Sorella radio: I Puritani da New York

Proporre l’ultimo titolo di Bellini può essere una grande proposizione artistica oppure un atto di ignorante presunzione. Con riferimento al massimo teatro nordamericano la prima esecuzione dell’opera nel 1918 con Maria Barrientos, Hipolito Lazaro, Giuseppe de Luca e José Mardones rispose al primo esempio. Che l’opera fosse un titolo che era meglio offrire con parsimonia al pubblico lo sapevano bene tutti i direttori di teatro, che spesso ne preferivano nel repertorio protoromantico italiano altri per certo più sucuri come Sonnambula e Lucia e, magari, Norma. Le cronologie confermano l’assunto ed all aregola il mssimo teatro americano si attenne proponendo il titolo nel momento in cui disponeva di soprani come la Sutherland e la Gruberova di tenori come Pavarotti, Merritt e Blake, confermando con i Puritani una prudenza quasi soverchia perché molti cantanti che si esibirono al Met erano grandi protagonisti dell’ultimo titolo belliniano come Marcella Sembrich, Alessandro Bonci, Amelita Galli Curci, Giacomo Lauri Volpi, Renata Scotto, Gianni Raimondi, Cristina Deutekom ed Alfredo Kraus. Quello che abbiamo sentito sabato sera via etere conferma che la prudenza del passato talvolta è un valido supporto e consigliere. Per altro a scanso di equivoci altrettanto scarso intelletto e consiglio è stato dimostrato da chi ha proposto Semiramide a Monaco, ad onta di immeritati peana. Parliamo di Puritani, ma la morale è la medesima ossia che i cantanti dello star system di oggi, ad onta dell’incenso cui vengono irrorati e profusi, non sono in grado di affrontare titoli del grande repertorio italiano serio rossiniano e post rossiniano. Inutile ricordare che la maggior Semiramide dell’800 fu anche la prima Elvira di Puritani, altrettanto celebrata. Forse avrebbe dovuto ricordarselo la signora Damrau la cui voce è ormai fibrosa e dura, incapace di cantare in prima ottava, vuota al centro e drammaticamente accorciata. Il problema di questa Elvira da teatrino di provincia teutonica non sono le urla dei sovracuti atteso che la parte, pensata appunto per Giulia Grisi non ne prevede, ma la difficoltà nella scrittura centrale del duetto con Giorgio, la pagina più rossininana del titolo, le difficoltà a gestire il canto di agilità brillante della pur scorciata polacca, la difficoltà nel finale primo (il punto infimo della prestazione) più dove l’inserimento delle puntature di tradizione poteva essere evitato (non che il centro rifulga di velluto e smalto) sino alle espressioni del parlato per simulare tensione drammatica al duetto con Arturo del terzo atto e della celebre pazzia. Comprendo che l’allestimento, datato 1976, prevedesse in onore e per merito di Joan Sutherland l’esecuzione dell’allegro “ah sento o mio bell’angelo” qui rallentato di tempo con accomodi verso il basso ed intonazione dubbiosa, ma davanti alle condizioni miserevoli della protagonista buon senso del direttore e concertatore imponeva di soprassedere ed attenersi alla lettera dell’edizione critica. Quando, poi, si decide (o si deve) di fare varianti al basso si deve disporre del registro grave di petto dei soprani d’agilità del primo ventennio del ‘900, in difetto si diventa non una cantante verista, ma una cattiva cantante. Dirò che il passo incriminato a Parigi 1835 era probabilmente eseguito dai due innamorati, ma quella versione sarebbe perduta, rimasta quella della cosiddetta versione Malibran (mai eseguita se non negli anni ’80 del secolo scorso) e a quella si attenne Bonynge per l’esecuzione nuovayorkese del 1976.
Ma un direttore di buon senso e di capacità professionale sa o dovrebbe sapere che nei Puritani, opera con una varietà strumentale derivata dal più raffinato Rossini, non basta accompagnare i cantanti, serve la capacità di tenere insieme la parte di cappa e spada del dramma (tipo scena della sfida Arturo Riccardo) e quella della dolce e patetica storia d’amore della fragile Elvira, di proporre le fastose architetture come l’introduzione del primo atto, o quel meraviglioso blocco dell’intero terzo atto dove Arturo diventa il protagonista assoluto, icona dell’eroe romantico sino alle figure delle due voci gravi che da un lato sono una anticipazione delle figure paterne di Donizetti e Verdi oppure l’innamorato tradito che piange e sogna vendetta nel contempo, ma dall’altro “fremono amor di patria” in una pagina che sta fra il Tell e le quarantottate verdiane. Or bene l’altra sera Maurizio Benini, celebre per aver eseguito Assedio di Corinto con perplessità in ordine alla sua natura drammatica, si è limitato a battere la solfa e senza neppure le qualità di taluni praticoni che suggerivano ai cantanti in difficoltà accomodi o scelte di fedeltà allo spartito più consone ai loro mezzi o che davanti alle difficoltà di un Pisaroni nel racconto della follia sceglievano alla faccia della trenodia di andar spediti per evitare di esporre il cantante a rischi (e conseguenti fischi). Siccome oggi, massime in USA, non si fischia più talune avvedutezze e scaltrezze si sono disperse.
Quanto alle voci gravi quella di Luca Pisaroni (tantum nomen) è assai più chiara e povera di vibrazioni di quella baritonale di Alexey Markov, il quale nella sortita è morbido nella misura in cui è ingolato sicchè alla sfida (tessitura centrale trattandosi di una parte scritta per Antonio Tamburini) perde il controllo della voce e grida, come grida e suona stimbrato Pisaroni nelle strofe saffiche che descrivono il delirio di Elvira, inconveniente che si ripresenta puntuale allorquando Giorgio agita i probabili fantasmi della sfortunata coppia di amanti. Al grandioso finale secondo si sente perfettamente che le voci sono impari al compito di “fremere amor di patria” e di riforma protestante.
In mezzo a questa prestazione modesta e scalcagnata le cose decenti sono venute da Javier Camarena, che non ha la voce di Arturo perchè se è vero che la parte prevede tessitura elevata (meno di altri ruoli scritti da Bellini per Rubini come Gualtiero del Pirata ed Elvino di Sonnambula), parecchi sovracuti, compreso il famoso fa di fatto mai eseguito o quasi, vi è l’esigenza soprattutto alla sfida ed alla canzone del trovatore di una rotondità ed espansione di voce, oltre che di morbidezza e sonorità di cui Camarena non dispone, come non dispone nessuno degli Arturo del post Merritt. Diciamo che si è difeso e quasi salvato. Sono i Puritani l’opera su cui si fonda il mito del tenore protoromantico e difendersi, far la figura migliore degli altri mal assortiti protagonisti resta un controsenso ed uno strafalcione storico. Quanto a strafalcioni storici in fatto di storia della vocalità devo rammentare che non si può incensare Joyce di Donato Semiramide per la voce scura di vero mezzo, che restituisce la vera protagonista non fosse altro perchè spartito alla mano abbiamo sentito trasporti e trasportini di tradizione da soprano lirico leggero. Basta per accorgersi conoscere Semiramide, saper leggere un po’ la musica ed avere chiara la tradizione interpretativa della regina di Babilonia dal 1961 in poi.

