Fratello streaming.Madama Butterfly alla Scala, versione 1904. Successo QB

La Scala incassa un altro successo (non certo un trionfo) per il secondo S. Ambrogio firmato da Riccardo Chailly con una serata incardinata sulla formula, obbiettivamente saggia, del maestro milanese: titolo di repertorio con un condimento di elementi di filologia, secondo moda odierna QB; regista che prova a servire il libretto e non se stesso QB; direzione di mestiere QB. Peccato che a questa Butterfly mancasse il cast e che la noia abbia regnato sovrana, anche questi grazie al maestro. Potrei dire paradossalmente che, in mancanza di vera grande musica, forse sono meglio le serate movimentate e contestate che questi ben organizzati sonniferi inodori incolori e insapori, ma tant’è. Meglio così se la si guarda dal punto di vista della responsabilità che un direttore porta verso un’istituzione molto provata dai deliri di ego incontrollato di certi cialtroni à la page che hanno messo il palcoscenico ed il podio della Scala a dura prova facendo imbufalire il pubblico. Molto meglio così, perché i teatri costano molto, hanno bisogno di pubblico, di minore falsa sacralità e falsa culturalità, più mestiere e più spettacolo, migliore ordinaria amministrazione, se proprio non si può far dell’arte, dati i tempi che corrono. Qualche agente della comunicazione che opera sulla carta stampata ha già lanciato i suoi strali contro i fischiatori retrogradi, che avrebbero causato questo stato di cose imposto da Chailly: spettacoli prudenti, troppo prudenti e senza arte. Comunicatori che dimenticano, o forse nemmeno percepiscono, la tragica condizione di sprofessionalizzazione profonda in cui il teatro odierno versa. Oggi persino Papa Francesco si è occupato di questa mala stampa che disinforma contribuendo al declino irreversibile di ogni aspetto della nostra società, definendola “coprofilia” e “coprofagi” i loro lettori. Chissà, magari da melomane quale è avrà visto la diretta dalla Scala e stamani letto il giornale prima dell’omelia.. Questa mala stampa, che poi incensa vergogne inzeppate di clichè gratuiti ed iperconsumati, dovrebbero cominciare a riflettere ascoltando, se ne hanno le capacità uditive, la successione martellante di frammenti dell’opera cantati dalle grandi Butterfly che da inizio novecento ad oggi hanno dato voce alla dolce e tragica Cio Cio San e riflettere sull’omogeneità assoluta che ritroviamo nelle intenzioni esecutive ed interpretative di ogni passo. Omogeneità che significa obbedienza allo spartito, al dettato del compositore, poi sedimentate in “tradizione” e che costituisce il gigantesco incombente telaio cui ogni rappresentazione moderna deve fare riferimento. Omogeneità che non ha mai impedito ad una Farneti, o ad una Grusceninsky, o ad una Olivero, o ad una Price, o ad una Kabaivanska di essere artiste vive, cioè se stesse. Deve poi anche costui, se gli occhi glielo consentono, guardare e leggere le indicazioni di scena dell’opera e delle sue prime rappresentazioni, le foto del tempo, della prima del Met, di Parigi etc etc, i costumi, per riflettere sull’odiosa ignorante anarchia registica che da anni si va spacciando per cultura ed avanguardia con la legittimazione del mero nome delle auliche testate per cui costoro scrivono. Gli artifici e gli eccessi della comunicazione hanno proprio in questi giorni trovato una clamorosa ribellione nella gente, ma, a dire il vero, il pubblico del teatro già da tempo sta rispedendo al mittente i deliri egotisti dei cattivi registi e dei loro portavoci. Prodotti indigesti reclamizzati come arte, ma privi dell’ essenza necessaria, dei requisiti del buon fare, dalla conoscenza del know how, del pensiero e della riflessione, sostenuti solo dal marketing amico che, privo di argomenti a favore, non cessa ogni volta di insultare il “pubblico retrogrado.” Contro la falsa qualità e la falsa cultura si rivolge ora la reazione della gente: la cattiva comunicazione inizia a ritorcersi contro che l’ha sfruttata per coprire le mende di ciò che non funziona più. Finalmente.
Va dato atto a Chailly non per opportunismo ma per buon senso, dunque, di voler provare a fare le cose alla vecchia maniera, con i propri mezzi, anche se non è né Karajan, né Mitropuolos, e purtroppo nemmeno Bartoletti. Quel Bruno Bartoletti, ultimo vero rappresentante della grande tradizione direttoriale del repertorio italiano, avvezzo al grande canto di scuola come ai grandi cantanti, che agli Arcimboldi, dirigendo una Daniela Dessì male in arnese ma sempre puntuale su ogni frase importante, dolcissima e tragica come è Butterfly, nell’allestimento elegantissimo, sufficientemente astratto e tutto giapponese di Arari ci commossero fino alle lacrime. Non era preistoria, ma l’anno 2004 e pare siano trascorsi secoli, tanto veloce e vasta è stato in questi venti anni lo stravolgimento di ogni gerarchia di valori nell’opera lirica.

