Aspettando Butterfly 2: I primi dieci anni di Butterfly

Figurarsi se quelli della Grisi aspettavano silenziosi la prima rappresentazione di Butterfly. Non è nel loro stile ed appunto non lo hanno fatto. Il primo pensiero in occasione di una Butterfly, che vorrebbe essere la riprosizione della partitura, che andò in scena a Milano nel febbraio 1904 e vorrebbe essere una riparazione del fantomatico torto subito da Puccini impone di andare alle prime esecuzioni di Butterfly ed alle prime interpreti della stessa. La vera riparazione ad avviso non nostro, ma del medesimo Puccini fu il trionfo nel successivo maggio tenutasi a Brescia ossia a 70 Km da Milano, giusto per ricordare che il pubblico meneghino aveva “fischiato a vuoto”.
Da quel maggio 1904 Buttefly fu Butterfly ed iniziò un cammino ininterrotto e questo, se interessa, fa capire che l’opinione di Donzelli sia differente da quella di Duprez e prima ancora della dirigenza ossia che la versione della prima assoluta febbaio 1904 costituisca semplice oggetto per studiosi e non per spettatori ai quali deve essere offerta quanto meno la versione di Brescia e fors’anche quelle successive.
Come accade con altre opere di Puccini non abbiamo la testimonianza della prima interprete di Btterfly: Rosina Storchio. Sulla Storcio, sul fatto che si presentò nel ruolo della sedicenne gheisha in evidente stato di gravidanza e che fosse ben noto che il padre fosse Toscanini molto è stato detto. Eppure nonostante l’insuccesso come Cio Cio san la Storchio un mese esatto dopo la prima trionfò in Scala protagonsta di Boheme e nel corso della carriera, davvero lunga, riprese più volte il personaggio di cui era stata protagonista alla prima assoluta. Legge del teatro, saggezza della donna non sappiamo, ma nessun trauma per Rosina Storchio rappresentò quella prima anche perchè a fischi e fiaschi, seguiti da successi, i cantanti sono da sempre abituati. E poi la Storchio era tecnicamente parlando una cantante solidissima uscendo per mezzo di Melchiorre Vidal dalla scuola di Garcia, aspetto ch ele consentì un repertorio piuttosto vasto e carriera quasi trentennale. Sembra quasi un paradosso, ma la prima registrazione della aria più famosa ell’opera è già del 1904 ed affidata ad una cantante di buona carriera Vittoria Almansi (1878-1944)
Immagine anteprima YouTube che usciva anch’essa dalla scuola di Vidal. E paradossale, ma a pochi mesi dalla prima le linee guida del personaggio almeno nella romanza sono ben chiare dolcezza, rimpianto e castigatezza di gusto. Oltre tutto la Almansi, come la Storchio e come altre Butterfly, del primo decennio praticava il repertorio antico (Lucia, Rigoletto, Travaiata, don Pasquale e Fra diavolo) nel quale erano indispensabili controllo assoluto del fiato e della respirazione e, per contro, censurate cadute di gusto. Alle fila dei soprano di agilità appartiene anche Belle Alten,
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soprano middleuropea ed anch’essa per il tramite di Aglaia Orgeni prodotto della scuola Garcia. Il marchio di fabbrica è sempre lo stesso saldezza assoluta nel centro della voce che si ripercuote sulla facilità a reggere la tessitura tutt’altro che agevole di Butterfly sempre sul passaggio con un orchestrale denso e con slanci sia in acuto che in zona medio grave. Oltre tutto con l’aggravante che il personaggio invita, per rendere la fragilità al bamboleggiamento ed ai suoni aperti, sotto un dettaglio strettamente tecnico. Devo però dire che anche da soprani provenienti dalle fila dei soprani di agilità per il primo decennio di circolazione del personaggio ne sentiamo pochi per non dire nessuno.
Non disponiamo dell’esecuzione della Storchio, ma di quella della protagonista della rivincita ovvero Salomea Kruscenivsky.
