Enzo Dara ha rappresentato nel dopoguerra una anomala figura di cosiddetto basso buffo parlante. La celebrazione del defunto, irrinunciabile per la rilevanza che il cantante mantovano ha avuto nel panorama operistico fra il ’70 ed il ’90 e per la esemplare piacevolezza delle sue realizzazioni non è l’ occasione per ricostruire la tradizione del buffo parlante, ma deve, almeno, essere quella per dire che, purtroppo, di Enzo Dara il mondo dell’ opera ne ha avuto uno soltanto. Il prima era fatto ora di grandi cantanti che a fine carriera e per l’affidabilità del mezzo si dedicavano al carattere ed al buffo, oppure di grandi ed integri bassi e baritoni, che alternavano al serio il comico. Del primo gruppo paradigma Giuseppe Kaschmann, del secondo Didur, Pasero, Pinza, Taddei e soprattutto Sesto Bruscantini. Dara, che aveva iniziato come basso, da opera seria, pur con colore baritonale e, mi permetto di aggiungere, problemi nel risolvere gli acuti, dopo qualche anno di carriera in chiave di basso capì la sua strada. Fu il Mustafà dell’Italiana a fargli comprendere la via e furono le doti di sagacia ed intelligenza, nonché il desiderio, non sempre realizzato, di un Rossini depurato dalla tradizione a rendere chiaro al corpulento ragazzo mantovano che Taddeo, Bartolo, e poi Macrobio, Geronimo, don Pasquale erano la sua strada e la sua possibilità di essere un punto di riferimento.
Dara aiutato dal fisico, che non si vergognava di esibire (esplosioni di risate quando nella Pietra bolognese con marcato accento felsineo diceva :”la mamona”), aiutato dalla mimica facciale, sorretto da un gusto tanto pertinente quanto sobrio, da capacità uniche di scansione e da un sillabato esemplare ad onta di limiti in zona acuta (donde poco Don Magnifico e poco Dandini) fu presenza, sicura, impeccabile di irripetibile professionismo. In nome di quel professionismo e della dignità durante la famosa Pietra bolognese ritenne suo compito, era il più “vecchio” della compagnia, minacciare la protesta della compagnia di canto verso il direttore. La protesta rientrò, ma a ciascuna recita alla frase “il maestro don Pelagio” Dara indicò il direttore. Anche questo fa parte integrante dell’essere un Cantante.
3 pensieri su “Enzo Dara (1938-2017)”
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quando ieri sera la notizia della morte di Dara si è sparsa in Arena tra adetti ai lavori, appassionati e vecchi melomani, la commozione è stata unanime. Un musicista di grande intelligenza e un grande professionista. Il ricordo va alle dirette radio degli anni ’80 quando la presenza di Dara era una garanzia e al piacere di vederlo in scena, presenza e magnetismo straordinari. Personalemente farò sempre fatica non identificare don Pasquale o il Gaudenzio del bruschino con l’interpretazione magistrale di Dara.
La morte di Enzo Dara è stata sicuramente una gran brutta notizia per tutti noi che fin dall’età della regione ci siamo nutriti di pane e Rossini. Senza alcun dubbio è stato il maggior basso buffo degli ultimi 50 anni (io ho semrpe detto che Dara stava a Don Bartolo come la Callas a Norma) ed ha contribuito in modo indiscutibile alla Rossini renaissance, togliendo alle esecuzioni delle parti buffe del Pesarese tutti quei vizi, quei cachinni, quegli ammiccamenti al varietà di terz’ordine che troppo spesso le opprimevano. E ciò in virtù di un’ottima tecnica e di un gusto di prim’ordine. Dara riusciva a fare ridere (e tanto) senza fare il buffone. Cosa che non si può dire di alcuni suoi predecessori e non si può dire di alcuni “buffi” delle generazioni successive, che mi pare non abbiano compreso in alcun modo la sua lezione; se si ascoltano alcune recenti esecuzioni rossiniane c’è solo da rabbrividire: buffi (ma sarebbe meglio dire buffoni) che non sanno eseguire per gravi carenze tecniche e vocali quanto scritto, che stravolgono la melodia, che parlano (senza essere dei veri buffi parlanti), con vocine asfittiche, biancastre, falsettanti, “impreziosendo” le loro esecuzioni di caccole, cachinni, risatine isteriche, trovatine che il peggior comico del Bagaglino si sarebbe vergognato di utilizzare. I tanto vituperati (da certa critica) Corena e Montarsolo mai usavano siffatti mezzucci. A loro bastavano la voce (e che voci avevano!) ed il gioco scenico.
Ho avuto la fortuna di sentire più volte Enzo Dara al Regio di Torino, e precisamente in Barbiere di Siviglia (2 edizioni), Italiana in Algeri e Cenerentola (in tutti i casi assieme a Blake e con Campanella sul podio! Oggi cose così ce le sogniamo! Del secondo Barbiere Dara era pure regista) e poi nel Campanello di Donizetti, proposto assieme al Gianni Schicci, opere di cui egli curava pure la regia, e nel Matrimonio segreto di Cimarosa; l’ultima volta l’ho sentito a Vercelli nel Maestro di cappella. Dara ci mancherà davvero moltissimo.
Non credo ci sia molto da dire in più di quanto ha scritto Donzelli. Ogni sua esecuzione era una vera lezione di bel canto buffo rossiniano (e non solo). C’erano voce, tecnica, stile, classe e humor. Pari qualità erano proprie del Dara regista, ovviamente fedele alla volontà dell’autore e non nemico dei cantanti. Le gag nascevano dal libretto e dalla musica e facevano veramente ridere. Mi ricordo, in particolare, la coppia Dara – Nucci nel Campanello quante risate riusciva a provocare nel pubblico. Poi l’idea di fare entrare Enrico nei panni del tenore che ha perso la voce vestito ad imitazione di Pavarotti, in frac con un immenso fazzolettone bianco pendente in mano! E qui il pubblico rideva.
Voglio ancora ricordare il Dara garbato scrittore di cose musicali: i pezzetti che pubblicava una trentina di anni fa su “Opera” e soprattutto il suo divertente libretto “Anche il buffo nel suo piccolo”. Quando gli avevo chiesto di autografarmelo lo avevo visto sorridere raggiante; mi aveva detto che a quella sua prestazione di scrittore era molto affezionato egli faceva sempre un grandissimo piacere quando qualcuno se ne ricordava.
A proposito di tal libro, mi sono accorto che su molti articoli in ricordo del basso defunto apparsi nel web, su noti siti di natura musicofile o di notissimi giornali, lo si è usato in gran copia per riportare da esso (con maggiore o minore precisione) degli aneddoti su Dara, quali da lui stesso narrati. Nella maggioranza, correttamente, si fa cenno alla fonte e si dice qualcosa tipo “come narrato da Dara nel suo libro…”. Invece un noto critico, che mi pare sia tanto “amato” da Donzelli e non solo da lui fra i Grisini, ha saccheggiato il libro di Dara per comporre il suo articoletto (come se fosse tutto farina del suo sacco), ma col cavolo che lo ha citato! Ma non gli hanno mai insegnato che le fonti si citano? Sempre.
Sarai per sempre il mio Don Pasquale… RIP