D’amor sull’ali rosee. Barbara Kemp e Frida Leider, o dell’espressività.

Immagine anteprima YouTube Barbara Kemp (1915)

Immagine anteprima YouTube Frida Leider (1925)

Il cantabile della grande aria di Leonora, prima tappa dell’autentico tour de force che è per il soprano il quarto atto di Trovatore, tratteggia in pari misura la nobiltà e la disperazione della donna pronta non solo al duplice supremo sacrificio dell’onore e della vita, ma a non vedere riconosciuta, da parte dell’amato, la grandezza del proprio olocausto. Sulla tragedia di questa vittima del destino e dell’insensata violenza umana Verdi confeziona una trenodia che, dopo un incipit nella zona medio-grave del pentagramma, arriva progressivamente al registro acuto, regione vocale prediletta dalla creatrice della parte, Rosina Penco. Siccome in questi ultimi giorni molto abbiamo dovuto leggere a proposito delle voci verdiane, delle loro caratteristiche e dei limiti che incontrerebbero in questo autore, più che in altri, cantanti e pubblico di area tedesca, proponiamo due Leonore che in ogni senso si esprimono in tedesco, o per meglio dire in prussiano. Barbara Kemp (1881-1959) e Frida Leider (1888-1975) si alternarono per alcuni anni nel medesimo teatro, quello di Berlino, diretto dal marito della prima, Max von Schillings. A dimostrazione del fatto che gli affetti domestici possono anche non influire minimamente sulla capacità di esercitare un’attività professionale con imparziale competenza. Soprano lirico spinto la Kemp, drammatico la Leider, rinomate specialiste soprattutto di Strauss (che per lei stravedeva) la prima e di Wagner la seconda, nel repertorio italiano ebbero diversi ruoli in comune, da Aida a donn’Anna, fino appunto a Leonora del Trovatore. Nella prima sezione dell’aria la Leider (che si compiace di un tempo ancor più dilatato rispetto all’Adagio indicato da Verdi) esibisce impeccabili trilli, omessi dalla Kemp, che però ha dalla sua un legato ancor più impressionante e soprattutto un timbro nobile e malinconico senza affettazione, che da solo soddisfa buona parte delle indicazioni espressive della pagina (dal “pp con espressione” iniziale). Se la Kemp incanta per la misurata dolcezza del canto, la Leider stupisce per la capacità di giocare liberamente non solo con la dinamica, ma con l’agogica, indugiando in zona centrale (“lo desta alle memorie”) e più ancora sugli acuti (“le pene del mio cor”), regione in cui il suono della cantante è ancor più luminoso di quello della collega. Da notare che sia la Kemp sia la Leider si attengono, all’ultimo “deh! non dirgli improvvido”, a quanto indicato da Verdi, limitandosi ad omettere il re bemolle sovracuto, ma per il resto senza ricorrere alla semplificazione prevista in “oppure”. Nel finale della pagina nuova contesa a suon di trilli, prima sul mi bemolle (scritto) e poi sul sol acuto (aggiunto), contesa che stavolta vede vincitrice la Kemp, in virtù di una maggiore lunghezza e perfetta sgranatura dell’abbellimento. Più dolente e misurata la Kemp, più tragica la Leider: il gusto personale può (anzi, deve) inclinare verso una delle due realizzazioni, l’onestà impone di riflettere sulla comparabile grandezza.

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