E qui siamo ai massimi livelli di canto e di fraseggio. Cantante di grandissima scuola e conseguente grande gusto (oltre tutto dedita per doti di fraseggio e di recitazione ad un repertorio molto oneroso) la Kruscenivsky è sobria e contenuta nel fraseggio, senza eccedere non vi è una frase che non sia accentata e detta per colpire l’ascoltatore e scolpire il personaggio. Sotto questo profilo la cantante ucraina gioca alla pari solo con Maria Farneti. La Farneti, insuperata regina del verismo, ma sempre e solo nel rispetto del canto fu anche la prima Butterfly a Napoli nel 1906 su diretto e preciso invito di Puccini. Quando incise la morte di Butterfly era oltre i 50 anni e ritirata eppure è insuperabile e supera nella morte per contenuto accento tragico se stessa nell’esecuzione dell'”Un bel di vedremo”, dove ogni tanto indulge a qualche suono un po’ aperto. Ma come nel caso della Krusceniscky banditi bamboleggiamenti ed affettazioni nell’interpretazione; oltre tutto nella Farneti il tempo lento ed indugiante esalta la poesia del personaggio della geisha. Le caratteristiche che emergono dall’ascolto di Maria Farneti sono il calore del timbro e l’accorato accento, che fanno del personaggio non la petulante giapponesina, ma la donna che patisce, innocente, l’inganno.
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Spiace che di queste due interpreti ci siano solo brani solistici e non già quelli del canto di conversazione dove il personaggio realizza il suo dramma e dove, tanto per essere piuttosto ripetitivi emerge l’Olivero che di Maria Farneti o di Salomea Kruscenivsky fu erede, sia pure con un mezzo modestissimo al confronte delle predette. Questo anche perchè nel canto di conversazione le Butterfly successive, persino se di mezzo vocale privilegiato come Rosetta Pampanini (nel 1925 sotto la direzione di Toscanini, protagonista della riproposizione dell’opera alla scala dopo il fiasco), spesso si fecero prendere la mano dai “quindici netti netti”
La prima esecuzione di Butterfly al Met schierò il cast migliore ch eil teatro americano potesse disporre capitanato da quella che per il gusto del pubblico era la cantante attrice per eccellenza. Per certi versi fu una operazione di marketing consacrata dalla presenza dell’autore e dalla registrazione di molti brani dell’opera ad opera dei protagonisti. Di Geraldine Farrar (che fu poi la prima Suor Angelica) sono conservati tutti i passi della protagonista. La cantante è dotata di una voce chiara e dolce, ma salda al centro, se mai i limiti stanno in zona acuta e nella fonazione sulla vocale i che suona spinta e fissa almeno dai dischi, e nella fraseggiatrice non è in grado di competere con quello che hanno lasciato la Farneti e la Kruscenivsky (ed ovviamente con il sontuoso splendore vocale di Giannina Russ, che non cantò mai l’opera in scena).
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Probabilmente il pubblico americano che non aveva mai sentito una Farneti od una Kruscenivsky e neppure la Canetti
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o la Ferrani e che non padroneggiava la lingua italiana in modo tale da capire la sagacia del fraseggio di quelle cantanti riteneva la Farrar, sempre perfettamente abbigliata, ottima attrice la più completa raffigurazione del soprano pucciniano.
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Eppure dal breve lacerto registrato come eleganza di fraseggio ed anche come vocalista ne esce molto meglio, almeno a livello discografico, Frances Alda
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e non già perchè sia pure un po’ fisso, ma legato alla frase successiva, esegua la variante acuta al re bem e sopratutto Emmy Destinn. La Destinn non era indenne da difetti come suoni di petto troppo marcato edi acuti fissi, che del soprano middleuropeo possono essere una caratteristica negativa al gusto latino, ma aveva una voce di grande qualità e straordinaria ampiezza che le consentiva di addolcire ed alleggerire il suono sino a sembrare un soprano lirico leggero. Basta sentire l’attacco dell’incisione del 1914 per ammirare la duttilità del soprano le sue “trovate” di fraseggiatrice come alla frasetta “attendo gran tempo” detto pianissimo o il “s’avvia per la collina” e la chiarezza di articolazione, quand’anche l’italiano non sia sotto il profilo della pronuncia indenne da difetti, ed il fatto che questa Butterfly abbia un peso ed una incisività assolutamente ignote a quelle che, soprattutto sui palcoscenici italiani, vestirono il chimono dopo il 1920.