L’evento inaugurale anche quest’anno il maestro Chailly lo ha voluto incardinare sulla prima versione dell’opera del 1904 e forse solo in questo ha peccato di opportunismo, ma tant’è. Ci ha consentito di appagare una piccola curiosità per una versione che visse solo per una sera e di realizzare ancora di più, se ce ne fosse stato bisogno, che i grandi uomini di teatro come Puccini furono grandi anche per la lucidità con cui seppero giudicare i propri “errori” ed emendarli. Ci ha mostrato che a volte basta poco, nel teatro, perché l’equilibrio di uno spettacolo cambi radicalmente, come Puccini fece con questa opera. Da un lato espuntò certi passi di quella cornice di colore che rallentavano il primo atto, dall’altro rese la linea vocale più cantabile, ampio, lo slancio melodico più sviluppato, rinunciando forse ad una componente che ier sera mi è parsa definibile come impressionista, o se vogliamo simbolista, del canto. L’azione scenica venne certamente resa più pregnante a Brescia, esemplare in tal senso il piccolo taglio all’interno del duetto d’amore, proprio di quelle battute che rompevano l’atmosfera magica e la travolgente progressione della scena d’amore. Non c’è contenuto filologico in questo evento, ma solo, ripeto, una curiosità ora appagata che ci conferma che quanto alla fine fu licenziato da Puccini era quanto lui stesso ritenne migliore per la sua opera, che era ben lungi dall’essere una ciambella senza buco, al contrario un capolavoro cui mancava qualche intervento qua e là. E mi pare importante osservare che mentre il lavoro che costituisce il grande precedente a Madama Butterfly patrocinato da Ricordi, ossia l’Iris di Mascagni, libretto di Luigi Illica, scene di Hohenstein, ha finito per segnare il passo rispetto al capolavoro pucciniano anche perchè maggiormente caratterizzato dal bozzettismo che non ha retto al mutare del gusto del pubblico, la giapponesina di Puccini ancora oggi conquista il pubblico. Puccini seppe andare oltre il colore, nelle cui suggestioni Mascagni rimase impigliato, per infondere nella protagonista una tenerezza ed una vis tragica che mancavano ad Iris. Gli equilibri dell’opera sono sottili, i confini che possono degenerare il personaggio dalla ragazza ingenua e illusa in una creatura manierata e stucchevole molto difficili da rispettare, la tensione del secondo atto molto difficile da reggere sino al finale.

