Il grande bluff
La serata di gala al San Carlo è da annoverare tra le pagine più tristi della storia del teatro partenopeo e della disgraziata mia città. Il Mattino, mediocre giornale locale di nullo respiro nazionale, ha costruito su misura e propagandato a tappeto un evento insensato e di cui mi sfuggono le reali motivazioni intorno alla star system Jonas Kaufmann.
Mobilitazione generale. All’esterno, città bloccata, traffico in tilt, camionette della polizia ovunque, plotoni di forze dell’ordine intorno all’area del teatro, uno sparuto gruppo di maestre ribelli che insistono nell’assurda crociata di dare importanza a ciò che interessa solo le loro tristi esistenze (graduatorie, mobilità, algoritmi e via discorrendo), un altro sparuto gruppo di figli della medio-alta borghesia che trascorrono il loro tempo tra sesso droga e rock’n’roll nei centri sociali e vanno a caccia di notorietà appena sentono odore di autorità con il vergognoso appoggio dell’amministrazione locale. All’interno, i potenti uomini (dal Presidente del Consiglio al cardinale di Napoli) e le potenti donne debitrici all’ingiusta quota rosa (dalla Giannini alla Carfagna) che forse di Kaufmann manco sapevano l’esistenza, vip di ogni estrazione culturale (dalla Fracci alla Laurito), abbonati uomini (tra cui il sottoscritto) incravattati o in smoking e abbonate donne idealmente impellicciate ma realmente incipriate, melomani e appassionati in trepida attesa del tenorissimo e vogliose donne in trepida attesa del divo.
Lo spettacolo ha inizio con la recitazione dell’attore Claudio Di Palma che, per ricordare ai potenti di Roma gli splendori del Regno delle Due Sicilie, ricorre alla volgare narrazione dell’accoppiamento tra Vesuvio e Etna, ennesima prova della sgradevole e sempre più insopportabile sessuomania del teatro contemporaneo. Segue l’esibizione dell’imprecisa orchestra diretta dal buffone Maurizio Agostini in celebri melodie napoletane musicate da Rimskij-Korsakov e Renzo Rossellini. Finalmente, dopo circa un’ora, entra l’ospite d’onore, intervistato dal direttore del Mattino, Alessandro Barbano, imbarazzante per l’ignoranza musicale e il fanatismo con cui adorava il divo bavarese. Un’intervista convenzionale, inutile ripetizione di cose trite e ritrite (l’infanzia di Kaufmann, i suoi primi studi, la solita solfa sulla tecnica, sull’interpretazione e sulla scena), intervallata dalla offensiva proiezione di video del tenore impegnato su altri palcoscenici, come se il San Carlo non fosse degno di una sua prestazione operistica, e dagli idioti commenti del Barbano che ha avuto il coraggio di definire “unica nella storia della lirica, mai eseguita da nessuna” la messa di voce sul la bemolle finale di “O tu che in seno agli angeli”.
Questo patetico convivio si conclude con un tragico finale. Il tenorissimo, per sponsorizzare il suo prossimo cd, canta un paio di canzoni napoletane (Torna a Surriento, Core ‘ngrato), e un paio di canzonette tra cui Parlami d’amore Mariù e Parla più piano, con l’accompagnamento del pianoforte (l’orchestra nel frattempo si era ritirata lasciando sul palco sedie e leggii che, ammassati, facevano da sfondo alla performance del divo). Non nascondo che anche io ero molto curioso di ascoltare la sua voce dal vivo, avendo finora goduto, poco a dire il vero, delle sole registrazioni audio. Ebbene, quanto sospettavo si è rivelato amaramente vero: Kaufmann ha una voce normale da normalissimo cantante presentato dalle agenzie e dall’ingannevole mondo della comunicazione come il più grande tenore del mondo. Voce con scarsa proiezione e opaca, mezze voci abusate e roche, emissione ingolata e forzata sugli acuti. Qualche mio vicino comincia a guardarsi intorno attonito e a dirsi, in dialetto napoletano, “e chest’è?”; i giovani e i fanatici sprovveduti, ignoranti o di proposito accondiscendenti a un mondo che è solo squallida apparenza, chiedono a gran voce al divo di ritornare a Napoli per un’opera o per un vero recital; i fans delusi cercano giustificazioni (“si sarà stancato perché oggi ha parlato tanto”, dimenticando che ha cantato due canzonette, non, mo’ ci vuole, “o tu che in seno agli angeli”).
Mestamente, tra finti fiori e finti sorrisi, cala il sipario su questa dolorosa messinscena. Il provincialismo di Napoli, bloccata dalla cieca iniziativa di un quotidiano di paese e dalla folle attesa di un cantante mediocre, è orribilmente denudato. Mia moglie, ingenuamente, mi dice: “Io non ne capisco, ma Pavarotti era n’ata cosa”. “Assafà”.
