I frammenti della rappresentazione newyorkese del 24 gennaio 1903 meritano di essere proposti non solo per la lunghezza e la qualità tecnica, ben superiori a quelle che di norma caratterizzano i cilindri Mapleson, ma perché sembrano dischiudere, per lo spazio di qualche minuto, un mondo distante secoli. E questo non tanto per le prove dei solisti (benché l’ampiezza vocale della Gadski sia palese malgrado la fortunosa registrazione, così come il timbro da autentico basso di De Reszke), quanto per la capacità degli esecutori (in questo splendidamente assecondati dal direttore Philippe Flon) di variare dinamica e agogica a ogni battuta o quasi, senza che la sprezzatura si trasformi in vezzo o peggio ancora in sciatteria, assecondando invece perfettamente il testo poetico e musicale. C’è in questa esecuzione tutta la grandeur di un genere operistico di cui sembra, oggi, smarrita l’idea stessa.