Ieri sera l’orchestra della Scala ha suonato benissimo ed il maestro ha diretto professionalmente, con mestiere, pulito e sicuro, ma con scelte di tempi, a mio avviso, non sempre adeguate alla compagnia di canto di cui disponeva, oltre a qualche fragore di troppo di cui (chiusa del duetto d’amore, scena di Goro ed Yamadori al secondo atto, chiusa del secondo atto) non sa mai fare a meno. Ha restituito benissimo tutte le singole componenti dell’orchestra, ci ha fatto udire ogni singolo strumento ed un perfetto equilibrio sonoro tra le parti. Sono mancati, però la magia e le suggestioni di momenti come l’entrata della protagonista o il coro a bocca chiusa, velocissimo, la passione che alimenta il grande duetto, o lo strazio, cioè gli accenti, della scena di Cio Cio San con Sharpless. Tutti i topoi dell’opera parevano mitigati, persino la tragedia del finale, o i momenti minutamente descrittivi come il risveglio dopo il coro a bocca chiusa, dove Puccini dipinge la ripresa della vita, il fermento dell’attesa, la gioia del prossimo incontro in un crescendo, che, poi, sfocia nel duetto delle due donne. C’era tutto e non c’era nulla al tempo stesso, questa è stata la percezione televisiva, in buona sostanza la cura di ogni dettaglio o di molti di essi (in orchestra, ovvio, perché sul palco fraseggio poco, poco) ha fatto perdere il senso generale dell’opera di qual dramma del disinganno di cui vittima una donna innamorata ed ingenua. Per questo ricordavo Bartoletti, che nei momenti chiave dell’opera ti veniva puntualmente a prendere al tuo posto per restituirti quello che Butterfly rappresenta nel contempo: modernità e tradizione. Le lentezze del maestro Chailly, poi, hanno avuto anche un altro risvolto più grave rispetto alla mancanza di tensione inflitta alla serata, ossia quello sul canto. Il cast era di possibilità limitate e, non certo il migliore reperibile sul mercato, diciamolo e per questo avrebbe meritato velocità più sostenute per arginare i limiti che abbiamo udito in tutta la serata. La protagonista Maria Josè Siri non aveva le carte in regola per essere una Butterfly da Scala ed il risultato non è stato soddisfacente. Ha cercato di ridurre al minimo e nascondere i propri difetti vocali, di questo dobbiamo dargliene atto, ma mancava quasi tutto ciò che è necessario per essere non una Butterfly da Scala, ma una Butterfly professionale e decorosa. In primis la voce, asciugata rispetto a quella degli esordi, consumata da un repertorio scriteriato affrontato senza, per contro, una vera saldezza tecnica, che consenta di superare le difficoltà vocali ed interpretative del personaggio. In questa versione dell’opera la parte implica una minore insistenza sugli acuti, che restano note spinte non facili, mentre l’assenza di un registro grave e la scarsa saldezza dei piani hanno minato per tutta sera il canto di conversazione, su cui si fonda, romanza a parte, l’intero secondo atto. Di qui ne è uscito un fraseggio limitatissimo, in alcuni momenti certamente fuori controllo, come nelle note gravi della scena con Sharpless. Mende tecniche e mende naturali quali 7il timbro senescente, talora chioccio hanno influito negativamente sul personaggio, privandolo di candore e dolcezza, erroneamente sostituite con leziosaggini. Poi una disarmante mancanza di cavata, fatto grave per una cantate, che pratichi il repertorio spinto, per cui ogni frase importante, da quelle “Ei m’ha scordata…”, sino al finale, ove la voce deve potersi espandere, uscivano sbiadite e prive della lacerazione e della loro imprescindibile drammaticità. La regia televisiva ha impietosamente insistito su una cantante che ha portato a termine la sua prova sorvegliando chiaramente ogni frase, una dopo l’altra, senza che tutte insieme concorressero a costruire il personaggio, visibilmente al di sopra della sua possibilità. E di questa scelta ha responsabilità il maestro Chailly che poteva avere cantanti migliori e più adeguate.
Del tenore Brian Hymmel non vorrei dire molto, perché l’ho trovato simpatico, all’opposto del personaggio, ma pessimo. Voce indietro, il centro aperto e sguaiato, acuti spinti, monotono. Inadeguato ad una serata importante ed anche di questo ne porta la responsabilità il maestro, che deve rendersi conto che lo sforzo per proporre buone compagnie di canto è imprescindibile ed irrinunciabile.
Bene Carlo Alvarez, e ci mancherebbe altro in questo ruolo per un baritono come lui; mediocre, perché ingolata e grossolana, la voce di Annalisa Stroppa come Suzuki. Sonoro il Goro di Carlo Bosi ( più del tenore titolare ) ma spesso compiaciuto e con la voce spampanata.
Della produzione guidata dal regista Hermanis, diciamo che si tratta di uno spettacolo fatto con mestiere, compiuto e pensato. La autentica qualità mi è parsa risiedere nei costumi, bellissimi in televisione, e nella sua capacità di comporre l’immagine del primo atto e della seconda parte del secondo. Meno bene la prima parte del secondo, idea che fu già di Ponnelle e poi di Russell, ma che non convince, nell’esagerazione della boiserie e della carta da parati (il Sacro cuore è culto cattolico, non di un protestante americano come Pinkerton..!) improbabili per una geisha del XIX secolo, che nulla poteva conoscere nulla delle case americane (la Butterfly di Russell era ambientata nella seconda guerra mondiale..). Ho trovato autolesionista l’idea di mettere tutto lo spettacolo al proscenio, rinunciando a dare una vera spazialità alla casa ed al giardino, a favore di questo meta teatro a due-tre livelli che abbiamo gia visto e rivisto e che poi lo ha costretto a muovere comparse e coriste solo lungo le passerelle, o riempire le quadrature con i volti delle geishe etc. Da casa lo spettacolo non pareva privo di regia, piuttosto mi è parso che la protagonista, già di per sé poco efficace nel fraseggio, risultasse bamboleggiante nelle movenze, mentre necessitava di dare maggior vita al suo personaggio. Le movenze da Kabuki hanno finito per remare contro la tragedia finale, che si va delineando nell’opera e che è, al contrario, così melodrammatica ed italiana: bene il suicidio ma sempre troppa gente in scena, complice anche la compressione del palco sul proscenio, le comparse con le lacrime del finale un puro rumore visivo. In definitiva, uno spettacolo che può andare ma che di fronte a quanto abbiamo potuto vedere in passato, dall’ultimo Arari, a Lavelli, come a tutta la nostra tradizione dei Samaritani, o alla sontuosa cinematografia di Minghella al Met etc è buona routine ben realizzata dal Teatro alla Scala.
Con gli stessi criteri di costruzione della produzione, si poteva fare molto di più per questa Madama Butterfly, molto, a cominciare dalla ricerca di protagonisti migliori da parte del maestro Chailly. Buona la formula, ma ancora non basta.

