Un tram ebbe Claudio Abbado in occasione del suo ritorno scaligero e siccome i fans, che ier sera hanno avuto riparazione per un decennio di dolorosa separazione e sofferto silenzio, non hanno organizzato altrettanto. Al tram ha pensato Domenico Donzelli.
Le fermate di questo tram sono completamente differenti perché profondamente differenti i due direttori.
E allora la prima tappa di questa ascesi non può che essere casa Verdi e non per l’età del maestro né tanto meno per lo stato di salute, che appare ottimo, ma perché a casa Verdi, secondo la commmunis opinio del pubblico scaligero (confermata oggi in corso di coda per l’ingresso in piedi da una gagliarda loggionista ottasettenne) hanno corso il tempo di finirci anzitempo molti dei cantanti dei cast. E’ fama e non voglio discutere se fondata o meno che il maestro abbia sempre strapazzato e mal trattato le voci sul presupposto che le stesse fossero, rispetto alla sua persona, cosa secondaria nelle produzioni operistiche.Basta ricordare l’episodio del lancio stizzito della bacchetta al commento “finalmente un cantante da Scala, maestro” lanciato dal loggione dopo il diniego del bis della cabaletta di Attila eseguita magistralmente da un Ramey, sebbene defraudato di varianti e puntature, che alzavano il tono della prestazione del grande basso americano oppure cast periclitanti capitanati da vere jatture spacciate per il meglio sul campo come il Romeo di Agnes Balsta o la Fiordiligi di Elisabeth Connell o la Matilde di Cheryl Studer o l’Amelia di Maria Guleghina, che essendo squadrata musicalmente e tecnicamente primitiva veniva costretta ad un maniacale rispetto dei segni di espressione, che avrebbero creato problemi ad una Arangi-Lombardi o ad una Callas.
Dalla zona fiera al cimitero Monumentale dove riposa nell’edicola, che edificò con propri cospicui mezzi Toscanini cui sempre Muti si è ispirato. Il problema è che l’inspirazione all’iracondo maestro parmigiano non si è limitata al rigoroso rispetto dello spartito (che Toscanini praticava molto a suo modo) ma alla figura etica del maestro. E qui, mutati i tempi, dovrebbero essere mutati gli atteggiamenti perché Toscanini pur assurgendo a figura politica o di rilevanza politica rifiutò sempre e comunque cariche e nomine. Fu il primo a ringraziare Luigi Einaudi rispendendo, però, all’illustre mittente la nomina a senatore a vita. Al contrario il nostro quando, nel pieno della palude Stige della politica italiana, si vaneggiò il suo nome per la presidenza della repubblica si affrettò, con la medesima celerità del rifiuto toscaniniano, a rilasciare programmatiche interviste. Differenza etica e di gusto non da poco.
Forse quel tram celebrativo dovrebbe far sosta più che dinanzi l’edicola Toscanini o anche il palazzo Durini (abitazione di Toscanini e figliola Wally) in via del Caravaggio dove visse il vero ed unico maestro di Muti ossia Antonino Votto.
Votto fu uno degli ultimo sostituto e preparatore di Toscanini durante il cd settennato (sette contro venti) e per i malanni di de Sabata e la morte davvero prematura di Guido Cantelli divenne il direttore stabile della Scala per un lungo periodo. Uomo modesto e conscio del sé nel 1957 tanto che per le esequie di Toscanini cedette la bacchetta dell’orchestra scaligera, che eseguiva la marcia funebre dell’Eroica, proprio al rivale di Toscanini: Victor de Sabata, limitandosi a dirigere il “libera me” intonato in duomo dalla Gencer. Da Votto viene, in un video del 1967 ripresa delle celebrazioni per il decimo anniversario della morte di Toscanini, un insegnamento unico ovvero che un direttore non deve mai parlare ma dirigere. I maestri talvolta insegnano molto oltre la tecnica di una professione. Lo disse una volta anche Grace Bumbry, ricordando Lotte Lehmann, che un giorno, armata di forchette e coltelli, spiegò alla splendida Venere nera il galateo della tavola, indispensabile per chi dovesse frequentare il jet set.
Ultima puntata a Santa Maria delle Grazie e non per ammirare il felice connubio Guiniforte Solari e Bramante o Maestro Leonardo da Vinci, ma per ricordare che, trattandosi di una chiesa dei domenicani, lì ebbe sede il Tribunale della Santa Inquisizione.
Beh chi abbia vissuto quegli anni con i biglietti del loggione distribuiti previo controllo in occasione della traviata, il loggione presidiato da forze dell’ordine e membri della famiglia sa bene l’opportunità di questa tappa perché ce ne vuole per difendere onore e carriera, che si difendono benissimo da sole in grazia delle proprie qualità direttoriali, che ad esempio nei primi anni ’70 risplendevano davvero. E risplendevano anche per la capacità di essere in senso tradizionale un direttore da opera. Tanti titoli e tanti esempi basta visitare il “tubo”.
A domani per la seconda puntata l’epifania del maestro ovvero le necessarie e sofferte riflessioni sul concerto di venerdì
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Interessante articolo: avendo vissuto il ventennio mutiano penso sia giusto avviare una revisione storica e critica di quel periodo dove il nostro teatro aveva ancora una identità precisa seppure imposta da una personalità