Il concerto di Capodanno da Vienna

Testo di Selma Kurz, indegnamente tradotto e in minima parte rielaborato da Antonio Tamburini

Alla telefonata, con cui gli si chiedeva se volesse dirigere il concerto di Capodanno 2017 dei Wiener Philharmoniker, Gustavo Dudamel deve aver risposto con un grido di gioia. La gioia gli si leggeva in faccia nel corso della trasmissione, ma il risultato musicale è stato molto meno piacevole.
Anche solo la postura e l’espressione facciale, sempre eloquenti, dei Wiener indicavano la totale assenza di trasporto, entusiasmo e dello “stare seduti sul bordo della sedia” (come si dice a Vienna): stavano invece perfettamente rilassati, portando a compimento con professionalità un programma ben poco trascinante. Zero sorrisi, gioia non pervenuta. Non c’era la relazione per così dire amorosa che dovrebbe esserci fra orchestra e direttore, al massimo una comunità di intenti, emozionalmente a senso unico… Insomma, nessuna vera chimica, che si potesse avvertire a livello musicale – ma il conto in banca è sempre un argomento persuasivo. Basta confrontare con quelle dell’altro giorno le immagini che testimoniano il legame, la comprensione reciproca e la tensione elettrica fra l’orchestra e Carlos Kleiber. Oppure, più semplicemente, riascoltare quello che, in questo stesso repertorio, sapeva fare l’orchestra sotto la guida di Clemens Krauss.
Anche musicalmente il concerto ricordava più un sorriso appena accennato che non un’ampia risata. L’elettricità, lo charme e l’eleganza erano rimpiazzati da uno show direttoriale a base di frizzi, lazzi ed educate gag. A Dudamel manca una vera comprensione di questa musica: abbondano i cliché, latita un approccio autenticamente personale. Non basta l’entusiasmo. Nell’affascinante “Tik-Tak Polka”, che rielabora motivi da “Die Fledermaus”, il direttore distrugge ogni transizione fra i diversi temi e procede senza indugi e facendo parecchio rumore. Il programma è composto per lo più da brani sconosciuti. Qua e là si sarebbe potuto inserire un valzer dei più celebri o un piccolo gioiello come “Im Krapfenwaldl”, “Moulinet”, “Die Libelle”, la “Jockey Polka”, “Feuerfest” o il “Vergnügungszug”. Invece si va alla ricerca delle rarità, per le quali è difficile fare confronti. Dove il pezzo si chiudeva con un bell’accordo finale, il pubblico ha applaudito calorosamente, in altri punti le reazioni sono state di educata freddezza. Esemplari in questo senso le ouverture di Lehár e Suppé: ampollosamente enfie e lente, ripiene di effetti e deprivate di ogni finezza. Il “Bel Danubio blu”, di cui nel 2017 si festeggiano i 150 anni dalla prima esecuzione, non ha prodotto in alcun punto una vera impressione o la rivelazione di qualche nuovo particolare. Mediaticamente parlando, la scelta di Dudamel da parte dell’orchestra è parsa azzeccata. Musicalmente: il nulla in confezione di lusso. Il direttore si è palesemente divertito e tornerà volentieri a lavorare con l’orchestra, cui garantirà in questo modo ampio riscontro sui media. E la musica? Un particolare trascurabile. Una mano lava l’altra – Business as usual.

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8 pensieri su “Il concerto di Capodanno da Vienna

    • Prima si matura e poi si fa la.grande carriera. Questo chiasso faceva fa debuttante e chiasso fa.ora che ha toccato tutte le tappe.piu importanti. Bluff è la sua giusta definizione….poi magari a causa di questi imposti qlche vero talento non trova lo spazio che merita…posto che i problemi tecnici che ha nell opera ti fanno.anche dubitare del talento…

    • Scusi ma cosa ci ha trovato di gustoso? Un concerto di una noia mortale, così noioso non lo si ricordava a memoria d uomo. Erano brutti persino i fiori, con un improbabilissimo ananas sempre in primo piano. Persino meglio il concertone nazional-pop della fenice. E poi concludo: non mi pare tanto ggggggiovane dudamel, ma comunque o sei giovane e vali oppure vatti a fare la gavetta e non ammorbarci pure il capodanno.
      A proposito..buon anno a tutti.

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