Questa sera alla Scala è stata proposta una produzione di Falstaff. Nuova solo per Milano perchè trattasi, come per don Carlo, di uno degli spettacoli che diedero fondato adito all’ipotesi di conflitti di compentenza perchè Pereira da Salisburgo aveva venduto a Pereira, nominato, ma non insediato a Milano. E’ questa storia e polemica vecchia poi estintasi perchè c’era l’expo e detto sic et simplicer non si trovava chi potesse dalla sera alla mattina rimpiazzare l’incauto acquisto milanese.
In questi ultimi anni l’ultima opera di Verdi è stata assai inflazionata nel teatro milanese e non certo per il suo indiscusso valore che ne fece, durante il periodo di direzione musicale di Arturo Toscanini e poi di Victor de Sabata, titolo prediletto di quei due grandi, ma per il meno nobile motivo che non richiede esecutori dalle doti vocali sopraffine e con uno spettacolo firmato da un nome di grido e una buona bacchetta si può portare “la pelle a casa”. Poi è un titolo che presenta altre trappole di cui abbiamo già discusso in passato recente.
Francamente il sacrificio dell’ennesimo Falstaff nessuno degli autori del blog ha al momento il desiderio di affrontarlo per molte e varie ragioni che non interessano a chi ci legga.
L’idea di casa Verdi così celebrata sin dalla proposizione salisburghese, ma nel contempo così limitata come inventiva (perchè allora non le cucine economiche, il dormitorio di via Ortles, la mensa dei frati di viale Piave, il Verziere, Musocco, il Gallaratese, porta Cicca, la Baggina tanto per parlare di luoghi milanesi) che brilla per provincialismo non basta da sola a stimolare la presenza.
Però un Falstaff va proposto per ricordare gli ingredienti irrinunciabili e non volatili, come è quello dell’allestimento, di una grande produzione del capolavoro verdiano sono un grande direttore e cantanti che possono non essere sopraffini, ma devono accentare in maniera esemplare. Quindi abbiamo pensato a Bernstein molto incline a privilegiare tempi gagliardi, sostenuti e vitali, magari un po’ meno incline alle mezze tinte anche se Nannetta e Fenton sono due amorosi e il quadro finale è introdotto con vero senso del mistero dove la compagnia di canto ha almeno tre elementi italiani, nella scuola e nell’accento che rispondono ai nomi di Colzani, Sereni e Tucci (voce splendente). Buon ascolto.
3 pensieri su “Falstaff d’annata: Bernstein 1964”
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Parentesi (regia: Franco Zeffirelli)
Altri tempi al Metropolitan.
Guarda che poi Mattioli scrive un paragrafo su quei vecchi nostalgici delle zeffirellate….!
Non so quali sono le cause del silenzio in proposito, ma sarei curioso di sentire, da chi ci è andato, come va il Falstaff MM (Maestri/Metha). Al netto dello spettacolo di Michieletto che, vabbé, fa quello che fa…