La sera del 21 aprile in streaming dal Teatro Carlo Felice di Genova è stato trasmesso don Carlo in quattro atti con la riproposizione di un allestimento del festival Verdi di Parma, la bacchetta di Valerio Galli e nei ruoli principali Aquiles Machado, Franco Vassallo, Riccardo Zanellato, Marco Spotti, Svetla Vassileva e Giovanna Casolla.
L’opinione generale è che si trattasse di uno spettacolo di provincia e come tale da dimenticare. Allora l’opinione può anche essere condivisa a partire dall’allestimento predisposto a Parma, luogo che da anni ad onta della convinzione di essere la patria di Verdi (oltre che del culatello e del “grana” che inventato a Bibbiano è una creazione dei casari reggiani) riesce solo a scodellare spettacoli che sotto il profilo visivo brillano per provincialismo e presunzione. Ne abbiamo già parlato di quella lapide immensa in spagnolo e non intendiamo ritornare sull’argomento.
Quanto all’aspetto musicale e vocale, questa attuale provincia non può avere nulla a che vedere con don Carlos rappresentati a Genova, che ad esempio nel 1953 schierava Picchi, Rossi-Lemeni, Barbieri, Pedrini né con altri che sino agli anni ’90 si davano per la penisola, magari con la coppia Dimitrova Casolla nei ruoli delle due antagoniste femminili. Sono solo esempi.
A conti fatti il protagonista Aquiles Machado era modesto anche perché la parte dell’infelice principe delle Asturie scritta in stile e gusto grand-opéra prevede uno slancio ed un mordente in zona medio alta di cui gli ultimo due capaci sono stati proprio due indiscussi signori della provincia quali Flaviano Labò e Veriano Lucchetti. Quando don Carlos deve dire, alla chiusa del quadro di san Giusto “ei sua la fe’” da sempre sentiamo un misto di rantoli e suoni che possono propiziare solo noduli alle corde vocali e se non ci fosse la panacea di cortisonici ed antibiotici empiemi polmonari, malanno, che condusse a miglior vita Enrico Caruso. Insomma un protagonista nella norma e nella tradizione del miglior travisamento vocale del ruolo.
Qualche intenzione di fraseggio per lo più in zona centrale e quando non ci sono preoccupazioni quali il legato e la tessitura da parte del Posa di Franco Vassallo. E mi permetto una chiosa: abbiamo registrazioni storiche del ruolo del nobile sognatore dove baritoni di levatura storica non tentano i trilli (previsti da Verdi) nelle due arie, ma si tratta di esecuzioni, che per dialettica interpretativa e visione del personaggio assurgono a valore storico ad onta dell’omesso ornamento. Oggi si tenta di eseguire il trillo e poi il suono in posizione alta, che garantisce il rispetto dei segni di espressione previsti ed indispensabili per centrare il personaggio, è sconosciuto. Scusate, mi tengo le esecuzioni di Battistini, Kashmann e de Luca senza trilli. Si tratta del gotha del canto baritonale in chiave grand seigneur, ovvero di quello che onestà impone di non provare neppure a discutere.
Insignificanti e questo non è una lieta nuova Riccardo Zanellato Filippo e Marco Spotti l’inquisitore. Insignificanti vuol dire che non sono in grado di dare il rilevo – sommo- che spetta ai due personaggi, paradigmi dello scontro Stato-Chiesa, tema che nel don Carlo trova il suo massimo rilievo . E siccome trattasi di grand-opéra ovvero di un genere dalla forte connotazione anticlericale sappiamo bene chi deve uscirne male a ciò bastando la frase del sovrano “dunque il trono piegar dovrà sempre all’altar”. A Genova nessun epico scontro fra i due poteri che si incontravano e scontravano nel mondo della nascente Controriforma.
Abbiamo avuto con la Vassileva la solita Elisabetta che per colore, peso specifico ed ampiezza sarebbe (sarebbe stata) una buona Mimì o Manon di Massenet e che per simulare la voce nobile, ampia e regale, che deve essere la peculiarità della Valois verdiana, gonfia e tuba i centri, sfoggia la dizione artefatta e sale con difficoltà in una parte scritta senza soverchio impegno della gamma medio alta.
In fondo Giovanna Casolla, ultra settantenne (dato del quale la cantante napoletana non fa mistero), che ha la parte in repertorio credo da quarant’anni. Un record. Poi si può discutere dell’opportunità di certe carriere, del fatto di continuare ad esibirsi, ma una cosa è indiscutibile: Giovanna Casolla dal legato e dall’omogeneità non certo esemplari (oggi ed anche in passato) è l’unica del cast che abbia la vera voce adatta al personaggio e che si prende il lusso di eseguire il non facile do bem di “ti maledico o mia beltà” come prescritto da Verdi ossia legato al resto della frase e senza la presa di fiato. Esattamente come alla fine dell’aria la Casolla tiene il si bem di “lo salverò” previsto invece toccato. Il tutto oltre i 70 anni.
E siccome in Italia da ben quattro domeniche ci vengono servite per celebrare i cinquant’anni di carriera come opere domenicali titoli verdiani con la presenza di Leo Nucci, sempre di gusto anti verdiano anche quando la voce era decente, non vedo ostacoli al fatto che Giovanna Casolla si esibisca ancora e per giunta salutata dal successo del pubblico.
Ultimo aspetto su cui riflettere la direzione d’orchestra dove non c’erano molte idee e nessuna varietà di fraseggi orchestrali. Non vi erano, però, ne sbavature né svarioni di quelli che fanno inorridire. Alla fine sentito e risentito il suono dell’orchestra, qualità del coro erano esattamente quello che sentiamo da tutte le orchestre italiane anche quando la bacchetta sia più illustre e blasonata. Insomma le ultime due performance dell’orchestra della Scala, quella della Manon Lescaut ad onta della intrinseca qualità del suono o la compagine romana per la Stuarda, titolo assai meno impegnativo di quello genovese non ci hanno fatto sentire qualche cosa di profondamente differente a che sia in grado di sommergere il don Carlos genovese.
Avendo avuto modo di ascoltare la Sig.ra Vassileva in altro ruolo a teatro, mi chiedo infatti come le si possa chiedere di cantare l’Elisabetta di Valois. Al massimo Mimi, anche se quest’ultima ha avuto spesso interpreti di ben altra caratura vocale. In quanto al Posa, trilli o non trilli, mi tengo le registrazioni di un Ettore Bastianini.
Cordiali saluti.
Concordo pienamente.
Viva la Casolla