36 pensieri su “Fratello streaming.Madama Butterfly alla Scala, versione 1904. Successo QB

  1. D’accordo sul dato di fondo, cioè sulla mediocrità complessiva del tutto con particolare riferimento alla voce canto, questo sconosciuto…
    Devo però dire che per la seconda volta consecutiva si è ascoltata un’ottima orchestra, guidata da un buon professionista, il che non basta certo per fare Arte però è un bel passo in avanti rispetto a orrori precedenti. Stesso discorso per la regia, almeno secondo me.

  2. D’accordissimo anche se la migliore del cast (non di certo entusiasmante) mi è sembrata Suzuki soprattutto a livello scenico. Sembrava una Butterfly più da teatro di provincia che da Gran Teatro Alla Scala ma, dopo anni di schifezze, l’ ho trovata dignitosa. È bello leggere sempre il vostro sito e non pensare di essere impazzito o avere problemi all’udito se qualche cantante o direzione non piace!!!

  3. Concordo in gran parte con quanto scritto da Donna Grisi. Non è stata una serata memorabile, ma è stata forse, tutto sommato, la migliore serata inaugurabile degli ultimi anni.
    Una dimostrazione di sano buon senso.
    Finalmente qualcosa fatto in maniera seria. Da quanti anni a Sant’Ambrogio non si vedeva una messa in scena normale? Dopo il Don Giovanni strampalato e carico di idee riciclate, dopo Lohengrin che fa il pediluvio, dopo La traviata con Alfredo che trita la verdura, dopo Giovanna D’Arco con i diavoloni in fregola, dopo la Tetralogia con tutto quello che Wagner non aveva previsto, finalmente un’opera ambientata nei luoghi e nei tempi previsti dall’autore e dai suoi librettisti. Già solo questo rendeva un poco più benevolo lo spettatore che spesso non era riuscito a sopportare le schifezze (ohimé non solo sceniche) propinate dall’illuminata dirigenza scaligera nel suo tentativo di dirozzarci tutti. Se poi si pensa che in origine era prevista la regia del “prode” e “geniale” Michieletto, allora i meriti del regista di ieri vanno alle stelle, così come la nostra gratitudine nei suoi confronti, dato che si può solo immaginare quali abissi di castronerie, idiozie e schifezze si sono evitati. Chi scrive ha avuto la disgrazia di assistere alla messa in scena di Madama Butterfly ad opera del suddetto Michieletto data a Torino alcuni anni fa. Mai vista una schifezza simile (ma poi ho visto una Lucia ad opera del predetto regista e si avvicinava in quanto ad idiozia…), piena di idiozie, di errori balzani e priva di autentiche idee. Se è vero quanto si diceva mesi fa della dipartita di Michieletto dalla produzioen si deve dire grazie a Chailly che avrebbe osato (facendo quanto è sacrosanto dovere di un maestro concertatore e direttore d’orchestra) chiedergli di vedere i bozzetti e di spiegargli che regia avrebbe avuto intenzioen di fare. Il genio registico si sarebbe offeso, leso nell’orgoglio e ferito nel proprio ego, e se ne sarebbe quidni andato.
    Grazie, Maestro Chailly.
    Qui belle le scene e belli i costumi, azzeccate le proiezioni e di buon gusto le coreografie. Alcune idee non saranno state particolarmente nuove, ma meglio così.
    A merito del regista il fatto che Cio Cio San si suicidi nel modo corretto tagliandosi la gola con il coltello “tanto”, secondo la modalità previsdta per il suicidio delle donne (jigai) e non infilandosi il coltello “tanto” nel ventre, come previsto per gli uomini che facevano seppuku.
    Bello sentire l’orchestra della Scala in gran forma che suona proprio come si deve.
    Qui e nella conduzione dei cantatni mi pare di vedere chiaramente la, positiva, mano di Chailly.
    Non c’è bisogno di dire ulteriormente che il cast non era certo ideale, sia in senso assoluto, che in senso relativo, per i nostri mala tempora. In particolare il tenore si aggiudica meritatamente la palma del peggiore, Non riesco francametne a capire com eun cantante con una voce così disonomogenea, una tecnica tanto discutibile, uno stile così grossolano, possa cantare Faust, Troiani, Romeo e Giulietta e – soprattutto, udite, udite! – nientepopodimenoche il Gugliemo Tell !!!
    Alvarez sicuramente il migliore, bravo Bosi, dalla voce più bella ed omogenea di quella di Hymmel, ho trovato brava pure la Suzuki della Stroppa, obiettivamente molto bella la Brandolino, ma mi pare che tentasse di scurire troppo la voce, adulterandola, per così dire.
    Finalmente, poi, un gruppo di comprimari complessivamente bravi, pur con i suoi alti e bassi, ma complessivamente degni della Scala (almeno di quella attuale) dopo che altre volte si erano sentite cose raccapriccianti e dalle parti principali e da quelle di fianco.
    Sono in gran parte d’accordo con la Grisi anche a proposito della Siri.
    Non è il mio ideale per Buttefrly, neanche in questi tempi. Però, dopo averla sentita in Tosca a Torino, temevo peggio.
    Per lo meno è riuscita a terminare l’opera in modo dignitoso, secondo me aiutata da Chailly che non ha quasi mai ecceduto nelle sonorità, evitando di coprire i cantanti, e l’ha sostenuta, a prescindere dai tempi di cui si dice.
    Una nota all’articolo: ritengo corretto l’uso dell’immagine del Sacro Cuore, poichè Nagasaki era la città più cattolica del Giappone e qui c’era e c’è una missione padri francescani; quindi è probabile che fosse questa la missione cui è salita tutta sola in segreto Cio CIo San (che evidentemente e presumbilmente non poteva capire molto la differenza fra cattolici e protestanti). stanco così le cose è evidente che le fosse più semplice trovare in città delle immagini legate al culto cattolico.

