Continuiamo il nostro viaggio nella musica oltre la “cortina di ferro” dedicando la tappa di oggi a Robert Schumann– Più esattamente allo Schumann pianista che rappresenta – insieme a Berlioz – l’esponente più autentico e consapevole del Romanticismo in musica. Schumann è la perfetta incarnazione del tormento romantico, dell’ansia di scardinare la forma per asservirla ad un ideale di Arte non più metafisico e trascendente quale modello da raggiungere, ma strumento di elevazione attraverso la sofferenza terrena in un rapporto biunivoco con il Genio. In Schumann si “sente” (come solo in Berlioz) lo spirito vero del Romanticismo che non è l’irrompere della Natura (quello, piuttosto, fu il portato della musica barocca che porgeva attraverso la musica la descrizione quasi scientifica degli elementi naturali), bensì l’umanizzazione della stessa, la sua interiorizzazione per porgere – con la musica – il senso ultimo dell’uomo smarrito di fronte alle forze naturali, all’ignoto, al mistero. La scelta di brani – insolitamente ampia – propone uno sguardo completo sul pianismo schumanniano, attraverso l’interpretazione di diversi musicisti sovietici accomunati, tuttavia, da una complicità forse unica col compositore: quasi che i tormenti e le fragilità di Schumann (il senso di perenne ricerca di un ideale irraggiungibile – si lesionò irreparabilmente le mani sottoponendosi a insensate tecniche di “miglioramento” fisico che l’avrebbero dovuto trasformare in un grande pianista – il rapporto complesso con Clara, il rifiuto del pubblico, l’instabilità mentale che lo porteranno all’isolamento, al tentativo di suicidio e, infine, all’internamento in manicomio dove trascinò la sua vita sino alla morte) ben si riflettessero nella complessità tormentata dell’anima russa (prima ancora che sovietica), fatta di slanci e malinconie, sguardo verso il futuro e profonda nostalgia. Tutto ciò si coniuga differentemente nelle mani di Richter (che dipinge con delicatezza la Fantasia in do maggiore e le Waldszenen: ove più si ascolta l’animo dell’uomo travolto dalla natura) o in quelle di Sofronickij (una Kreisleriana che guarda al futuro, al ‘900, a Skrjabin). Così come profonda è la differenza tra la Grinberg, la Yudina e la Nikolaeva (la cui esecuzione delle enigmatiche Geistervariationen – ultima composizione di Schumann, scritta poco prima di tentare il suicidio – così allucinata ed estrema, sembra evocare uno spirito torturato pur nella magnificenza del suono prodotto), o tra il tocco sognante di Sokolov (che immerge la grandiosa Sonata n. 3 in un clima irreale) e il lirismo di Gilels (Sonata n. 1 e n. 2). Sino ad Ugorski che, a suggello del nostro percorso, offre consolazione e pace. Tocchi e mani differenti, dicevo, ma uniti da quello spirito russo (che è varietà e visione del mondo sotto altre angolazioni, consolazione e rimedio attraverso la musica di paure e mancanze) che segna la differenza con la “nostra” parte del muro: più sicura e semplice.
Gli ascolti:
Etudes Symphoniques – Maria Grinberg
Phantasiestücke – Maria Yudina
Kreisleriana – Vladimir Sofronickij
Waldszenen – Svjatoslav Richter
Fantasia in do maggiore – Svjatoslav Richter
Sonata per pianoforte n. 1 e n. 2 – Emil Gilels
Sonata per pianoforte n. 3 “Concert sans orchestre” – Grigory Sokolov
Gesänge der Frühe – Anatol Ugorski
Geistervariationen – Tatjana Nikolaeva
E di Dieter Zechlin ne parleremo?
No