Gli altri autori del sito, nati ben dopo le rappresentazioni di cui sto per riferire, mi hanno chiesto qualche riflessione sulle rappresentazioni di Donna del lago cui ho assistito dal vivo. Devo dire che davanti a questa richiesta mi sono rivisto quando, decenni or sono, chiedevo ai loggionisti scaligeri di cantanti della loro giovinezza. Insomma mi sono un poco sentito ridotto a “quand gh’era la Maria” o, peggio ancora, “l’ha minga sentì el Pertile e la Raisa nella Francesca”.
Sono grato dell’invito perché questo mi offre la possibilità di riflessioni ulteriori rispetto a quelle nate all’epoca delle rappresentazioni, sul presupposto che il tempo porta a revisioni e ripensamenti. Allora la Donna del lago proposta al ROF 1981 presentava per la prima volta integrale la versione di Napoli, ossia quella che gli ascoltatori udirono a Napoli nel 1819, versione cui non si erano attenute le rappresentazioni di Firenze 1958 e della Rai 1970, tagliate nei numeri originali ed arricchite con altri provenienti dal Falliero, secondo una tradizione quasi coeva alla prima.
L’edizione pesarese pur in una fase già avanzata della renaissance rossiniana venne rovinata dalla posizione del direttore prescelto Pollini che non volle sapere né di trasporti né di raggiusti per i cantanti prescelti. Di queste le due protagoniste femminili erano entrambe voci più acute di quelle previste da Rossini per Elena e Malcom e secondo la vera prassi del tempo rossiniano le loro parti dovevano essere accomodate. Ma l’idea assolutamente di retroguardia ovvero “se Rossini avesse voluto le varianti per Malcom le avrebbe scritte” venne sposata dalla dirigenza del festival perché Pollini era Pollini ovvero il compagno Maurizio e le due prescelte “due provinciali” (lo diceva Pollini medesimo e quindi era il verbo…….). Le due prescelte se la cavarono perché erano cantanti ben provvedute tecnicamente, certo non brillarono come era loro accaduto pochi mesi prima quando, accompagnate da Alberto Zedda, avevano trionfato in Capuleti e Semiramide.
Era un serio campanello d’allarme che diceva aspetti che avrebbero inficiato il futuro del Festival ovvero che la filologia era assolutamente strumentale ad altre esigenze e soprattutto alla legge del “chi conta di più” che non necessariamente erano Rossini e le sue opere. E siccome al Festival le facce non sono cambiate, l’utilizzo strumentale della filologia persiste ed anzi si è andato accrescendo nel tempo.
Oggi riascoltando quella registrazione la vera zeppa non sono le mancate varianti e gli omessi accomodi, ma la pesantezza, monotonia e mancanza di idee interpretative del direttore, che pure il mondo romantico ben avrebbe dovuto conoscere. La definizione di mazza ferrata è quanto mai pregnante e condivisibile.
A chi come me era tornato a casa con le “pive nel sacco” nel mese di settembre 1981 l’esecuzione proposta il 14 novembre 1982 alla Carnegie Hall, capitanata da Marilyn Horne parve un altro mondo. Possiam anche dire che la Horne in una parte che dal vivo frequentò pochissimo si era fatta un po’ prendere la mano come evidenzia l’incipit del finale primo con cadenza riservata a questo Malcom o la riscrittura del “fato crudele e rio” dove la linea musicale sparisce, ma l’iniziativa della Horne, matriarca della renaissance rossiniana, offrì il Rodrigo di Raffanti la cui voce riempiva e straripava nella vastissima sala nuovayorkese ed eseguiva con un mordente, una precisione ed uno slancio a noi ignoto la scrittura acrobatica dell’antagonista, dimostrando per primo che il tenore di Rossini deve avere una voce ampia e rotonda. In senso stretto Raffanti non aveva colori baritonali, ma scendeva senza difficoltà e si avvertiva la differenza con il tenore contraltino, uno sconosciuto o quasi Blake (sarebbe arrivato in Italia nel successivo mese di marzo 1983 e al più lo si conosceva per la registrazione del Crociato), che non era ancora il “monstrum” che per un decennio avrebbe infiammato il pubblico italiano ed europeo con acrobazie e varianti, che restano uniche ed irraggiungibili nella storia del canto e che costituiscono uno dei fatti di rilevanza storica nella storia dell’opera del dopo Callas.
Era sempre un’esecuzione vocale perché né Scimone (ad Houston nel 1981 dove il cast aveva debuttato il titolo rossiniano) né Renzetti in quelle recite andarono oltre l’accompagnare i cantati ed adeguarsi ai “suggerimenti” di madama Horne.