    • Ullala la missione francescana ! Me ne scuso ma il sacro cuore l’ho letto come legato alla religione di Pinkerton. Esistevano anche missioni protestanti a Nagasaki cmque, perciò la missione cui lei dice di essere salita può ben essere della religione du lui…. Grazie.
      Tornando alla questione Michieletto, credo proprio sia per lui il gratuito pistolotto contro il pubblico retrogrado del personaggio cui parlavo sopra. La Scala ha peccato si lesa maestà verso l astro del teatro di regia italiano che però mi pare raccolga strali anche fuori dal ns paese.

    • Può darsi che Cio-Cio-San sia salita ad una missione francescana, ma… insomma… Pinkerton è troppo “Yankee vagabondo” in ogni senso per potere essere un cattolico (sia pur moralmente menefreghista ) che contrae un matrimonio “all’uso giapponese” a cuor leggero,e poi torna bel bello in America a sposare Kate secondo il rito di Santa Madre Chiesa come nulla fosse, non sarebbe proprio plausibile credo nemmeno al giorno d’oggi per un cattolico per quanto non praticante. Figuriamoci all’epoca in cui è ambientata Butterfly… Saluti a tutti.
      Maometto II

          • Caspita !!! Mi devo rimangiare il mio sarcasmo. E’ a questo che ti riferivi quando parlavi delle buone potenzialita’ fino a 2-3 anni fa ? Questa esecuzione e’ del giugno 2014 … .Nell’aria e’ un po imballato, pesantuccio e monotono, concludendo con un grido ma poi sale di livello e, nel complesso, senza farne l’Arnoldo del secolo, io l’avrei applaudito mentre l’altra sera era da buare.

          • Caro Danilo, mi riferivo a questo e ad altri video che si possono trovare su YT. Non si tratta di performance straordinarie, ma c’è un certo livello di professionismo, ci sono intenzioni corrette e i risultati sono quantomeno decenti. Ecco perché, in tutta onestà, non mi sarei mai aspettato che in tempo così breve si fosse ridotto così. Capisco che il ruolo è teoricamente al fuori dal suo repertorio (anche se Hymel lo affronta abitualmente!!!), ma riuscire in un disastro simile come Pinkerton – per di più senza aria – dopo aver affrontato Arnoldo, Roberto il diavolo etc. andava oltre ogni mia previsione .

