Opéra Bastille, Paris
21 June, 2016
Sondra Radvanovsky
Anita Rachvelishvili
Aleksandrs Antonenko
Chorus & Orchestra of the Opéra National de Paris
Philippe Jordan, conductor
Verdi: La forza del destino – Ouverture, Aida – O Patria mia, Nabucco – Va pensiero, Il Trovatore – Coro degli zingari, La Traviata – Brindisi (bis).
Bizet: Carmen – L’amour est un oiseau rebelle
Puccini: Tosca – Vissi d’arte, E lucevan le Stelle
Saint-Saëns: Samson et Dalila – Amour! viens aider ma faiblesse, Mon cœur s’ouvre à ta voix
Bellini: Norma – Casta diva
Si vuol render conto, seppur in ritardo, di questo “Concert Lyrique Exceptionel” dato in occasione della Fête de la Musique, evento che ha visto protagoniste tre stelle – di diversa luminosità – del panorama lirico odierno dirette da Philippe Jordan, direttore musicale dell’Opéra de Paris.
Jordan ha diretto con mano salda l’orchestra ed è riuscito a creare delle belle atmosfere sempre adatte ai differenti momenti musicali previsti, nonostante si trattasse di un recital. La Sinfonia della Forza del Destino difettava di un poco di poesia e tensione, ma l’esecuzione è stata pulita, molto curati e attenti ai colori gli accompagnamenti delle scene corali e delle arie, in particolare quelle di Dalila e Aida. Discutibile invece il tempo staccato per il brindisi dalla Traviata, decisamente troppo incalzante verso il finale.
Sul versante canoro le note sono state meno rosee. A cominciare dal tenore Antonenko, vero e proprio pesce fuor d’acqua non solo della serata, ma del canto tout court. Voce grossa, dura, legnosa, dizione pessima, accento nullo o volgare, acuti gridati o presi in puro sgradevole falsetto (Dalila je t’aime). Una prestazione davvero infima, fortunatamente più breve del previsto: l’aria di Don José è provvidenzialmente saltata quindi si è limitato a rovinare Puccini e la scena di seduzione di Dalila, oltre a toccare il ridicolo più spinto nel Brindisi. Questo l’identikit di uno dei più rinomati tenori drammatici del presente.
La prova di Anita Rachvelishvili è stata foriera di riflessioni. La voce non solo c’è – il che nella desolazione odierna è già un quid notevolissimo – ma è anche bella, eppure la quadratura del cerchio proprio non si trova. Se l’aria di Carmen, ruolo che la cantante conosce a menadito, è ben condotta e gravita su una tessitura medio alta che le è propizia, le due arie arie di Dalila, di contro, mettono in luce limiti evidenti e fanno sorgere dubbi sulla vera natura vocale della cantante. La tessitura più grave del ruolo di Dalila fa emergere: a) una gestione dei gravi scorretta in quanto questi non sono omogenei rispetto al resto della voce ma, anzi, vengono gonfiati in modo esagerato – cosa che la sua dote naturale le consente, va detto – per simulare un’autorevolezza e un colore da reale mezzosoprano che però suona innaturale (si senta il finale di Amour! Viens aider ma faiblesse); b) la conseguente impossibilità di legare correttamente i suoni (si senta Mon coeur s’ouvre à ta voix); c) l’impaccio evidente nel gestire le dinamiche vocali quando si tratta di ricorrere al piano, che tende a spoggiarsi e stimbrarsi (si rimanda ancora a Mon coeur). Si rafforza il dubbio, già espresso precedentemente su questo sito, che la Signora non sia un mezzosoprano propriamente detto, quanto una voce anfibia che sarebbe più a suo agio in ruoli più schiettamente sopranili se riuscisse con lo studio a sfogare e rendere sicuro il registro acuto. In attesa di sentirla come Dalila nella prossima stagione rimane, purtroppo, l’amaro in bocca nel sentire una voce molto bella, dotata e piena di belle intenzioni che però non riesce a trovare una sua reale cifra, una collocazione nei palinsesti operistici, come dimostra anche il repertorio finora affrontato.
Caso ancora diverso è quello di Sondra Radvanovsky, cantante ormai di chiara fama e -caso raro – non del tutto immeritata. La voce è grande e sana oltre che gestita con una certa perizia, ma resta intrinsecamente brutta, sovente sgraziata e affetta da un vibrato a tratti assai fastidioso. Personalmente credo che questi difetti potrebbero essere ampiamente limitati, se non del tutto eliminati, raccogliendo maggiormente il suono nei centri ed evitando un apertura eccessiva che conferisce anche un che di sgraziato alla dizione. La cantante offre una prova interlocutoria: pessima nel brindisi della Traviata, modesta in Vissi d’arte, non pienamente convincente in Casta Diva, davvero ottima invece nei Cieli Azzurri.
In Vissi d’arte manca il raccoglimento necessario, il pathos, il vero abbandono dettato dalla fede, mancano le dinamiche e perciò l’esecuzione resta piuttosto scolastica e generica nella sua globale correttezza. In Casta Diva il risultato è per certi versi ottimo, per altri deludente: colpiscono i fiati e gli acuti (a noi volgi il bel sembiante), gestiti con reale competenza e buoni risultati espressivi, mentre a deludere è la zona medio-grave della voce in cui diventa molto evidente fastidioso il vibrato e la bruttezza del timbro. Tralascio il tradizionale e inflazionatissimo brindisi di Traviata veramente orribile per colpa di tenore, direttore e soprano, chiaramente non a suo agio nell’alleggerire l’emissione per di più aggravata da una dizione in questo caso incomprensibile. Meglio avrebbero fatto a far cantare la parte di Violetta alla Rachvelishvili.
Un risultato davvero ragguardevole la Radvanovsky l’ha raggiunto, invece, nei Cieli Azzurri in cui canto, timbro e interpretazione finalmente hanno trovato un reale equilibrio (non a caso le recite di Aida a Parigi erano finite da pochissimi giorni) tanto da permetterle di prendere in legato il tanto temuto do, tenerlo in piano e infine scendere legando ancora, il tutto con un unico bel fiato. La dizione in quest’aria era, inoltre, sensibilmente migliore segno che con l’impegno è possibile ridurre al minimo quel fastidioso accento yankee.
Seguono, anche in questo caso, ascolti che parlano da sé.
Tutto quest’entusiasmo intorno alla Radvanovsky, non me lo spiego, e mi sorprende che anche voi le troviate qualcosa di speciale. Essendo lontano da Francia al momento, non ho avuto la possibilità di sentire questo concerto ma dubbio che i soliti difetti abbiano spariti miracolosamente. Ho sempre sentito un’ennesima voce grossa, bassa di posizione con suoni centrali artificialmente scuriti e gonfiati quando non stonati, i gravi inesistenti, l’acuto strillante, niente leggerezza e fluidità, tutto pesante e cantato in linguaggio non identificato. Una voce ben odierna insomma…
Francamente non mi pare che traspaia entusiasmo dalla recensione e nemmeno che sia particolarmente positiva 😉
La cantante ha indubbiamente alcuni pregi, anche se i difetti li superano. Non la apprezzo più di tanto, ma cerco di riconoscerle quello che di buono ci offre, tanto più che condivido gran parte dei tuoi rilievi e li ho anche indicati qui sopra. L’eccezione sono stati i Cieli Azzuri, quelli sì ben eseguiti anche perché davvero nella gola della cantante, e perciò l’ho riportato.