Andrea Carlo Chénier
L’inatteso ma graditissimo intervento di A. C. Chénier sulla nostra pagina Facebook (l’improvvisato ripiego “messo su” in pochi minuti circa un anno fa, quando l’intolleranza del sistema verso qualunque voce dissenziente rispetto a peana e cori angelici ci aveva fatto temere di avere perso per sempre il nostro sito Internet, poi felicemente restaurato) ci è parso meritevole della massima visibilità e abbiamo, quindi, deciso di pubblicarlo sulla pagina principale. Alle osservazioni dell’amico napoletano aggiungiamo solo come sia davvero triste vedere uno dei più grandi teatri europei ridotto a cornice di un evento che facciamo persino fatica a definire pubblicitario, visto che la pubblicità resa al celebrato divo si è poi rivelata ben poca cosa (come il divo medesimo, peraltro). A opportuna e necessaria riparazione, offriamo alcune melodie napoletane eseguite con autentica Arte e rispetto della musica e del pubblico.
Tosti – Marechiare – Ebe Stignani
De Curtis – Voce ‘e notte – Fernando de Lucia
Tosti – ‘A vucchella – Rosa Ponselle
In effetti, l’avviso del Teatro, a poche ore dall’inizio, che l’orario di ingresso era stato anticipato per ragioni di sicurezza mi era sembrato, come dire, un tantino esagerato. Ho provato a seguire via streaming, ho abbandonato subito: una noia colossale. La foto di accompagnamento all’articolo è perfetta, in quanto, per restare geograficamente in tema, si è trattato senza dubbio di pacco, doppio pacco e contropaccotto.
Una domanda, soprattutto ai colleghi melomani napoletani: ma il San Carlo non è quel teatro sul cui palcoscenico, anni fa, per ricordare il centenario della nascita di Enrico Caruso, si erano ritrovati, a cantare assieme, tali Del Monaco, Pavarotti, Atlantov, Tagliavini e Vanzo? Poca cosa, tutt’altra cosa, rispetto al Kau….
Basta l’attacco “quande sponta la luna” della Stignani per spiegare cosa sia la voca avanti quella sulla quale si fanno solo chiacchiere. Impressionante!
Trovo tutto condivisibile, tranne le offese gratuite rivolte alle maestre. Anzi, proprio partendo dalle scuole si potrebbero combattere queste manifestazioni di ignoranza collettiva.
Ma anche le maestre partecipano di questo precipitare delle cose…
Sottoscrivo in pieno questo rimarco di Frezzolini. Quelle due squallide righe hanno inutilmente involgarito un articolo per altri versi interessante e condivisibile.
Kau-Kau e’ la versione maschile della Bartoli.P.S.
Andrea Carlo Chenier dimostra di essere un profondo conoscitore della realta’ di Napoli ( dove abito ).Il prossimo anno non rinnovero’ il mio abbonamento S.Carlo.
Ero presente al San Carlo allo pseudo recital di Jonas Kaufmann.
Avevo intuito che sarebbe stata una serata noiosa, di chiacchiere ed autocelebrazioni politiche e non (nel palco reale del san Carlo c’era il Presidente del Consiglio Renzi, i ministri Alfano, Franceschini; in sala vari vips o presunti tali).
Avevo già ascoltato Kaufmann dal vivo al San Carlo nel 2004 (“Creazione” di Haydn) e nel 2009 alla Scala (Messa da requiem e Carmen, entrambe dirette da Baremboim).
Kaufmann non mi ha mai entusiasmato eccessivamente, benché, dati i tempi che corrono, non possa dirsi tanto male di lui; l’altra sera, però, ho provato una grande delusione: voce perennemente spoggiata, stanca, acuti sforzati, legnosi, voce perennemente (più del solito, insomma) ingolata, stile sciatto e inappropriato al grande repertorio della canzone napoletana (si è cimentato con “Core ‘ngrato”, canzone lanciata nel mondo da un certo Enrico Caruso).
Sinceramente ho stentato a riconoscerlo nel tenore che avevo ascoltato dal vivo e in CD…
Non ho sentito ne mi interessa farlo ma….una sola considerazione: ma cosa diavolo vuole cantare kaukau della canzone napoletana???? Ma per favore….pure davanti ai napoletani …..magari ad un festival della.birra tedesca, ma a napoli????!!!
Completamente d’accordo con Lei, Madame Grisi.
Concordo pienamente, ma, Giulia Grisi, ti assicuro che la corretta pronuncia della “lingua” (tale è, non un dialetto) napoletana, l’assenza di idiomaticità erano davvero l’ultimo dei problemi…
Non pensavo a quello…..pensavo al tipo di respiro, se posso usare questa parola, che è della canzone napoletana e per la quale ci vuole anche un certo istinto naturale. Tra kau kau e cantanti esperti nel fior di labbro come Schipa o Gigli c’è n’è passa ….e taaaanto
A PARTE KAU COME SI FA AD ORGANIZZARE UNA PAGLIACCIATA SIMILE !!!!
Oggi mi stavo sentendo “La favorita” nell’edizione diretta da Bonynge e notavo come Piero De Palma (Don Gasparo) fosse sotto tutti i punti di vista (bellezza di timbro, tecnica, stile etc.) di molto superiore al Kau.
De Palma – che mai pretese di cantare Siegmund o Andrea Chénier – se lo sarebbe mangiato il Kau Kau.
Ma De Palma era un grande cantante (e difatti cantò con Karajan, Solti, Serafin, Abbado, Gavazzeni, Mehta, Molinari Pradelli, Leinsdorf, Levine etc.), anche se interpretava ruoli non principali…..
Non si puo’ fare un tale paragone !!