  4. Tutto giusto e saggio quello che scrivi carissima. Due parole, però, sulla versione 1904: se è vero che il primo atto e , soprattutto, il duetto d’amore sono molto meglio nella versione “tradizionale” è altrettanto innegabilmente vero che la seconda parte , con quell’impressionante scontro fra le due moglie di Pinkerton, guadagna moltissimo in coerenza, drammaticità e lacerazione. Difficilmente poi potrò fare a mene delle frasi di Cio-Cio-San quali : Suzuki fammi bella , fammi bella , fammi bella!!!………….No, non mi toccate! Quanto tempo è che vi ha sposata?-voi? (rivolta a Kate)
    .Davvero commovente.

    • Potrebbe essere l’unica parte da recuperare l’incontro fra le due mogli perchè è per certi versi lo scontro fra i due mondi. Però il Tu tu piccolo iddio anche con parole differenti non ha la tragica sintesi di quello successivo si perde. Per dirla alla milanese “el mena il giazz” il nostro sor Giacomo. Devo dire che risentito anche Chailly e la sua scarsa protagonista hanno menato il giazzo. Proviamo ad immaginarlo per bocca e canto di una Olivero o di una Scotto….

    • Devo dire che si capisce che tutta la parte che precede il suicidio appare rabberciata nella versione definitiva, incluso l inserto dell aria del tenore. Ma tant’è. Di fatto puccini ha voluto sintetizzare l opera, ammorbidire la parte di colore e intensificare il lato drammatico del personaggio. Credo che in sintesi si possa dire che abbia voluto meno Giappone e più melodramma…

  5. Non è ancora una “prima” da Scala ma la situazione è migliorata. Almeno, in fatto di regia, allestimento, direzione musicale e rispetto del libretto dell’autore. Purtroppo, con le voci siamo ancora lontani. Anche a me l’altra sera come alla sig.ra Grisi è venuta in mente la Dessì. Sicuramente, la Siri ne è molto molto distante sia in fatto di voce che di interpretazione. In particolare, ho notato una poca spontaneità e una tendenza ad essere troppo “bambola” che, con la voce non eccelsa, hanno creato un personaggio molto “fisso” e “imballato” poco capace di destare emozioni tranne, a mio parere, nel finale. Da questo punto di vista, ho preferito la maggiore spontaneità di Suzuki che, quindi, a mio parere, ha reso meglio anche con la voce. Francamente, ho trovato poco nella parte la Brandolino (bella a vedersi, meno a sentirsi). Tra gli uomini, concordo con quanto scritto più o meno dagli altri (tenore improponibile, Alvarez molto bravo, Goro accettabile). Il coro a bocca chiusa non ha trasmesso sufficiente coinvolgimento emotivo per la rapidità dell’esecuzione. Messa in scena bella specialmente se confrontata con certi recenti obbrobri realizzati alla Scala sia alle “prime” che durante le stagioni. Troppo “affollato” il finale con comparse “fastidiose” e inutili. W Chailly!!!

    • in questo momento mentre fatico mi ascolto una butterfly qualunque delle molte che cantò nei tetari di tutto l’orbe terrario la signora Antonietta Stella. Nessuno parlava in termini encomiastici, adulatori di questa SIGNORA cantante, anzi si diceva che era un affettata, un po’ compassata e via discorrendo che talora gi acuti erano spinti e davan di naso. TUTTE PALLE davanti a quella robetta di ieri UN COLOSSO!!! del canto e pure dell’interpretazione…..

    • Diciamo che in tv la siri pareva procedere battuta dopo battuta, frase dopo frase , sempre sulle uova e mai sicura. Al 7 dicembre o te la canti in scioltezza o sei fuori luogo. Tutta sera sulla difensiva e la voce a tratti malferma. Il personaggio lo fai quando canti senza problemi tecnici …

  6. A quando pare gli Ascoli in tv sono star buoni, mi sembra che il direttore abbia detto che era orgoglioso di avere riportata su rai uno dopo 40 anni la prima alla Scala, che io ricordi l’ultima e stata nel 1997 con Macbeth

  7. L’ho ascoltata dall’ultima fila di platea.
    Pinkerton poco raffinato per non dir altro, Butterfly e Suzuki volonterose ma poco espressive e coinvolgenti, discreto Sharpless, discreto Goro.
    Orchestra quasi sempre sul mezzoforte-forte, un po’ troppo pesante, spesso copriva inopportunamente i cantanti. Sul coro a bocca chiusa no comment.
    Regia assente o fastidiosa, quasi buoni costumi e scene.
    L’Opera commuove lo stesso, ma è merito di Puccini e non degli interpreti.

