Finalmente il concerto fonte di tre spunti di riflessione.
L’evento davvero mondano. Bastava guardare all’entrata ed all’uscita la teoria di autovetture da redditometro che scaricavano o attendevano gli spettatori, un’eleganza femminile da Sant’Ambrogio di altri tempi, la presenza di autorità non solo locali, perché la presenza del ministro della cultura per il cosiddetto ritorno di un direttore che in Italia, massime a Roma, durante il periodo del “triste esilio” ha sempre diretto testimoniano un interesse di carattere metartistico ed in quanto tale estraneo al corriere.
L’orchestra. Questo è l’aspetto più interessante della serata perché un concerto della Chicago è, a prescindere dalla bacchetta, motivo di richiamo e di riflessione. Il suono in se è splendido e splendente, morbido, rotondo, corposo in ogni gamma ed in ogni sezione dell’orchestra equilibrato talchè mai una sezione strumentale prevalga sulle altre. In questo senso esemplare l’esecuzione del terzo movimento della quarta di Tchaikovsky perché nei passi, che prevedono i pizzicati degli archi sembra di sentire un solo strumento e non già più strumenti dello stesso tipo. Nel brano di Catalani, anno 1878, quindi, poco oltre il saggio di conservatorio di chi vuole dimostrare di saper superare la tradizione italiana, ricorrendo a richiami antichi ossia alla musica d’Oltralpe, era la calda qualità del suono a rapire l’ascoltatore più il brano. Se si fosse voluto rendere un significativo omaggio al “mi povero Catalani” l’esempio di Toscanini, che proponeva le danze di Loreley o il preludio del quarto atto di Wally, sarebbe stato questa volta paradigmatico soprattutto per chi come Muti del grande direttore italiano fa un esempio costantemente riproposto. Fatto verificatosi ieri sera puntualmente.
Terzo aspetto quello che per tutti stampa ufficiale era il solo e l’ unico ovvero il ritorno di Riccardo Muti alla scala dopo un divorzio rumoroso e sofferto dal teatro milanese. Ritorno avvenuto con il riparo o la scusa del concerto della grande orchestra, in tournée per tutta l’ Europa, e con un severo e nominale controllo di tutti gli spettatori, ufficialmente disposto a prevenire e reprimere la dolorosa piaga del bagarinaggio. Doveroso e pietoso silenzio su tale contorno. Come è doveroso il silenzio sui sermoni e dalle battute dai quali il Maestro non è riuscito ad astenersi.
Siccome la qualità del concerto e sopratutto la direzione di Muti hanno formato oggetto di discussione fra i grisini, sia presenti sia assenti dalla performance premetto che se anche la critica non deve essere supportata dal “tizio faceva meglio” Resta, però, il fatto che vi sono altri direttori, che hanno colto in maniera più pregnante le peculiarità del brano proposto. In difetto di questa opinione tutte le esecuzione sono, se non afflitte da svarioni e scivoloni orchestrali e tecnici, perfette, accettabili e di egual valore. Purtroppo non mi sembra questa la strada per valutare anche quando ci si trovi in presenza di una esecuzione di un famoso direttore e di una storica orchestra. Perché tale è stato il concerto di Muti al di là delle critiche o delle perplessità. Per quanto mi riguarda parlerei proprio di perplessità la prima è quanto in questa esecuzione sia arte direttoriale e quanto a qualità dell’orchestra perché mai alla guida della compagine scaligera o della filarmonica le esecuzioni mutiane hanno brillato per rotondità, calore e varietà di suono. Hanno sempre brillato come ieri sera per precisione e controllo dell’orchestra (ma anche qui non nascondiamo ci un’ orchestra come la Chicago suona da sola guardando se mai il primo violino) ed anche per limitati colori e scarso abbandono. Lo scarso abbandono al piacere del suono orchestrale che, piaccia o no, sono peculiarità di Strauss è stato evidente nel don Juan e non poteva essere differentemente perché la voluttà orchestrale è corda estranea al maestro. Da melomane posso dire che nessuna grande bacchetta abbia eseguito più asettica alba su Roma o intermezzo di Manon del maestro Muti. Anche qui inutile cercare scorciatoie e una scelta eseguita con perfetta precisione e con la Chicago non potrebbe essere diversamente, ma altre esecuzioni hanno offerto al pubblico una più significativa realizzazione del gusto per il bel suono, del nostalgico richiamo al passato o dello slancio vitale e vitalistico della pagina. E le medesime osservazioni possono applicarsi alla pagina di Tchaikovsky dove emergeva l’esecuzione del terzo movimento per la apollinea perfezione del suono e la coesione ed affiatamento della grande orchestra americana. Anima, cuore, idee personali erano alquanto latitanti.
Trionfo, secondo aspettativa, nostalgica memoria del ventennio scaligero, sinfonia del Nabucco, estasi del pubblico, dei mutiani in particolare. Offro per ascolto la quarta diretta da Mrvasky e la sinfonia verdiana a ministero di Toscanini al proprio ritorno scaligero. Non servono commenti.
A proposito di Muti alla guida di grandi orchestre straniere . Ricordo una Settima di Bruckner con i Wiener Philarmoniker , imbarazzante per la sua banalita’ : sembrava Martucci ( con tutto il rispetto per questo autore ) . Ben altri i ricordi di un giovane Muti : ricordo una splendida Messa in si di Bach ( si’ proprio Bach !) alla fu gloriosa Sagra Musicale Umbra
Oh no… opere in vista dirette da Muti?! No. PLEASE, NO!
Già ‘Chenier’ con … diretto da Mr. Noia ci basterà!
Ho letto che Chailly annuncia addirittura Il Pirata…..da sganasciarsi. Pereira è davvero un grande uomo da cabaret!!!