Durante la diretta dal festival di Martina Franca il nome di Rodolfo Celletti è stato inflazionato. Quando si parla di bel canto si deve parlare di Rodolfo Celletti, salvo poi disattenderlo quando si deve mettere in scena opere di imposto belcantistico. Ma la domanda che mi sono posto l’altra sera era un’altra, ovvero avrebbe proposto nel “suo“ festival Celletti un’opera della trilogia cosiddetta da Ponte? Prima risposta negativa in senso assoluto perché riteneva di non disporre dell’organico orchestrale idoneo. E pur vero che Celletti propose nel 1986 Semiramide che sotto questo profilo ha esigenze non inferiori a Mozart. In secondo luogo no, perché riteneva queste opere definitivo appannaggio delle multinazionali del disco di quei festival come Salisburgo che, manu militari, avrebbe soppresso e dei loro cantanti, che non stimava e che appena possibile sezionava. L’unica proposizione mozartiana fu, se non sbaglio, una selezione di Nozze nel 1982 con, fra gli altri, Daniela Dessy, che cantò spesso Contessa e Martine Dupuy, che vera cantante di Celletti cantò sempre tanto bene quanto poco volentieri Mozart. E’ risaputo che l’unica cantante “di Celletti” che ebbe un vasto repertorio mozartiano rimane la Cuberli. Se avesse proposto questo titolo mozartiano sarebbe partito dal profilo vocale e per prima cosa avrebbe scelto o cercato di scegliere quelle voci all’italiana morbide, rotonde e sonore , che potevano cantare il bel canto italiano sino al primo Ottocento. Ovviamente nessuno dei divi delle multinazionali, poi avrebbe cominciato ad elucubrare che di sei parti una sola, ovvero Fiordiligi risponde alla vocalità dell’opera seria e che la prescelta avrebbe dovuto distinguersi dal resto della compagnia per le peculiarità del soprano da opera seria italiana, non solo avrebbe rincarato la dose dicendo che la scrittura ambigua di Fiordiligi si adattava ad un soprano drammatico (diciamo tipo Colbran) o addirittura ad un mezzo acutissimo. Se volete guardando la “école” Celletti mi sovvengono i nomi di Martine Dupuy o di Maria Dragoni, sulle quali poi si possono fare molte osservazioni, ma …… Non solo avrebbe anche rimpolpato la dose di fedeltà a prototipo vocali e stilistici per i due personaggi dei tessitori di trame ovvero Despina e don Alfonso per concludere che la prima non deve essere una cantante allo stadio terminale delle carriera (vedere la stroncatura che riservò a quella di Jane Berbié, proposta nel disco di Georg Solti) e che il secondo nulla deve avere del guitto e del basso caricato. Discorso questo che aveva a suo tempo cercato di realizzare praticamente con il Bartolo del Barbiere, affidato ad un cantante -Luigi de Corato- che Celletti intendeva avviare alla carriera di baritono da opera seria.
E dulcis in fundo il problema della prassi esecutiva sia dei numeri solistici che dei recitativi. I primi, particolarmente quelli di Fiordiligi, ma pure i duettini fra le due sorelle e le riprese delle arie di Ferrando da arricchire ed agghindare di varianti ed i secondi da eseguire con dovizia di appoggiature.
Domanda ulteriore, che trascende Rodolfo Celletti, il Festival di Martina e la storia dell’esecuzione vocale è che cosa sia stato praticamente offerto ieri sera da Martina nel solco cellettiano. Risposta, grisiano modo, nulla. Perché……. perché proporre l’edizione critica non è solo rimettere un bemolle al suo posto in luogo di un bequadro o inserire qualche modesta (ed aggiungo sempre molto l’una simile all’altra, diciamo da pre stampato) cadenza fra le sezioni di un numero solistico, ma è offrire una lettura libera in tempi e dinamiche, secondo prassi del tempo o immediatamente successive ben documentate, proporre un Ferrando dai modi dolci, ma dalla vocalità dal sesso molto certo, mentre qui avevamo in Bryan Lopez Gonzalez il solito latore di suoni eunucoidi, un Guglielmo ed un Alfonso sonori, ampi, morbidi nel timbro, chiari e scolpiti nella dizione. Ancor più importante la distinzione fra le sorelle e Despina perché tre voci femminili egualmente corte, equalmente chiare, egualmente stimbrate non rendono certo le differenze drammaturgiche e psicologiche dei personaggi.
Quanto alla direzione e concertazione a parte il fatto che non suggerire accenti, appoggiature nei recitativi oltre che colori nei numeri solistici significa non adempiere il compito di concertatore era piatta meccanica e metronomica oltre che inficiata da sonorità e pesi baroccari. Omaggio a Rodolfo Celletti? No! Indegnità a succedergli!