  8. Ho gia’ detto alcune cose nei post degli altri articoli: nel complesso, concordo solo in parte con i pareri espressi in questo articolo: penso di poter invece sostanzialmente condividere quanto scritto, nell’altro articolo, da AMODOMIO: uno spettacolo molto noioso e, nel complesso, direi, una ben brutta serata, segnatamente a causa delle voci chiaramente ma non e’ che l’allestimento fosse niente di entusiasmante, comunque rispetto a quello che avrebbe potuto essere ci si e’ probabilmente guadagnato. Perche’ tanta noia ? A parte le voci, la versione del 1904 mi e’ sembrata, sono purtroppo scarsamente competente e preparato, ma dicevo mi e’ sembrata una ben brutta ma proprio brutta copia della versione, diciamo cosi’, classica. Se non ho male interpretato i precedenti articoli di Duprez e Donzelli, devo dire che mi sento piu’ vicino al pensiero di quest’ultimo: ecco, io mi sarei volentieri evitato questa novita’ della prima versione: la curiosita’ avrebbe magari potuto essere appagata in un’altra occasione e delegandola forse ad un’apposita edizione discografica ma non a una prima scaligera. Tanto per citare alcune cose: il brindisi dello zio nel primo atto ed anche il finale dello stesso. Non sono poi convinto che l’incontro con la nuova moglie avesse un particolare significato ed efficacia drammatica: “voi da quanto l’avete sposato ?” “Un anno”. hai appena scoperto che quello che credevi l’uomo della tua vita ti ha crudelmente bidonato mentre stava dall’altra parte dell’oceano e probabilmente hai gia’ deciso di ammazzarti e che cosa ti viene in mente ? Adesso le chiedo quand’e’ che si sono sposati: e se fosse stato 2 anni fa ? E se fosse stato una settimana fa ? Cosa sarebbe cambiato ? Forse se si fosse risposato 3 anni fa, appena ritornato in patria sarebbe stato meno perdonabile ? Invece siccome ha aspettato 2 anni allora forse e’ un po piu’ perdonabile perche’ ha resistito per l’appunto 2 anni ? A parte questo, altri momenti in cui mi sono cadute le braccia: ” sono stordito: addio mi passera’”, ” un mio amico mi ha detto di darvi questo “(denaro)”, “che cocciuta testolina”.
    Ma che brutto !!! Forse esagero ma mi si passi il paragone: e’ come passare da Amleto a “tempesta d’amore”: non me ne vogliano gli appassionati di quest’ultima che potrebbero, non a torto, accusarmi di non apprezzarla nel suo giusto valore per non averne mai visto nemmeno una puntata (se per questo, nemmeno una scena).
    Sulle voci, posto che non mi sembra di avere individuato estimatori del tenore, e se per questo neanche del soprano, devo dire che:
    – la Siri, al contrario di Don Carlo di Vargas, l’ho trovata peggiorata e non migliorata rispetto alla Tosca di febbraio
    – ho trovato peggiorato, rispetto alla stessa Tosca, anche Alvarez che giudico in questo caso largamente insufficiente, e qui mi scopro decisamente isolato perche’ i pareri mi sembrano complessivamente abbastanza lusinghieri: ho trovato la sua emissione pesante e forzata, totalmente priva di quella morbidezza che mi aspetterei da un buon baritono. ora, possiamo ovviamente disquisire sul fatto che tanto su questa pianeta le cose vanno cosi’ ma non vorrei essere pessimista al punto da escludere che 2-baritoni che cantino meglio in giro per il mondo ci possano essere: vogliamo dire Piazzola, Finley e magari Priante ? Finley qualche anno fa, ora non so. Magari anche Julian Kim ?
    Ma anche i comprimari complessivamente non sono, secondo me, all’altezza: ho gia’ detto della delusione di Carlo Bosi che, un anno e mezzo fa, se la memoria non m’inganna, fu un ottimo Altoum.

  9. Proseguo qui il discorso con Giovanni David su Hymel.
    In effetti, e’ proprio strano. questo Pinkerton, paragonato a quell’Arnoldo, mi ricorda un alpinista tornato sano e salvo tempo fa da una difficile scalata che oggi inciampa nel bordo di un’aiuola durante una passeggiata nel parco.
    Comunque, ho studiato un po sul tubo e costui i mezzi li ha, eccome, poi, come tu dici, non era comunque perfetto ma complessivamente accettabile:
    – la “pira” e’ deludente: buttata li’ a caso, imballato e sembra che legga la lista della spesa
    – Edgardo e’ sicuramente superiore, con un paio di scivoloni
    – “credeasi misera” (siamo nel 2009) e’ a tratti lodevole anche se alla fine sfocia in Canio
    – accettabile (un po sopra le righe) il finale di Carmen
    – abbastanza buono il “nessun dorma”
    – buono il finale primo di Bohème (buona la Yoncheva) e qui siamo a 2 anni fa
    – buono l'”addio fiorito asil” del 2013
    Ma la cosa piu’ strana e’ che sono piu’ che accettabili i 2 estratti di Butterfly di questo luglio a Orange: “amore o grillo” e finale I. Ma allora, mercoledi’ serata stortissima ? Solo un episodio ? O cantante straordinariamente altalenante ?
    A proposito: a Orange non male la Jalo, tanto per dire.

