In questa nuovo capitolo della serie dedicata alla musica dietro la “cortina di ferro”, voglio parlare di un grande, grandissimo direttore, che meriterebbe di essere considerato tra i più importanti del secolo XX, ma per le ragioni già esposte nelle puntate precedenti, assai poco conosciuto e considerato: Herbert Kegel. Tedesco di Dresda della cui Philharmonie sarà direttore principale per circa un decennio, legò il suo nome all’orchestra della radio di Lipsia a cui dedicò la propria carriera di musicista dal 1948 al 1977. Kegel incarna come pochi altri le peculiarità ed originalità di come si faceva musica nella DDR: curiosità intellettuale, spregiudicatezza interpretativa, esplorazione di linguaggi nuovi. Nella sua carriera affiancò all’interprete del sinfonismo classico, una vera e propria missione nel porgere la “nuova musica”, trasferendo la sua freschezza culturale nell’esecuzione dei grandi titoli di repertorio. L’elenco di incisioni e testimonianze è ben corposo e passa da un ciclo beethoveniano di una modernità incredibile ad un Parsifal ancora più rivoluzionario di quello di Boulez (smitizzato da ogni tentazione religiosa e tradotto in una disperata e drammatica umanità), dai Carmina Burana incisi insieme agli altri due fondamentali tasselli del progetto metaculturale di Orff (porgere l’antico attraverso un gioco intellettuale di rimandi ad linguaggio ripensato per l’uomo moderno) ad uno Schoenberg e Berg di spietata concretezza, sino alle incisioni “brechtiane” e all’opera di diffusione della Neue Musik. Tra le tante possibilità di ascolto ho scelto la scena dell’Incoronazione tratta dal Boris Godunov di Musorgskij (in traduzione tedesca), per varie ragioni: innanzitutto la versione scelta – quella realizzata da Shostakovich – di raro o rarissimo ascolto e che di per sé è un capolavoro, valorizzata ancor di più dal suono magnifico della Staatskapelle di Dresda. E naturalmente per le interessantissime scelte interpretative. Dove guarda il Boris Godunov di Kegel? Al ‘900, alla scuola di Vienna, alle dissonanze, alle sonorità barbariche. Musorgskij viene catapultato nel XX secolo di cui diviene interprete attraverso una tensione ed una violenza percepibile sin dai primi accordi. Un ascolto entusiasmante reso ancor più intrigante dallo zar di Theo Adam, lontano anni luce dal tipo di vocalità slava a cui siamo abituati (e che spesso trasforma Boris in una specie di orco anziché in un uomo divorato dal senso di colpa, dal dubbio e dalla umana fragilità). Con Kegel lo zar è vittima del potere, non ne è il detentore o lo strumento. E’ schiacciato come gli altri e come il popolo (protagonista assoluto nella visione kegeliana) è sacrificato ad esso. Buon ascolto.