E veniamo all’altra parte del recital che consiste in pagine post Verdiane che con molta fanatasia si possono definire veriste. Un recital dedicato al verismo avrebbe richiesto pagine da Iris, Francesca, Nozze Istriane, Mese Mariano e magari anche A basso porto non le solite cose che tutti i soprani robusti ( categoria cui la Ntrebko non appartiene) hanno inciso. Spesso se provenineti dalle file dei lirici hanno anche combinato guai piuttosto evidenti come capitò, ad esempio ad una già scalcinata Caballè sul fineire degli anni ’70.
Quando la diva affronta la grande aria di Gioconda al quarto atto “suicidio” che richiede un soprano spinto e con grande facilità nella zona medio grave della voce la voce è priva di appoggio sin dall’attacco, mal ferma al centro, gridata e ballante in alto sorda e vuota ovvero malamente di petto in basso talvolta prossima al parlato. E siccome la vocalità di Gioconda è assolutamete fuori della portata della cantante, in basso da anche di naso. Oltre tutto l’opera di Ponchielli anche se con i repentini scatti verso le zone estreme della voce anticipa in alcuni punti la vocalità verista nulla ha a che vedere con la poetica verista, salvo considerare “verista” tutto quello che arriva dopo Verdi e può essere cantato male con centri sgangherati, acuti ghermiti, note gravi ingolate.
Nella sortita di Adriana, per altro incisa senza i versi declamati, la famosa “umile ancella” manifesto della poetica della prima donna post verdiana (al pari del prologo dei Pagliacci) non accenta proprio niente, si canta addosso, perchè il timbro può esembrare sontuoso mentre è solo ingolato, e siccome è ingolato l’articolazione è scarsa. Il timbro gradevole al centro, ma gonfiato si ripercuote sugli acuti, che sono malfermi. Nulla dei tradizionali giochi di piano e pianissimo con il violino alla fine, sigla interpretativa della cantante attrice e neppure il dispiegar di timbro delle voci d’oro tipo Antonietta Stella, Maria Caniglia, Renata Tebaldi, che erano autentici lirici spinti.
Mefistofele voce in bocca inarticolata, anche se si capiscono le parole. Preciso che una discreta dizione non è sinonimo di buona articolazione. Ad esempio Leontyne Priceva cantava in yankee, ma articolava sempre. La nostra, invece, si limita a cantare le parole di cui dubitiamo sappia il significato e gli acuti sono sempre spinti e forzati. Dinamica, tono allucinato (ovvero le caratteristiche delle Margherita stile Kruscenivscky, Olivero, ma anche Callas o Muzio) o la voce d’ora stile tebaldi caniglia non sa neppure che cosa siano. Insipida ed insignificante l’interprete, mediocre la vocalista.
Wally appartiene al Verismo ancor meno di Gioconda: e si comincia con un attacco di dubbia intonazione propiziato da un comodo portamento. Come in tutto il cd la voce al centro sembra anche bella, ma appena sale si sente che paga il il centro gonfio con suoni non belli e sopratutto malfermi. E’ una regola vecchia come il modo se ingrossi il centro e spingi la voce balla. Capitava anche alla Scotto, ma era la Scotto, che poi ripagava le mende vocali e il solito “passo più lungo della gamba” con il fraseggio.
Pagliacci le manca il timbro sensuale e carnale del soprano verista. Nedda è un personaggio carnale prima di tutto. Meglio il ripiegamento intimo “ma basti”. Ovvio che non sappia cosa significa “illanguidita” ed il richiamo sensuale anzi erotico di quella parola. Decenti i trilli, assolutamente monotona nel fraseggio, un po’ spinto il la acuto di “e van…” conclusivo.
Francamente disco e cantante inutile.
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