  10. a parer mio…e tutto il resto è noia.. ma stavolta il resto è stato il 98% della serata; musica compresa, tolta la curiosità di ascoltare la prima versione possiamo certamente dire che tutto quello che Puccini ha tagliato è stato ben tagliato. Altro che congiura Sonzogno, alla prima hanno fischiato perché dopo due opere macchine teatrali perfette come bohème e tosca, il pubblico della scala si è ritrovato questa Butterfly del 1904 che non decolla mai…
    sui cantanti quasi quasi mi taccio. La Siri non mi è piaciuta affatto, non si arriva a inaugurare la Scala compitando la parte nota per nota, agogica e dinamica piatte, morte, la parola non esiste, la voce non svetta non è mai veramente fuori e da sempre la sensazione che la posizione sia bassa e la voce trattenuta in bocca, mai alta a sufficienza. Tenore…bah, forse una serata no, forse a Orange basta e avanza…forse in altro repertorio è meglio, ma mi sembra grossolano anche in quello, e poi basta cambiare repertorio per mandare la voce completamente fuori fonazione? se si, allora siamo prossimi al baby pensionamento come ha scritto qualcuno. Un cantante tecnicamente ferrato canta con la stessa voce, con la propria voce anche il repertorio “sbagliato”soprattutto se è una parte di fianco come Pinkerton1904. E concordo con Danilo per quanto riguarda Sharpless, una parte elementare… non serve Basiola, ma di meglio si trova volendo. Regia funzionale, magari anche banale i rimandi al teatro NO e Kabuki alla lunga a me hanno stancato, non si può “stilizzare” il dramma di Butterfly è un opera! e c’è molto più melodramma all’italiana che teatro giapponese in quest’opera, alla fine più che teatro giapponese sembrava di avere davanti una Ciociosan ebefrenica… Melodramma sterilizzato.
    è pur sempre una questione di metro, in provincia una Butterfly così va forse, ma forse, bene…ma il 7 Dicembre non basta.

  11. ..visto la seconda …
    vero è che non si esce esaltati
    vero altrettanto che sia la J Siri che il tenore B Hymel
    non sono due assi come non lo è stato Alvarez…mentre ho trovato brava la Suzuki della signora A, Stroppa…resta comunque una compagnia di canto assolutamente equilibrata ;
    Si è assistito ad un gran bello spettacolo, forse
    infarcito di troppe japoneserie, molte comparse e molto teatro ‘euro -kabuki ‘ tuttavia aiutano ad entrare nel mood di questo super classico della lirica
    Scene e costumi bellissimi così come le luci ed i movimenti sempre misurati e sempre precisi dei personaggi e mimi .. è indubbio che un pò di sapore di provincia si respira in questo allestimento specialmente per chi ricorda una Butterfly regia di K Asari direttore Gavazzeni !? ..o quella di Samaritani (vista a Firenze qualche anno fa )..per non dire nulla dell edizione video di Ponnelle
    Va riconosciut o a Chailly e all orchestra di aver messo
    in ‘piedi’ uno spettacolo d insieme buca, regia e cantanti.
    anche aver dato modo di ascoltare la prima versione mi è sembrato una buona idea

    Credo che si debba concedere a questa produzione scaligera una promozione a quasi pieni voti,
    per chi bazzica come molti che qui scrivono, i teatri d opera in giro per l Italia e per altri lidi non si può asserire che questa sia una Butterly noiosa …
    che ha comunque avuto i suoi momenti topici sicuramente encomiabili ..
    altro discorso sono le voci ma ahinoi sappiamo cosa
    e chi e come si canta un pò ovunque.
    Quindi accontentiamoci di Freni e Scotto non ce ne sono più in giro
    Ricordate l Aida della passata edizione chi era il soprano ? Qui con la Siri siamo già saliti di livello !
    Chi ha l opportunità vada in Scala
    e bravo Chailly che ci ha risparmiato le <michellettocazzate …

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