Il riascolto delle due edizioni mi porta a ripetere, tanto perché si dica che ragiono da melomane, che le due protagoniste sono efficienti, capaci e per certi versi (precisione dell’ornamentazione) Lella Cuberli irraggiungibile, ma non sono la voce della Colbran ed i copiosi trasporti predisposti per la von Stade non servono a compensare l’accento poco scandito ed abulico. La voce della Colbran sappiamo bene essere un’ara sulla quale il Festival di Pesaro ha effuso ugole e avallato oscenità inenarrabili ed incondivisibili senza ottenere risultato perché almeno dal 1980 non ci sono più autentici soprani drammatici di agilità (intendo voci tipo Russ, Boninsegna, Raisa, Ponselle, giovane Callas). L’unica carta che si poteva giocare come Elena era il Malcom pesarese, mezzo acutissimo dalla voce morbidissima e timbrata e facilissima in alto. Più il tempo passa e più e sono convinto. Nessuno -penso- provò a mettere insieme Horne e Dupuy nei due ruoli e l’occasione persa è di quelle da rimpiangere. Possiamo consolarci con l’esecuzione del rondò della Dupuy ed anche di quello della Horne, quando sino ai primi anni settanta la cantante americana era ancora un mezzo acuto. Meglio che niente, meglio e tanto dei surgelati delle accademie pesaresi, che presumono in un mesetto di sfornare cantanti rossiniani, certi del plauso del nuovo pubblico, che non ha sentito queste esecuzioni e, quel che è peggio, se le sente non le ascolta e comprende.
Nel 1986 a Nizza Blake, Cuberli e Dupuy erano diventati i nomi di punta della Rossini renaissance, soprattutto in Francia (dove adesso avremo come Arsace di Semiramide un falsettista, il cosiddetto surrogato di castrato) e si sentiva dagli entusiasmi del pubblico e dalla irrisoria facilità con cui superavano le difficoltà vocali previste dal testo ed inserite da loro medesimi. Indelebile ricordo da un palco di proscenio Blake, seduto (stravaccato, quasi) per terra, che cantava con un controllo irripetibile del fiato l’aria, che apre il secondo atto dalla tessitura astrale e dalle mille varianti dinamiche inserite dal fantasioso tenore americano. Anche qui ripensando se esistesse il video della recita non sarebbe esemplare per lo stile ed il gusto del tenore, ma per la respirazione. La meccanica della respirazione non è il canto tout court, ma il presupposto per essere un cantante. Oggi pochissimi lo sanno con le voci ingolate nella pancia o poste fra laringe e tonsille che popolano tutti i teatri.
Dopo quelle recite la Cuberli non ripropose più Elena, mentre Blake e la Dupuy “fecero cappotto” alla Scala, dove il pubblico aspettava Merritt e la Anderson. Solo che un critico musicale (Maurizio Papini de Il giornale, quello di Montanelli) lo scrisse claris litteris senza accodarsi a preordinati ed organizzati trionfi. Per altro non si poteva far diversamente perché l’urlo del pubblico dopo la cavatina di Malcom, coronata dalla messa di voce su un trillo che la Dupuy attaccava dando le spalle al pubblico o i cronometrati sette minuti di applausi all’aria di Blake sono gli elementi, che rendono questo gruppo di recite o almeno questo due esecutori storia dell’opera e della sua interpretazione, anche se credo che in quel momenti i due cantanti al loro debutto scaligero, fossero preoccupati di fare bene e di essere all’altezza della loro fama. Fama nata sul palcoscenico serata dopo serata, girando l’Europa.
E poi Muti che sembrò abdicare al suo proverbiale rigore, alla sua voglia di eseguire lo spartito ossia quello che l’autore voleva per offrire un valido sostegno a cantanti e creare al finale primo tensioni drammatiche che ci dicevano che l’opera data 1819 e che è un titolo tragico ad onta dello scioglimento finale.
Faccio le riflessioni finali in dieci anni dal 1981 al 1992 passammo dallo stupore per la riproposizione di un titolo in una versione coerente con due voci femminili di alto profilo (allora i tenori rossiniani non si sapeva che cosa fossero veramente), tarato da una bacchetta inadeguata sotto profilo ad una esecuzione vocalmente completa sotto il profilo tecnico e filologico con la scoperta di vere voci e capacità tecniche anche maschili sino alla presenza di un direttore, che forse più per forza che per amore, seppe offrire un clima plausibile per un titolo protoromantico. Poi sono seguiti altri 25 anni di Donna del lago, titolo approdato anche nel massimo teatro americano, che come Tancredi sempre lo negò alla Horne, ma dubito che questo ulteriore e ben più lungo periodo ci abbia offerto rappresentazioni di egual importanza e rilevanza.
Gli ascolti
Gioachino Rossini
La donna del lago
Elena – Lella Cuberli
Malcolm – Martine Dupuy
Giacomo V – Philip Langridge
Rodrigo – David Kuebler
Douglas – Luigi De Corato
Albina – Maria Casadei
Serano – Oslavio di Credico
Bertram – Timothy Evans-Jones
The Chamber Orchestra of Europe
The British Choir Abroad
Direttore d’orchestra – Maurizio Pollini
Maestro del Coro – Martin Bruce
Pesaro, Teatro Rossini, 16 Settembre 1981.
