Nella vicenda artistica di Alberto Zedda coesistono tre figure: il direttore d’orchestra, il filologo ed il direttore artistico di manifestazioni operistiche e con esse la dimostrazione che le prime due non possono conciliarsi con la terza.
A Zedda i rossiniani (cantanti e pubblico indistintamente) debbono molto perché fu il primo direttore d’orchestra italiano a parlare apertamente della possibilità e liceità di inserimenti e varianti degli esecutori, ovvero di una prassi esecutiva che alcuni suoi coetanei, spesso provenienti dalla medesima scuola, censuravano e rinnegavano. Le posizioni di Abbado o di Pollini ( queste ultime applicate anche al Festival di Pesaro e, purtroppo, difese dal defunto) e di Muti erano ben più stolidamente ferree di quelle di Serafin o di Toscanini con frasi del tipo “ se Rossini ha scritto le varianti per un passo e non per un altro vuol dire che le voleva solo per quello”. E su questo Zedda a Martina Franca prima ancora che a Pesaro ha combattuto una lunga e condivisibile battaglia.
Ne ha combattuta altra ancor più importante ossia quella di riconoscere non solo dignità, ma grandezza artistica alla produzione tragica rossininiana. Speso venne criticato come direttore e per il gesto e per l’incapacità di rendersi conto di quello che le singole compagini orchestrali potevano dare, ma il tragico e monumentale finale primo di Semiramide è quello di Zedda. Gli altro o menan risotti o pestano la solfa e fanno rumore.
E l’aver riportato in auge ed in considerazione di grande arte la produzione tragica di Rossini sono meriti che nessuno, a parte Celletti e Gossett, con cui poi i rapporti si guastarono, sono meriti di rilevanza storica nel microcosmo della musicologia.
Sono note a vanno ricordate le capacità di Zedda di riconoscere la mano di un copista piuttosto che di altro e quindi di poter dare in breve tempo, la valutazione circa l’attendibilità e rilevanza di una fonte.
Dobbiamo anche aggiungere che alla visione di Zedda e Gossett che si può riassumere, semplificando, nel desiderio di ricostruire quanto più possibile la volontà dell’autore per la prima rappresentazione e per rappresentazioni cui l’autore (Rossini, nella fattispecie) mise mano non si è stati in grado di andare oltre da parte degli studiosi più giovani. Da tempo riteniamo che gli archivi dei cantanti protagonisti della prima o di esecuzioni coeve, od i lacerti degli stessi meriterebbero scandaglio, studio ed avrebbero pari dignità di quelli dove invenuti gli autografi perché ormai è sempre più chiaro come i cantanti, almeno i più grandi, fossero di fatto collaboratori, inspiratori e coautori del compositore, che doveva o voleva assecondarli. A solo titolo di esempio la versione di Gazza con Fernando tenore (Andrea Nozzari in dettaglio) è di assoluto interesse non già perché accomodata da Rossini, ma perché ci dice che si accomodasse e come si accomodasse. Sarebbe insomma un sostegno alle esecuzioni.
E parlando di esecuzioni viene il punto dove il ricordo e la memoria del defunto maestro non possono e non devono essere unanimi e condivise. UN dato è certo e prima dell’esperienza di Zedda lo insegnano impresari e compositori di ogni epoca, alle prese con il dover allestire le opere allestire e mettere in scena significa fare compromessi e venir meno a quei principi, che in veste di filologo si difendono e si sostengono per tutta la vita. Se il tenore ha paura a cantare il rondò di Almaviva, pur avendone le possibilità, cruda legge del teatro il rondò si taglia anche in una edizione dove vengono variate pure le frasi di Fiorello o l’aria di Berta. Quando però si dispone come accadeva nelle prime edizioni del Festival di cantanti che avevano qualità tali da affrontare e superare le difficoltà vocali che Rossini pensò per i suoi primi esecutori fossero David, Nozzari, la Colbran, la Pisaroni, la Bassi, la Marcolini, Galli sono solo quelli i cantanti che devono avere spazio a Pesaro. Scelte, come fece Zedda e non solo lui a Pesaro, altre strade dettate da altri motivi oggi non possiamo che celebrare il grande filologo e rammaricarci di fole come “i rossiniani di terza generazione che sono espressivi e privilegiano l’espressione rispetto al virtuosismo”, la “lettura di Armida della Callas non è la sola possibile” che hanno ridotto in stato antirossiniano quello che per una brevissima stagione provò ad essere il Festival di Rossini.
