La morte l’ha colto all’improvviso: in un caldo pomeriggio di giugno a Bergamo – città d’arte e di musica – all’Accademia Carrara. Ci lascia così Jeffrey Tate. Quel cuore coraggioso, che lo fece lottare contro la malattia che fin dalla nascita lo accompagnò (era affetto da spina bifida e cifosi), non ha retto. Un infarto improvviso l’ha fatto accasciare nell’atrio della pinacoteca bergamasca: nulla da fare. Ci lascia un grandissimo musicista. Un grandissimo direttore. Un grandissimo uomo. Un uomo che non si è lasciato incatenare dalle difficoltà che la vita gli aveva riservato, riuscendo a vincere la malattia ed in spregio ad essa, facendolo diventare uno dei più importanti direttori d’orchestra dei nostri tempi tempi. Nato nell’Inghilterra del sud, a Salisbury, accanto alle enigmatiche pietre di Stonehenge, nel 1943, coltivò la passione per la musica (diplomandosi a Cambridge) accanto agli studi di medicina che divenne la sua professione. Ma la passione per la musica era troppo forte e così la direzione fu la sua principale occupazione: assistente di Solti, Kleiber, Karajan, Kempe, Pritchard, affinò il mestiere con i più grandi interpreti del secolo, sino a Boulez, che lo volle come suo assistente nello storico Ring di Bayreuth. Debuttò due anni dopo – nel 1978 – con la Carmen di Bizet. Da allora tanta musica è passata dalla sua bacchetta. Diresse le principali orchestre del mondo e frequentò i maggiori teatri. Ebbe un rapporto speciale con l’Italia (Napoli e Venezia, senza dimenticare l’Orchestra Nazionale della Rai). Personalmente lo ricordo nelle sue apparizioni scaligere (Tannhauser, Ariadne aut Naxos, Rosenkavalier), e in molte incisioni: tra tutte mi è cara la prima incisione dei Contes d’Hoffmann secondo la partitura critica curata da Keye. Ma più delle parole è la musica che ci ha lasciato a dover far l’elogio al musicista. E quindi lascio spazio alle note. Con molta tristezza: uno ad uno mi stanno lasciando i punti di riferimento del mio apprendistato musicale. I musicisti che hanno accompagnato la mia crescita scompaiono, come in una lugubre “sinfonia degli addii”. Il tempo passa. La vita anche. Ci restano i momenti di bellezza che la musica e l’arte riescono ancora a darci. Nonostante tutto.
Gli ascolti:
Schubert: Sinfonia in Do minore D 944 “La Grande”.
Mozart: Concerto per pianoforte e orchestra KV 271 “Jeunehomme” (con Mitsuki Uchida).
Mozart: Concerto per pianoforte e orchestra KV 466 (con Mitsuki Uchida).
Haydn: Sinfonia n. 94 “La sorpresa”.
Beethoven: Missa Solemnis.
Ad uno ad uno, se ne vanno tutti. Anche Belohlavek, direttore della Filarmonica Ceca. Ciao, Matteo.
Ho appreso ieri sera della morte di Belohlavek: ne sto scrivendo ora.
Ho avuto il piacere di conoscerlo e lo ricordo come una bella persona.
Mi ricorda una “Arianna a Nasso” diretta da Jeffrey Tate a Torino una ventina di anni fa. Direzione splendida, orchestra che sotto la sua bacchetta era perfetta in tutti i suoi componenti.
Francamente l ho sentito dirigere 2 volte e.non mi è piaciuto.. Non mi pare sia mai stato nulla di che…