Le Donne del lago: riflessioni su alcuni libretti ottocenteschi.

pisaroniLa recente esecuzione di Donna del lago ci ha indotto a riflettere sul titolo rossiniano e sulle proposizioni del medesimo ben prima delle esecuzioni degli anni ’80. Come spesso accade in questi casi si incappa nel nome di Tullio Serafin. Il direttore di Caverzere fu nel corso della sua carriera il mentore delle riprese dei titoli seri del pesarese prima dell’ufficiale Rossini renaissance. Luogo prediletto delle riesumazioni il Maggio Musicale Fiorentino quando l’istituzione rispondeva a fini che sono quelli dei Festival, ossia proporre ciò che le stagioni ordinarie non sogliono proporre. La proposizione fu costante dal 1940 con Semiramide sino al 1958 con la Donna del lago con il vertice nella stagione 1952 quando vennero contestualmente proposti sei titoli fra i quali Tancredi, Guglielmo Tell ed Armida. Cionondimeno nel testo di Philip Gossett “Divas & Scholars” Serafin venne assunto ad esempio negativo di direttore rossiniano nel capitolo “La forbice di Tullio”. Da un lato che la colpa di esecuzioni mutile fosse di Serafin può essere osservazione condivisa ad una analisi superficiale del fenomeno e l’imputazione risiede nel fatto che più di altri fu il direttore veneto a sobbarcarsi l’esecuzione dei titoli seri rossiniani. Gossett, grande studioso, però, commette a nostro avviso due errori: il primo, negare a Serafin di essere stato un grande estimatore e mentore di Rossini e, circostanza più grave per superficialità, non investigare il fenomeno dei tagli e tutte le operazioni di lesa integrità degli spartiti rossiniani.
Il primo a tralasciare e superare l’integrità dello spartito fu proprio Rossini. Per primo Gossett documenta tagli e sostituzioni il cui autore fu Rossini medesimo, in quanto presente a talune delle esecuzioni del titolo. Aggiungiamo, poi, che un’ulteriore operazione di “libertà” sullo spartito che né Gossett né dopo di lui altri hanno studiato e saputo documentare sono gli aggiusti e gli accomodi che gli spartiti subivano. Uno solo cito per la curiosità che desta, almeno a me con riferimento alla Donna, ossia la trasposizione per voce di baritono del ruolo di Rodrigo, autore uno dei grandi Assur del tempo ovvero Antonio Tamburini, che vestì i panni di antagonista dal 1832 (Milano, Teatro alla Scala) al 1848 a Londra. Era la presenza di Tamburini, di fatto un basso baritono od un baritono corto, la conferma di romanticizzazione, almeno nella distribuzione vocale, del titolo, attribuendo l’antagonista ad una voce grave maschile, come tipico del melodramma post rossiniano. Romantico appunto. Con riferimento a questa carenza degli studiosi, credo nasca da due congiunti motivi: l’assoluta difficoltà di reperire i dati necessari negli archivi dei cantanti, spesso distrutti e dispersi, dato questo oggettivo, e l’idea, questa errata, che abbiano valore e rilevanza solo gli aggiusti ed accomodi autografi.
È proprio la curiosità verso queste “libertà” che ci ha spinto a consultare i libretti, disponibili sul sito del Catalogo del Servizio Bibliotecario Nazionale (http://www.sbn.it/opacsbn/opac/iccu/base.jsp), di alcune produzioni di Donna del lago, allestite in varie città italiane dal 1821 al 1838.

anno-luogo-direttore-Elena-Malcom-Giacomo-Rodrigo

1821-Venezia-non indicato-Francesca Festa Maffei-Carlotta Sanfelice-Andrea Peruzzi-Alessandro Mombelli

1822-Padova-Antonio Camera-Letizia Cortesi-Benedetta Rosmunda Pisaroni-Domenico Bertozzi-Giovanni Tiraboschi

1824-Milano-Vincenzo Lavigna-Loreto Garzia-Benedetta Rosmunda Pisaroni-Carlo Dupont-Giovanni Battista Verger

1824-Firenze-Ferdinando Lorenzi-Caterina Canzi-Benedetta Rosmunda Pisaroni-Nicola Tacchinardi-Pietro Gentili

1827-Siena-non indicato-Teresa Melas-Carolina Casimir Ney-Pietro Gentili-Giuseppe Vaschetti