Atto I – Parte I
Atto I – Parte II
Atto II
La donna del lago
Elena – Frederica von Stade
Malcom – Marilyn Horne
Giacomo V – Rockwell Blake
Rodrigo – Dano Raffanti
Douglas – Dmitri Kavrakos
Albina – Emily Golden
Bertram/Serano – James Atherton
Orchestra of St. Luke’s
Direttore d’orchestra – Donato Renzetti
New York, Carnegie Hall, 14 Novembre 1982.
Atto I
Del dì la messaggera…O mattutini albori…Scendi nel piccol legno…Uberto! Ah! dove ti ascondi?
Sei già nel tetto mio…D’Inibaca donzella…Sei già sposa?…Cielo! in qual estasi
Mura felici…Elena! oh tu, che chiamo…Oh quante lagrime…Signor, giungi opportuno…Taci, lo voglio…E nel fatal conflitto…Vivere io non potrò
Qual rapido torrente…Eccomi a voi…Alfin mi è dato amico…Quanto a quest’alma amante…La mia spada è la più fida…Già un raggio forier
Atto II
Oh fiamma soave…Alla ragion, deh rieda…Misere mie pupille…Io son la misera
Quante sciagure…Ah si pera…Fato crudele e rio
Attendi, il re fra poco ti ascolterà…Tanti affetti
La donna del lago
Elena – June Anderson
Malcolm – Martine Dupuy
Giacomo V – Rockwell Blake
Rodrigo – Chris Merritt
Douglas – Giorgio Surjan
Albina – Marilena Laurenza
Serano – Ernesto Gavazzi
Bertram – Ferrero Poggi
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala di Milano
Riccardo Muti
Direttore del coro – Roberto Gabbiani
Milano, Teatro alla Scala, 27 Giugno 1992.
Atto I
Mura felici…Elena! oh tu, che chiamo…Oh quante lagrime
Alfin mi è dato…Vieni, o stella…Quanto a quest’alma amante…La mia spada è la più fida…Già un raggio forier
Atto II
Oh fiamma soave
Caro carissimo Domenico , riflessioni esemplari sempre …..ma soprattutto mi hai riportato alla mente la meravigliosa recita di Nizza (c’era Giulia, c’era la mia fidanzata di allora….forse qualche altro amico nel tempo disperso). ….una domenica iindimenticabile.
Il Corriere e’ l’unica cosa che mantiene viva la mia passione per l’opera, grazie sempre per la generosità vostra e di tutti gli autori del sito.
Riflessioni e commenti come sempre, interessanti, illuminanti ed anche istruttivi., come gli ascolti consigliati. Ho un solo appunto, di carattere, temo, strettamente personale. I miei vecchi (vabbè, diciamo anziani, che fa più chic…) occhi non ce la fanno a seguire il bianco su nero…. Devo smettere e riprendere più volte… Lo so che questa grafica è lo “stile” del Corriere della Grisi, ma se da qualche parte si potesse trovare il testo normalmente nero su bianco sarebbe un grandissimo sollievo…. Chiedo scusa per essere così totalmente fuori tema ……………….
Ottimo sotto ogni aspetto l’articolo, complimenti. Mi permetto di ricordare una dimenticata rappresentazione di Donna del lago a Bologna. Non ricordo la data, perchè ho smarrito i programmi,ma dovrebbe risalire alla fine degli anni 70 agli inizi degli anni 80. La protagonista era Angeles Gulin, Rodrigo era non so se Piero Bottazzo o Umberto Grilli. Rappresentazione assolutamente dignitosa, molto più di quanto viene propinato oggi a Pesaro.
Vorrei ricordare anche le recite triestine del gennaio 1985. Quasi lo stesso cast della ripresa pesarese con la Cuberli al posto della Ricciarelli e De Corato al posto di Ramey. Sul podio, come a Bologna, c’ era Maurizio Arena
https://www.youtube.com/watch?v=G9-gdKqRl44
La Donna del Lago
Teatro Verdi, Trieste
Gennaio-Febbraio 1986
Maestro Direttore Maurizio Arena
Elena: Lella Cuberli
Malcolm Groeme Lucia Valentini Terrani
Ewa Podles
Albina Gloria Scalchi
Giacomo V Dalmacio Gonzales
Rodrigo di Dhu Dano Raffanti
Douglas d’Angus Luigi De Corato
Serano Giuseppe Botta
Bertram Saverio Bambi
Opéra de Nice
14,16,18,20 Mars 1986
Direction Musicale: Claire Gibault
Elena: Lella Cuberli
Malcolm Groeme Martine Dupuy
Albina Cecilia Norick
Giacomo V Rockwell Blake
Rodrigo di Dhu Michael Cousins
Douglas d’Angus Gregory Reinhart
Serano Pierre Capelle
Un caro saluto
A Trieste, Ewa Podles subentrò alla Valentini-Terrani per tre recite e , per una recita sola, Vito Gobbi subentrò a Gonzales.