La romanza di Raoul, scorcio estatico e sognante incastonato in quel vivacissimo affresco che è il primo atto degli Huguenots, destò fin dalla prima recita l’ammirazione del pubblico e divenne per più di un secolo un cimento amato e pressoché obbligato per tutti i più grandi tenori. Il pezzo ha una fattura originale e ricercata, così come ricercato era l’effetto che doveva produrre sugli uditori: non a caso Meyerbeer era descritto dalle cronache dell’epoca come un geniale calcolatore che tutto soppesava e ponderava per realizzare gli effetti più “frappants”. La scelta della viola d’amore, già eloquente di per se stessa, rientra certamente in quest’ottica, ma in questo caso specifico lo strumento non si limita ad accompagnare la spesso arzigogolata linea di canto, bensì si fa carico della parte melodica della romanza fino all’attacco dell’orchestra che, di contro, accompagna più tradizionalmente il cantante.
L’ascolto di Lemeshev impressiona ancora oggi per l’estrema morbidezza che il tenore vantava su tutta la gamma vocale, qualità frutto di una tecnica superlativa. Se il recitativo è accorato e incalzante, la romanza vera e proprio è esemplare per quanto concerne il legato, l’omogeneità, le dinamiche (le mezzevoci in particolare), lo squillo, la dizione e, non ultima, l’estrema facilità con cui risolve la difficile linea di canto pensata da Meyerbeer.