Questa è una puntata speciale della nostra rubrica dedicata al far musica oltre la cosiddetta “cortina di ferro”. Nei precedenti appuntamenti abbiamo avuto modo di vedere tutta la ricchezza e la varietà di interpretazioni molto diverse dei “classici”: interpretazioni che, a dispetto del grigiore burocratico dei sistemi politici dell’Europa sovietica, testimoniano – quasi in un gioco di contrasto o contrappasso – una libertà ed una vitalità insolite in una curiosità anche intellettuale del tutto svincolata da modelli a cui dover rendere omaggio. Come se la musica, fatta e ascoltata, fosse una grande palestra di umanità dove ritrovare quel passo libero che in altri settori della vita pubblica si trovava ad essere ristretto. Questa puntata è tutta dedicata a Richard Wagner. Un Wagner diverso, come si sentirà: molto più umano e terreno, quasi rinfrescato e ripulito da ogni eccesso di mitizzazione e tentativo superomistico (per taluni simulacro di ortodossia e dogmatismo). Un Wagner che si pone in modo assai differente sia dalla grande scuola interpretativa germanica (a cavallo dei due conflitti e dell’immediato dopoguerra), sia dal cosiddetto Wagner “internazionale”, in realtà americano e sudamericano. Muta profondamente l’approccio che non è viziato né da quella reverenza missionaria, quasi che si celebrasse un rituale, fatto di costruzioni grandiose e sovrumane, né da quella tendenza “italianizzante” a spostare il fuoco sulle prodezze vocali, talvolta spingendo – laddove il cantante non era al centro dell’attenzione – sulla grancassa sbrigativa di effetti, effettacci e decibel in una generale trascuratezza per gli aspetti puramente orchestrali. Le grandi interpretazioni che propongo in ascolto – tutte riconducibili alla scuola sovietica – si caratterizzano per scelte anticonformiste nei tempi, nelle proporzioni sonore, nel modo di porgere musica senza condizionamenti estetici o politici. Ho scelto principalmente due direttori: Mravinskij e Svetlanov (oltre all’inevitabile omaggio a Kozlovskij). Due generazioni diverse, ma due approcci in un certo senso simili, che danno conto di un Wagner più lirico e duttile nella ricchezza di sfumature (si pensi ai preludi di Lohengrin e Tristan, resi con tavolozze timbriche di grande varietà senza mai scivolare nell’eccesso di colore), più leggero e terreno anche nell’incalzare del ritmo e del dramma (come nella scoperta gioia del preludio dei Meistersinger o nella commovente disperazione della marcia funebre), e più umano nella religiosità laica e terrena di un Parsifal scremato da pesantezze spiritualiste (sulla stessa scia di Kegel e Boulez nel segnare un passo nuovo all’ultimo capolavoro wagneriano, da cui difficilmente si può prescindere). Ma più delle parole valgono gli ascolti: buon divertimento.
Gli ascolti:
Der Fliegende Holländer: Overture (E. Svetlanov)
Lohengrin: Vorspiel I (E. Mravinskij)
Lohengrin: “Mein Lieber Schwan” (I. Kozlovskij)
Tannhäuser: Vospiel I (E. Svetlanov)
Tannhäuser: Fest-Marsch (S.A. Samosud)
Tristan und Isolde: Vorspiel und Liebestod (E. Svetlanov)
Die Meistersinger von Nürnberg: Vorspiel I (E. Mravinsky)
Grazie, Matteo, sono del tutto d’accordo con te.
Ascolti di grande valore. Ricorderei anche le esecuzioni di Golovanov dell’Ouverture del Rienzi e del Vorspiel dei Meistersinger, tra le più sorprendenti e rapinose che mi sia capitato di incontrare
Verissimo: anche i suoi Wesendonck sono straordinari.
per i vociomani Golovanov è il sig. Nezdhanova!!!!
Grazie a Duprez per questa rubrica, sempre interessantissima. Svetlanov davvero eccellente come direttore wagneriano, non lo conoscevo. Immagino, e soprattutto mi auguro, che più avanti Duprez dedichi una puntata anche al Mahler interpretato dai grandi direttori russi e d’oltrecortina (Neumann e Ancerl in particolare).
La Marcia funebre di Sigfrido diretta da Mravinsky ce l’ho in un CD accoppiata ad una straordinaria esecuzione dal vivo della Alpensinfonie. A mio avviso, si tratta di una delle due esecuzioni (l’altra è quella di Mitropoulos) che possa rivaleggiare con quella inarrivabile di Karajan.
Ci sarà sicuramente anche Mahler, di cui esistono molte testimonianze (Svetlanov, Neumann – che è uno dei miei preferiti – Kondrashin, Gergiev, Kegel, Sanderling e tanti altri)
Concordo in toto su Neumann e sono convinto che se avesse lavorato in Occidente, avrebbe finito per far ridimensionare l’importanza di alcune interpretazioni mahleriane che ho spesso sentito definire storiche (Horenstein e Barbirolli, tanto per fare due nomi) e sulle quali mi permetto di essere piuttosto perplesso. Kondrashin è naturalmente imprescindibile ed anche Sanderling è molto interessante. Sono curioso di ascoltare Kegel e Svetlanov (so che quest’ultimo ha inciso un’integrale mahleriana che tuttavia non ho mai ascolltato, anche perché non ne ho letto recensioni molto lusinghiere…ma ovviamente non posso esprimere alcunché senza prima averla sentita).