Hommage à Nourrit: Michael Spyres in concerto al Rof.

SpyresPer il tradizionale concerto solistico con orchestra il Rof ha proposto quest’anno Michael Spyres, reduce dal bel successo personale quale Rodrigo di Dhu, accompagnato dall’Orchestra Sinfonica Rossini (diretta da David Parry, per anni bacchetta di fiducia delle incisioni Opera Rara) in un programma dedicato alla figura di Adolphe Nourrit. A differenza di altri recenti omaggi a mitici cantanti del passato pre discografico, il tenore statunitense può vantare una frequentazione non occasionale del repertorio del dedicatario del concerto, avendo eseguito Guillaume Tell, Muette de Portici, Huguenots e Siège de Corinthe (anzi, è singolare che in quest’omaggio non fossero compresi gli ultimi due titoli, il secondo dei quali previsto per l’edizione 2017 del festival adriatico). Il concerto, dall’esito trionfale, ha offerto una rassegna dei maggiori compositori che scrissero per Nourrit, mancando all’appello solo Meyerbeer e Mercadante, la cui Elena de Feltre (e non lo Stradella di Niedermeyer, come annunciato dal cantante prima dell’esecuzione dell’ultimo brano) fu l’estremo titolo affrontato da Nourrit prima della morte. Al di là dell’apprezzamento per il programma, “pensato” e ambizioso come dovrebbe essere (e quasi mai è) il programma da concerto di un artista che voglia dirsi tale, e dell’ammirazione per la resistenza fisica del tenore, che ha affrontato nove pagine di considerevole impegno con l’unico intervallo concesso da due brani orchestrali e da qualche occasionale “fuga” dietro le quinte per un bicchier d’acqua Toti style, non posso dire che il concerto si sia discostato significativamente dall’esito delle più recenti esibizioni di Spyres, anche se, rispetto ad altri cimenti pesaresi nella stessa sala (Aureliano e Donna del lago in forma di concerto) la voce è risultata di maggior volume, anche se appesantita da un vibrato che si fa più pronunciato quando oltrepassa il mezzoforte. La ricerca, in prima ottava, di un colore artificiosamente oscurato, oltre a limitare l’espansione in basso (specie quando l’orchestra, opportunamente collocata nel golfo mistico, accenna un crescendo, come nel recitativo dell’Ali Baba), fa sì che la voce non acquisti maggior brillantezza e sonorità man mano che progredisce verso l’acuto, ma al contrario rimpicciolisca, fino a risolversi in suoni che richiamano ben poco il falsettone ottocentesco ed evocano, semmai, le censure che Rossini muoveva all’illustre rivale di Nourrit, Gilbert Duprez. Si ha l’impressione che la voce non abbia una posizione omogenea nei diversi registri e che, nello specifico, la salita agli acuti venga risolta più con la freschezza del mezzo che con la saldezza della tecnica: da qui, probabilmente, anche la scelta di modificare alcune vocali (“e” che diventano “a”, come nella già citata aria di Cherubini e nella cavatina di Ory) allo scopo di raggiungere più agevolmente le note estreme, scelta che però nuoce all’articolazione del testo. Una delle peculiarità che fecero di Nourrit una star pare fosse per l’appunto la grande attenzione all’espressività, la resa, minuziosa fino all’ossessione, del valore di ogni singola frase e inflessione musicale e poetica: nulla di tutto questo, nel concerto di Spyres, e se le pagine più brillanti (Gustave III, Philtre, mentre nella barcarola dello Stradella la stanchezza vocale “paga pegno” e accentua le disomogeneità fra acuto e grave, originando anche qualche slittamento d’intonazione nel passaggio tra i registri) risentono limitatamente di questo, risultando quindi le esecuzioni più pregevoli, l’impossibilità di articolare una mezzavoce che non si risolva in un suono scarsamente appoggiato pregiudica l’effetto dell’aria del sonno di Masaniello, mentre la grande scena di Arnoldo viene eseguita con saldezza sicuramente maggiore rispetto ai cimenti teatrali (del resto la difficoltà del brano è data anche dal fatto che costituisce il “gran finale” di un ruolo lungo e complesso), ma, come la trenodia di Eleazaro e il lamento di Poliuto, senza un’intenzione espressiva che vada oltre il generico (complice, va detto, la direzione che, quando non dispensa maldestri clangori, opta per un tono piatto e sbrigativo, benché funzionale alle caratteristiche del cantante). Pur con tutti questi limiti, il concerto è stato apprezzato anche per la franca comunicativa del cantante, che si è “offerto” in un programma di cospicuo impegno senza barare, senza concedersi sconti di sorta (tutte le scene sono state eseguite integralmente, salvo un taglio nella cabaletta di Juive e nella coda di quella di Arnoldo), tra l’ultima recita di Donna del lago e il galà per il ventennale di Florez (a fine concerto uno spettatore, che verosimilmente non ha mai sfogliato le cronologie di Aureliano Pertile o Galliano Masini, ha paragonato in questo senso Spyres ai divi dell’Ottocento), dimostrando che andare in scena e dare il massimo, senza cercare conforti in ogni senso virtuali, è la via maestra per conquistare l’ammirazione e l’affetto del pubblico.

Auber – Gustave III

Oh vous, par qui ma vie (frammento)

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3 pensieri su “Hommage à Nourrit: Michael Spyres in concerto al Rof.

  1. Al di là del senso del programma – interessante e curato – quello che conta è la voce con cui si è presentato. Omogenea, non più artificialmente così scurita come in passato nel Ciro e nell’Aureliano, però di volume non eccezionale, soprattutto in alto e negli acuti (quelli dell’aria del Conte Ory non mi sono proprio piaciuti).
    Il fatto che possa cantare dei pezzi del repertorio di Nourrit non significa che possa cantare tutto il repertorio di Nourrit o che questo cantasse come lui.
    I momenti migliori mi sono sembrati l’aria di Masaniello (anche se tutta un sospiro), l’aria dal Philtre e dalla Juive e quella dal Poliuto. Il Guglielmo Tell sta anche a lui molto largo, pur nelle dimensioni ridotte del Teatro Rossini. In effetti non è stato uno dei pezzi più applauditi, in un concerto caratterizzato da un buon successo ma non da delirio da stadio come per altri beniamini.
    Dopo l’ottima impressione che avevo avuto dal vivo in Baldassarre e quella molto buona in Aureliano, il suo repertorio migliore mi pare ora quello francese anni ’20 e ’30 (la pronuncia francese è molto buona anche se non sempre perfetta, ma quello che conta è il fraseggio, che per un cantante angloamericano è molto curato e pertinente). Lo avevo sentito nel Pre aux clercs di Harold all’Opera Comique nel 2015 e devo dire che anche questo concerto mi ha confermato l’ottima impressione che mi aveva fatto in quel tipo di repertorio.
    Fa piacere infine constatare la tipologia del concerto, che però suppongo sia stata un’idea del cantante più che della direzione. Nei prossimi anni si potrebbero sviluppare un omaggio alla Manfredini (da parte della Pratt?), un omaggio alla Cinti-Damoreau uno alle sorelle Marchisio?, ecc.

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