1828-Vicenza-non indicato-Serafina Rubini-Teresa Belloc-Giovanni David-Gian Giuseppe Giordani

1832-Venezia-Antonio Favretto-Virginia Galvani Matteucci-Adelaide Maldotti Fagnoni-Luigi Alberti-Francesco Monari

1838-Milano-Giacomo Panizza-Sofia Schoberlecner-Carolina Vietti-Giacomo Roppa-Domenico Donzelli

Nel primo atto il numero che più spesso viene cassato oppure sostituito è il duettino di Elena e Malcom “Vivere io non potrò”. A Venezia nel 1832 e a Milano nel 1838 viene soppresso (in compenso, Virginia Galvani Matteucci e Adelaide Maldotti Fagnoni cantano a Venezia, prima dell’ultima scena, “Sappi che un rio dovere” da “Bianca e Falliero”), mentre a Siena nel 1827 Teresa Melas e Carolina Casimir Ney eseguono “Nel rivederti o caro”, duetto composto da Filippo Celli probabilmente per una ripresa romana della “Donna” nel 1823, e poi affermatosi nella prassi esecutiva del titolo. Il brano, su parole che sembrano derivate dal “Tebaldo e Isolina” di Morlacchi, compare infatti anche nella produzione fiorentina del 1824, ma collocato nell’ultimo quadro dell’opera, prima del rondò della primadonna (l’edizione in questione mantiene, peraltro, il duettino originale). A Vicenza nel 1828 il duettino viene sostituito da un’altra pagina rossiniana, “Ricciardo! Che veggo”, da “Ricciardo e Zoraide”, a conferma della perfetta vicenda esistente, nell’Ottocento, tra la voce del “musico” e quella del tenore contraltino. Solo in un’occasione (Milano 1838 e Padova 1822) vengono tagliate rispettivamente l’aria di Duglas e quella di Rodrigo.
Giovanni_DavidIl secondo atto vede i maggiori cambiamenti, che interessano soprattutto l’aria di Giacomo, la scena della sfida e il rondò conclusivo (come dire, quattro quinti abbondanti di quanto previsto dall’autore). L’aria del Re viene soppressa in tre occasioni (Venezia 1821, Vicenza 1828, Milano 1838), anche se, a onor del vero, a Vicenza il tenore Giovanni David (creatore del ruolo alla prima napoletana del 1819) inserisce nell’ultimo quadro “Tu sorda ai miei lamenti”, ovvero l’aria alternativa composta (o per meglio dire, adattata da Rossini a partire dalla cavatina di Oreste in “Ermione”) per Giovanni Battista Rubini, in occasione della ripresa napoletana del giugno 1820. In diverse occasioni l’aria viene sostituita da un altro brano: a Firenze nel 1824 Nicola Tacchinardi esegue “Essa il mio cor rapì”, dal “Temistocle” di Pacini, brano proposto anche da Pietro Gentili a Siena nel 1827 (segnaliamo peraltro che, nella produzione fiorentina, Gentili sostiene il ruolo di Rodrigo, mentre il baritenore Tacchinardi veste i panni del monarca), mentre a Venezia nel 1832 Luigi Alberti canta “Risplendi o suol beato”, da “Argia” di Pietro Raimondi. La scena successiva (duetto Elena-Giacomo e terzetto della sfida) scompare a Padova nel 1822 e conosce ampia revisione in cinque delle edizioni considerate. In ben tre occasioni (Firenze 1824, Siena 1827, Venezia 1832) si esegue “Traditor paventa al campo”, duetto tratto da “Gabriella di Vergy” di Pietro Carafa, titolo creato a Napoli nel 1816 da Rubini e Nozzari. A Vicenza nel 1828 i duellanti non sono i tenori, bensì il sovrano e il giovane Malcom (rispettivamente Giovanni David e Teresa Belloc) e la sfida avviene con il duetto “Va’, menzogner: non presto”, tratto da “Gli Arabi nelle Gallie” di Giovanni Pacini, titolo creato a Milano nella stagione precedente proprio da David. A Milano nel 1838 tutta la prima parte del secondo atto viene rimpiazzata da brani tratti da “Bianca e Falliero” (duetto del primo atto e quartetto “Cielo il mio labbro ispira”).
Altri cambiamenti piuttosto importanti riguardano il rondò conclusivo: a Vicenza nel 1828 “Tanti affetti” viene sostituita da “Riedi al soglio”, dalla “Zelmira” rossiniana, mentre a Siena nel 1827 Teresa Melas esegue un’aria-pastiche il cui cantabile sembra derivato da “Egilda di Provenza” di Stefano Pavesi (ruolo creato da Henriette Méric-Lalande) e che si conclude con una cabaletta, il cui testo richiama quella de “L’esule di Granata” di Giacomo Meyerbeer (parte creata da Rosmunda Pisaroni). Questa cabaletta viene, en passant, “riciclata” anche da Carolina Bassi nella stagione 1827 alla Scala, quale finale del “Crociato in Egitto”. A Firenze nel 1824 il rondò viene soppresso e sostituto da un quartetto (“Ah pietà per lui vi chiedo…Ah qual contento all’anima”) il cui metro poetico richiama quello presente nel primo atto dell’”Armida” rossiniana. Da segnalare, infine, una variazione e un inserimento: a Vicenza nel 1828 il Malcom di Teresa Belloc esegue, in luogo della seconda aria, “Ah se perdo il mio tesoro”, forse su musica di Michele Perla, mentre a Firenze nel 1824 Caterina Canzi (“esonerata” dal rondò conclusivo) inserisce all’inizio del secondo atto una probabile aria di baule (“Caro oggetto e tenero”) su cui non abbiamo trovato ulteriori informazioni.