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18 pensieri su “Sorella radio: I Puritani da New York

  1. La Damrau è l’ennesima patacca che ci viene rifilata come “Grande soprano tuttofare”. Nelle Nozze scaligere era vocalmente di una mediocrità imbarazzante , incapace di legare, a corto di fiati e fraseggiatrice scolastica. Non oso immaginare cosa abbia fatto con Elvira , ruolo ben più impegnativo della Contessa mozartiana. Eppure il pubblico applaude e certa critica incensa…..

    • D’accordo su Filippeschi – cantante pessimo, privo di gusto, stile e consapevolezza musicale – tuttavia non condivido affatto l’entusiasmo per l’Arturo (oddio…il frammento di Arturo) di Lauri Volpi, al solito affetto da seri problemi di intonazione e sostanziale fraintendimento tecnico-stilistico: sarà che detesto le trasformazioni di Bellini o Rossini o Donizetti in salsa verdiana. Anche Kraus francamente non mi piace come Arturo (e come cantante in genere che trovo noiosissimo e affettato). A mio gusto il miglior Arturo è ancora oggi quello di Kunde (l’unico, tra l’altro, ad eseguire in modo eccellente il Fa sovrasto del finale): Pavarotti pure è un grande Arturo, anche se un po’ inerte…il resto – e parlo di incisioni complete, le uniche che permettano una valutazione seria e coerente – oscilla tra Lindoro (Matteuzzi, Florez etc…) e Compare Turiddu (Di Stefano, Corelli, Raimondi). Deludente anche Blake (assolutamente fuori parte) e peccato Merritt non abbia lasciato una incisione ufficiale a parte la versione “Malibran” assai sacrificata per il tenore.

      • E di Gedda che mi dici?

        Ne approfitto per segnalare che su spotify si può gustare (disemm inscì) la registrazione Nightingale con la Gruberova e una serie di colleghi innominabili. Il protagonista, tale Lavender, fa fede al suo nome: una lavanderia, ogni acuto un falsettino sbiancato e candeggiato di totale inattendibilità stilistica.

  2. Non ho sentito l’opera alla radio, ma ho sentito a “La barcaccia” un brano della Damrau nella rubrica dedicata alla perle nere. Mi è bastato ampiamente.
    Era indecente e terrificante e Stinchelli e Suozzo lo facevano notare senza troppe mezze misure.

    • La Damrau è l’ennesimo “nome” scoperto dai teatri tedeschi (figuriamoci), e qualcuno ha deciso di farne una regina dei soprani. Manco fosse la Studer, che cantò tutto e il contrario di tutto e poi finì male. Solo che la Studer era molto migliore.

  3. Quella sera ho acceso la radio alla fine del primo atto, e sono riuscito ad ascoltare solo fino ai primi minuti di ‘qui la voce sua soave’, poi ho dovuto spegnere per non rovinarmi l’umore! :)
    ma, secondo voi, fuori dello star system c’è qualche cantante che possa eseguire il ruolo di elvira?

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