Questa seconda puntata della rassegna dedicata alla musica aldilà della cosiddetta “cortina di ferro”, ci parla di due grandissimi interpreti dell’allora Cecoslovacchia: il violinista Josef Suk e il pianista Jan Panenka. Entrambi formatisi al Conservatorio di Praga svilupparono la propria carriera nel secondo dopoguerra: testimoni entrambi della trasformazione e della rinascita dell’Europa martoriata da dolore e sofferenza. La puntata è dedicata interamente a Beethoven (colto in tre dei suoi lavori più popolari) proprio per marcare la profonda differenza di suono e interpretazione rispetto ai colleghi “dell’ovest”. Un Beethoven quello di Suk e Panenka profondamente lirico e fresco, ricchissimo di sfumature e venato di malinconia, senza mai indulgere in sonorità debordanti o massicce. Un Beethoven che guarda allo spirito di Mozart, non tanto nella ricerca di un suono settecentesco (qui invece marcatamente moderno) o di una dimensione ridotta, quanto nel rapportarsi a quella quotidianità del vivere la musica che faceva di Praga una delle capitali musicali, appunto, del secolo XVIII (quando Mozart vi trionfò con Le Nozze di Figaro e a cui dedicò uno dei suoi capolavori sinfonici). Questa familiarità, questa quotidianità – che racchiude tenerezze e malinconia – si nota appieno nella Sonata per pianoforte e violino, sin dall’attacco semplice ed evocativo che si dipana con una grazia naturale per tutto il primo movimento con un senso di gioia data da piccole cose come, appunto, una giornata di primavera (una tale naturalezza e dolcezza difficilmente verrà eguagliata pu da altre grandi interpretazioni). Perfetto contraltare di questa gioia così sincera e ingenua è lo sfogo lirico del secondo movimento col suo sguardo nostalgico, ma sempre privo di seriosità e tristezza, sino al ritmo danzante dei movimenti finali. Un capolavoro di equilibrio in cui i virtuosi lasciano spazio ai musicisti rinunciando ciascuno al protagonismo, a favore di un gioco tra interpreti sommi. Allo stesso modo risuona l’Imperatore, smitizzato dai suoi turgori titanici e da ogni compiaciuta ridondanza: ancora una volta si ascolta un Beethoven giovanile, fresco e profondamente lirico. Le grandi arcate melodiche, le grandiose cadenze non sono più quelle immense costruzioni ultraterrene, ma assumono un’umanità semplice e sincera, calda e vera. Il primo movimento è un capolavoro di equilibrio tra la maestria tecnica di Panenka e la profonda simbiosi con l’uomo Beethoven: non con il genio, ma solo con l’uomo. Infine il concerto per violino: forse una delle più alte incisioni di questo lavoro. Il passo è giustamente marziale nel primo movimento, ma sempre regolato e trattenuto per non scadere nell’eccesso (da segnalare la splendida e rarissimamente eseguita cadenza al termine del primo movimento: scritta dal virtuoso cecoslovacco Váša Příhoda). Una buona occasione, dunque, per ascoltare un Beethoven diverso e per certi versi dimenticato: ennesima testimonianza di una civiltà musicale nascosta e sbrigativamente sepolta sotto le macerie di quel mondo che fu speranza e illusione per milioni di uomini e donne e che merita rispetto e conoscenza. Buon ascolto
Gli ascolti:
Ludwig van Beethoven: Sonata per violino e pianoforte, Op. 24 in fa maggiore “Frühlings-Sonate”
Ludwig van Beethoven: Concerto per pianoforte e orchestra, Op. 73 in mi bemolle maggiore
Ludwig van Beethoven: Concerto per violino e orchestra, Op. 61 in re maggiore
E’ proprio così, Matteo: rispetto e riconoscenza. Per la grandezza musicale di questi luoghi e di questo periodo; e poi perché la sfida rappresentata dai paesi socialisti ha reso più umano il capitalismo nei primi trenta anni del secondo dopoguerra. Le democrazie popolari sono crollate e il liberismo incombente sta facendo strage di ogni diritto.
Caro Marco, è vero anche se, a dire il vero, le democrazie popolari ne avevano pochetti di diritti. Come dice bene chi viene dall’est,il cspitalismo globalizzato ci sta trasformando in una dittatura comunista, con tanto di ricchi oligarchi e servizi sociali azzerati, le banche chiuse che si ciucciano i rjsparmi della gente, il crollo dello stato. Il referendum vuole darci il colpo di grazia per diventare una ukraina del mediterraneo
ciao
dunque voterai NO ?
Cara Giulia, le tue osservazioni colgono proprio il punto. Nei paesi dell’est i diritti non erano molti, è vero; però le esigenze fondamentali erano esaudite. Quelle esigenze, lavoro, diritto allo studio, che nel nostro mondo libero sembrano sempre di più venir meno. Oltre ial fatto che i regimi comunisti erano molto sensibili alla cultura, cosa che non si può dire dei governi europei odierni. Giulia, auguri per tutto. Ciao
Saranno anche state esaudito, fatto sta che il muro scavalcavano sempre in un senso solo, da est ad ovest. Diciamo che loro hanno perso anche quel nulla che avevano. Cmque ora come ora il modello sociale pare quello asiatico o sudamericano e la deriva intellettuale della.ns società unitamente alla violenza che esprime fa propendere per la seconda ma…..è chiaro che quelli più avanti stanno per essere risucchiati dall oceano di povertà circostante che ha fatto on modo per.eecenni di non.vedere.
Caro Marconinci, lo dico da uomo di sinistra: le esigenze fondamentali erano così esaudite che c’è voluta una feroce repressione per sedare le rivolte popolari di Germania Est, Ungheria, Cecoslovacchia, Polonia. E non parliamo della Romania dell’ultimo Ceacescu, in cui la miseria era estrema. Quanto alla musica: mi sembra che negli interventi qui sopra si sia ignorato cosa abbia significato lo stalinismo per la libera espressione delle arti. Se la sinistra è oggi morta e sepolta e’ anche grazie a quei brillanti risultati.