Proporre Giovanni Inghilleri (1894-1959) nell’aria del Ballo in maschera è offrire un balsamo per le orecchie ormai straziate da voci baritonali che sono l’imitazione dell’imitazione dell’imitazione di baritoni, comunque, beceri e veristi, ma perché tecnicamente squinternati ed approssimativi. I baritoni di oggi, anche se cantano Amonasro, Tonio, Carlo Gerard, hanno voci piccole e forzate, durano mediamente meno di un decennio. Inghilleri, che non è Battistini e neppure Galeffi, ma non emette un suono ingolato in tutta la romanza, indulge forse alla lacrima nella voce per esplicitare il dolore del marito deluso e tradito, parimenti dall’amico e dalla moglie, ma sa benissimo quando deve cantare piano e quando forte per esporre la furia vindice in nome di un cavalleresco codice d’onore che voleva l’adulterio punito nel sangue. Pure in Svezia. E che la tecnica ed il controllo del fiato serva a cantare bene, senza sforzo e almeno per un trentennio lo dimostra proprio Inghilleri nei panni del console Sharpless nella registrazione del 1952 della prima Butterfly della Tebaldi, soltanto vocalmente rigogliosa, davanti ad uno Sharpless attento ad ogni frase del tragico colloquio.
2 pensieri su “ristorare l’udito 5°: Giovanni Inghilleri”
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E non dimentichiamo il suo Amonasro nell’Aida diretta da Sabajno con Pertile, Giannini e Minghini Cattaneo ed il Marcello nella Bohème diretta da Erede con Tebaldi, Prandelli, Ariè e Gueden.
I fans della Tebaldi mi fucileranno, ma il fraseggio, il tono di accorata pietas per l’ingannata giapponesina potevano essere ideali per certe “fraseggiatrici ad oltranza” come l’ Olivero nel drammatico incontro del secondo atto.