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Va ricordato che i teatri del Nord e del Sud America avevano dimenzioni tali per cui le protagoniste dovevano avere ampiezza di voce, magari a discapito del fraseggio o magari della leziosaggine di fraseggio; in Europa, Italia particolarmente, l’aspetto della sposa bambina, della vittima designata portò anche in considerazione delle dimensioni a privilegiare Butterfly leggere. Pensiamo che al Met dopo la Farrar (Butterfly dal 1907 al 1921) le protagoniste furono Emmy Destinn appunto dal 1908 al 1915 e dal 1922 in poi Elisabeth Rethberg, ovvero un soprano da Aida (ed aggiungo dopo di lei la Stella o Leontyne Price altri soprani da Aida o da Tosca), mente in Italia alle leziosaggi nel canto di conversazione si adeguò Rosetta Pampanini, voce di autentico soprano lirico spinto e poi Butterfly si identificò con Mafalda Favero, che non esitò a dire che per le difficoltà della scrittura vocale le avevano accorciato la carriera. Per capirlo basta guarda l’orchestale di Butterfly.

14 pensieri su “Aspettando Butterfly 2: I primi dieci anni di Butterfly

  1. Nonostante avessi letto ieri l’articolo di Duprez non mi aspettavo cosi’ corpose differenze; a caldo mi viene da pensare a quanto sia piu’ bello il finale 1 nella versione classica.
    Ora, vorrei dire qualcosa sugli interpreti per questo primo atto ma …. proprio non ci riesco.
    Solo una riflessione: non e’ immaginabile che sul pianeta Terra non ci sia un tenore piu’ presentabile di questo.
    “Bravi”: si’, qualcuno al termine ha gridato “bravi”.

  2. Che emozione l’ascolto della Butterfly originale! anche se francamente preferisco la versione corrente perché più asciutta e drammatica. Si capisce perché un compositore con un’innato senso del teatro come Puccini abbia ritenuto di dover sfrondare la partitura di vari particolari in eccesso specie nel primo atto. Ma quale emozione! Era Butterfly ma al tempo stesso qualcosa di nuovo. Orchestra e Direttore magnifici, scene stupende e regia fortunatamente “normale”. In tempi di Regietheatre. Peccato le voci.. In quanto alla Ciò Ciò San della Favero mi disse una volta un baritono che aveva interpretato Sharpless con tutti i più grandi soprani tra la seconda metà degli anni quaranta fino ai sessanta, che quando là giapponesina a cui doveva consegnare la lettera era lei, lui faticava a trattenere le lacrime. A dire la verità, ho apprezzato la Kate Pinkerton di Nicole Brandolino.

