora proposto a Pesaro unicamente nel 2000, allora in una revisione dell’edizione Troupenas preparatoria all’edizione critica della Fondazione Rossini in collaborazione con Casa Ricordi, curata da Damien Colas, che vedrà questa sera il proprio debutto. E in questo si può dire che risieda probabilmente il maggior motivo di interesse apparente della produzione, per la quale sono stati evitati nomi di grido dello star system così come il solito lancio delle scoperte locali, quest’anno destinate ad altri titoli.
Per rendere omaggio a questo debutto e, soprattutto, al cigno pesarese dedicatario del Festival proponiamo uno dei passi più celebri dell’opera, la Preghiera di Pamira nel III atto, nell’interpretazione di Renata Tebaldi, altra illustre pesarese, che del titolo fu interprete nella prima rappresentazione moderna nell’ambito del XII Maggio Musicale Fiorentino nel 1949, e riproposto in seguito a Roma nel 1951 e infine a Napoli nel 1952, recite da cui proviene l’unica testimonianza sonora di quegli allestimenti. L’avvento della Rossini Renaissance e soprattutto le riprese dl titolo alla Scala nel 1969 e al Metropolitan di New York nel 1975 (e che videro il debutto in entrambi i teatri della più grande Pamira moderna, Beverly Sills) hanno affinato senz’altro il nostro gusto ad interpreti e virtuosi più attenti al testo e alla variazione, ma forse oggi più che ieri l’ascolto della straordinaria voce di Renata Tebaldi in questa pagina è senza dubbio affascinante oltre che costituire un’esperienza che è di fatto rimasta quasi unica, tanto è diventato raro sentire grandi voci e, soprattutto, grandi interpreti alle prese con Rossini. Già dal recitativo l’esecuzione si apprezza per la nobiltà dell’emissione e del fraseggio, che dona espressione alla pagina ricorrendo a poche inflessioni della voce, riuscendo anche a donare autorità senza mai scadere in effetti di dubbio gusto, per poi tornare al piano nel rivolgersi al Coro prima di intonare la Preghiera, dove la voce viene raccolta in pianissimo, ma riuscendo a rimanere sempre piena e sonora, nel pieno rispetto delle grandi arcate vocali e del legato, che rimane intatto, riuscendo anche a permettersi qualche rallentando, come su “la tua pietà”, di grande effetto espressivo. Il continuo sostegno e controllo del fiato permette infatti alla Tebaldi di rimanere sonora e di conferire pienezza alla voce anche nel canto a mezzavoce e in ogni gamma della propria dinamica. Ascoltando questa esecuzione non è difficile credere a quanto raccontato dalla stessa Tebaldi durante un’intervista in occasione della prima pesarese del 2000, nella quale ricordava quale grande attesa e quanta aspettativa ci fosse in teatro per questa sua scena, tanto da richiamare dietro le quinte sarte, macchinisti e maestranze del teatro, tutti intenti ad ascoltare l’esecuzione di questa pagina e a lasciarsi trasportare da un’esperienza che è senz’altro rimasta unica nella storia del teatro moderno.
Forse una delle mie arie preferite, da ascoltare così come da (provare a) cantare, in un’esecuzione davvero splendida e toccante!