Buona parte dei cambiamenti effettuati sembra andare nella direzione di un maggiore spazio concesso alle parti degli amorosi (con duetti in più sezioni che sostituiscono o amplificano quanto previsto dall’autore) e, soprattutto, di un tentativo di risolvere l’autentico “cavolo amaro” della partitura, vale a dire il primo quadro del secondo atto (aria di Giacomo, duetto e terzetto). Peraltro fu lo stesso Rossini, in occasione della prima parigina del titolo nel 1824, a inserire brani tratti da “Bianca e Falliero” e, forse, “Armida” in sostituzione della sfida, passo giudicato di difficile, per non dire impossibile esecuzione in assenza dei tenori per i quali era stato scritto. E sì che i “sostituti” parigini rispondevano ai nomi di Bordogni e Donzelli, non esattamente degli esordienti!

D.Donzelli/A.Tamburini

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2 pensieri su “Le Donne del lago: riflessioni su alcuni libretti ottocenteschi.

  1. L’errore di Gossett – peccato veniale, s’intende, in un testo destinato alla divulgazione – è quello di valutare i fatti senza considerare la corretta prospettiva storica: ed è abbastanza divertente che questo errore “filologico” venga dal maggio studioso del melodramma italiano. Il fatto è che imputare a Serafin i limiti che sono propri di una determinata fase della storia dell’esecuzione musicale (limiti in senso lato, giacché corrispondenti ad una precisa visione estetica ed ideale) è profondamente ingiusto. Serafin interpretava quei titoli – per lo più desueti o addirittura ignoti – nell’unico modo in cui all’epoca si potevano interpretare, adattandoli al gusto e alle peculiarità (anche tecniche) degli esecutori e del pubblico. Erano altri tempi, non esistevano edizioni corrette né riflessioni sullo stile rossiniano. Erano tempi pionieristici e già proporre il Rossini serio ad una generazione che ne conosceva quasi esclusivamente il repertorio buffo (e pure questo mediato dal gusto del tempo e dalle fisiologiche incrostazioni che negli anni si erano sovrapposte al testo) era una rivoluzione. Con ampi patteggiamenti per renderla gradita al pubblico, d’accordo, ma proprio grazie a ciò – credo – certi titoli sono riemersi dall’oblio, consentendo, successivamente, un più corretto recupero. Del resto anche Mendelssohn, quando nel 1829, presentò al pubblico un lavoro sconosciuto (La Passione secondo Matteo di Bach), modificò pesantemente il testo con tagli, aggiunte, riorchestrazioni…tanto che oggi ogni purista ne sarebbe (forse giustamente) inorridito. Ma senza questi pesanti interventi, senza “le forbici di Mendelssohn”, forse Bach e la sua Passione sarebbero rimasti negli archivi polverosi della storia. Il capitolo di Gossett su Serafin è molto divertente e di piacevole lettura, ma non rende giustizia ai meriti del direttore.

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