  3. Che pena ! E’ un’immensa pieta’.
    Faticato da bestia ad arrivare fino in fondo.
    Ma dividiamo con cura meriti e demeriti del palcoscenico.
    Meriti: un sincero e caloroso plauso al bambino, che ha sopportato tutto con estrema pazienza.
    I meriti sono ovviamente finiti eppure scommetto che con una nuova rivisitazione di Butterfly li si sarebbe potuti estendere a dismisura, traendo spunto ed ispirazione da uno dei momenti piu’ celebri dell’opera: tutti i solisti cantano tutta la loro parte a bocca chiusa: un guadagno netto per le orecchie.
    Io non capisco me stesso: la Siri e Alvarez non mi erano dispiaciuti a febbraio in Tosca: ma sono gli stessi ? Siamo sicuri ?
    Questa versione di Butterfly ha, in questa occasione, l’inestimabile pregio di risparmiarci “Addio fiorito asil”: sarebbe stato veramente troppo. “Non posso restare, vado via”: ma non avresti neanche dovuto tornare, bastava la lettera: vorrei definire questo Pinkerton abborracciato e dilettantesco ma farei grave torto ai dilettanti.
    Non saprei dire se Suzuki si salva, forse ci arriva un po piu’ vicino.
    E tutti i comprimari aggiungono motivazioni all’idea delle bocche chiuse, con la cocente delusione di Carlo Bosi, che aveva fatto un buon Altoum un anno e mezzo fa.

  4. Dopo anni, ieri sera alla Scala abbiamo visto l’allestimento di un regista e di un costumista che hanno ambientato un’opera giapponese in Giappone . Per quanto tempo abbiamo dovuto attendere che arrivasse un regista che sapesse leggere e che non fosse in preda ad allucinazioni!
    Se gli occhi sono stati accontentati bisogna dire che anche le orecchie non hanno sofferto troppo. La Siri, non certo l’ideale per la parte per evidenti limiti, è almeno riuscita ad arrivare alla fine. Accettabili gli altri eccetto naturalmente il tenore. Ho sentito che al Met interpreta il repertorio francese : il ritiro di Levine evidentemente comincia a dare i suoi nefatsi frutti! Una voce disomogenea, una tecnica, a voler essere gentili, discutibile e soprattutto una rozzezza ed una volgarità vocale ed interpretativa di questo genere mi portano a chiedermi cosa mai abbia determinato questa sciagurata scelta oltremare ed a Milano…

  5. Una noia che più noiosa di così non si poteva.
    Grazie pereira, chailly et al per aver fatto l’impossibile possibile. Non ho pianto nemmeno mezza lagrima alla fine di un’opera che dovrebbe commuovere.
    Il baritono sembrava annoiato pure lui con tutto, purtroppo era il cantante più bravo in scena.
    Il mezzo-soprano ci regalava una voce ballante e scurita oltre misura. Di nuovo, povera Suzuki viene maltrattata da chi la interprete.
    Il tenore. Mah, uno BELLO e senza voce non potevano trovare? Urlante ed inascoltabile sin dall’inizio, non si poteva nemmeno guardare.
    Il soprano, priva di voce, fraseggio, interpretazione là dove dovrebbe essere lei a guidare l’emozione di questa povera figura tragica, ci ha regalato semplicemente null’altro che noia e poi noia.
    Il resto…
    L’allestimento, pur regalando una specie di autenticità giapponese, ha messo in evidenza mimi con parrucche e costumi (€€€) che hanno distolto lo sguardo dal fatto che di regia vera, non c’è! È un’opera lirica questa. Il No o il Kabuki non hanno origini nell’opera lirica italiana! Poi cose già viste e riviste.
    La ‘prima’ versione di quest’opera mi aveva già annoiato quando l’ho vista fine anni ’80 o primi ’90. Non mi ricordo. Non ho cambiato idea. Una cosa terribile. Puccini fece bene le sue revisioni varie e la versione ‘normale’ che sentiamo da sempre mi sembra la soluzione migliore.
    Ancora complimenti a la scala per un’apertura di stagione così noiosa e come al solito blasonata come miracolo culturale dalla stampa ben pagata e controllata.

    Ovviamente le opinioni sono le mie.
    Vi leggo sempre. Siete una forza!

  6. Concordo su tutto , ma mi chiedo anche : la Siri , sempre sotto sforzo e mai capace di una sfumatura , sarebbe un soprano da serata inaugurale della Scala ?
    E non parliamo poi di come l’hanno conciata col trucco super giapponese…Una pena …

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