5 pensieri su “Alberto Zedda (1928-2017)”
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Ben ritrovati!
Che cosa c’entra Pollini? Non ne so nulla…
Pollini diresse Donna del Lago a Pesaro
Pollini venne chiamato a dirigere la Donna del lago nel 1981. Impose un’esecuzione senza varianti e senza trasporti di cui soffrirono molto tutti i cantanti sopratutto la Dupuy che non era un vero contralto e cui non furono concessi da Maurizio neppure trasporti. In compenso l’orchestra era assatanata rumorosa e qualcuno parlò di un’esecuzione della Virginia di Mercadante o dei Lituani di Ponchielli (Discoteca ottobre 1981). Nel 1983 alla ripresa il Festival provò a proporre al pianista la Horne come Malcolm in previsione di una edizione discografica coprodotta Fonit Cetra/CBS. I due si parlarono e davanti alle idee del direttore la signora preferì fare altro (mica le mancava il lavoro). L’edizione uscì come sappiamo Ricciarelli, Valentini, Gonzales, Raffanti senza una variante e fu un fiasco anche perchè i pirati di HRE, una casa discografica americana che pubblicava pirateria (pertanto assolutamente benemerita) mise in circolazione l’esecuzione di Houston del 1981 (dicembre) con von Stade, Horne, Blake e Raffanti e fu un successo…. Ma Maurizio voleva dirigere e davanti a MAurizio sodale di una vita, con identica tessera ed orientamento anche Rossini cedeva. Era la pesarese applicazione dell’ ubi maior minor cessat…. Ognuno ha la propria scala di priorità e valori.
Scusa il tono forte, ma ritorno a battaglie e delusioni di gioventù
Se non sbaglio fu l’unica volta che Pollini diresse l’orchestra. Edizione modesta e scorciata. Quella pirata però era diretta proprio male male
Verissimo quanto scrive Donzelli. Zedda è stato fondamentale per la corretta riscoperta del Rossini comico e serio. Giustamente non si può tacere della sua attività di filologo e delle edizioni critiche che ha curato, in primis quella del Barbiere, tutte oggi imprescindibili nell’esecuzione delle opere rossiniane. Mi ricordo di aver letto in un suo libro dedicato a Rossini la descrizione delle ragioni per cui, giovane direttore, si era messo a studiare i manoscritti rossiniani: durante un’esecuzione del Barbiere risultava impossibile per uno strumento (non mi ricordo quale, forse un clarinetto) eseguire un passaggio che la partitura corrente gli assegnava. Andando a vedere per scrupolo sull’autografo di Rossini, Zedda aveva notato che lì la linea di quello strumento era in realtà assegnata all’ottavino che, invece, poteva agevolmente eseguire tutte le agilità del passaggio “incriminato” (Incidentalmente, la stessa cosa era già stata fatta da Vittorio Gui, pioniere delle esecuzioni corrette delle opere buffe rossiniane su partiture riportare all’autografo).
Quanto a Semiramide, io ho assistito all’esecuzione di Zedda a Pesaro nel 1992 e me la ricordo ancora adesso come un’edizione emozionante, a prescindere dal maggiore o minore valore dei singoli cantanti. Ciò che scrive Donzelli circa il rapporto di Zedda con la Semiramide è condivisibile. Credo che il maestro milanese sia stato, nell’ultimo quarantennio, uno dei direttori che abbiano eseguito di più la Semiramide. Io mi ricordo pure l’edizione torinese del 1981 con la famosa messinscena di Pizzi e, come cantanti, Ricciarelli e Cuberli alternate, Valentini Terrani, Furlanetto e Gonzlales, non perchè l’avessi vista a teatro, ma per averla vista sul tubo, dove ora – ho appena provato a cercarla – non si trova più, ritrovandosi di tale esecuzione solo degli stralci.
cfr. https://www.youtube.com/watch?v=mz0goXyQ28o
dal che si sente che qualche variazione Zedda la faceva fare.
Non c’entra nulla con Zedda ma ho appena visto che è morto pure Kurt Moll, vera voce da Sarastro, Osmino, Rocco, Marke, Gurnemanz od Ochs. Anche in questo caso un vero peccato.