Aix 2014
Pesaro 2016
In questa edizione del Rof caratterizzata da storture di ogni tipo, cast all’80 per cento scadenti e approssimazione filologica la punta di diamante (qualcuno potrebbe dire pietra dello scandalo?) è stata, senza dubbio alcuno, la prestazione della signora Mariotti nel Turco in Italia, prova che avrebbe meritato sonore contestazioni già alla prima. Se da un lato questo imprevisto deve aver creato non pochi turbamenti agli organizzatori del festival in quanto membri della gestione “ tipo clan” (per utilizzare un termine desunto da donna del lago) della baracca pesarese, dall’altro avrà sicuramente fatto tirar loro un sospiro di sollievo perché la vicenda è stata un utile parafulmine che ha deviato l’attenzione dalle innumerevoli e già citate storture. Torniamo però alla farsa che vede protagonista Olga Peretyatko che noi della Grisi, abbiamo avuto modo, volenti o nolenti, di seguire. La signora, non contenta della sua esibizione, in luogo di limitarsi al silenzio o alle scuse, si è dedicata con alacrità a intervenire sui social e rispondere in modo piccato a chi giustamente non l’ha apprezzata e si è sentito offeso per il trattamento riservato a Rossini, del quale a pochi, evidentemente, importa realmente qualcosa. I problemi di salute, che sono una scusante parziale, qualora vi siano, vanno annunciati prima dello spettacolo e, se gravi, dovrebbero suggerire di limitare al massimo i danni anche tagliando alcuni pezzi E non siamo statii soli a dirlo. Nell’era dei “cantanti social” gli “artisti” si dimenticano troppo spesso che al pubblico interessa ciò che fanno sul palco e non i loro fatti privati, le loro opinioni, le loro scuse, perché un cantante si giudica per come canta, non sulla base dell’aspetto fisico, di chi ha sposato e di cosa posta sui propri account. Taccio poi sull’opportunità di chiedere la rimozione da YouTube di video solo perché non si è soddisfatti della resa, specie dopo che la trasmissione radio è stata trasmessa in tutto il mondo. Per uno che ne fai togliere, ne spuntano altri dieci. Ma potreste mai immaginarvi una Sutherland, una Horne, una Tebaldi, una Sills, tanto per nominare alcune grandi cantanti, comportarsi in questo modo? Erano pagate per cantare e deliziare il loro pubblico, non per mendicare pietà e consensi, l’accattonaggio lo lasciano alle mediocri.
Dunque questo ascolto comparato sarà tra la signora Mariotti e se stessa per dimostrare che la performance pesarese non è frutto del caso o di un’indisposizione momentanea (che comunque c’era e ha peggiorato notevolmente le cose), ma un risultato prevedibilmente negativo che si può riscontrare in precedenti esecuzioni – come quella di Aix 2014 – e che deve essere imputato alla fallace impostazione generale di questa stellina che sta da tempo affrontando ruoli ben al di sopra delle reali qualità.
Già dalla lettura parlata della lettera si può sentire un tono caricato che fallisce nel creare il pathos di questa scena da dramma serio incastonata in un’opera buffa; l’accento straniero non opportunamente sorvegliato fa il resto. Dettagli e piccolezze rispetto a quanto segue.
Già dall’incipit del recitativo “Qual colpo” si sente distintamente come la cantante cerchi di gonfiare i centri per trovare sonorità più corpose e adatte al ruolo, a scapito della posizione della voce. Nell’ “e vi detesto” poco dopo si può già osservare come è gestito il sistema degli acuti (qui si tocca il si b), cioè con salite effettuate senza perizia tanto da risultare spinte, periclitanti e poco intonate, non di rado contemporaneamente; la cantante cerca di salire ricorrendo regolarmente a suoni aperti che, oltre a essere stridenti, rivelano il colore naturale da soubrette.
L’andante “squallida veste” rivela fin dal principio un grave problema: la posizione bassa fa sì che, oltre a precludersi la via agli acuti, la cantante non sappia che pesci pigliare neppure coi centri che sono pieni di aria e rigorosamente in bocca. Questa caratteristica si accentua nelle note più gravi dove è chiaro che i suoni non sono correttamente sostenuti e diventano prossimi al parlato come in “ve-ste bru-na” (la-sol-fa) e “ornamento” (la-fa-re diesis). Zona del passaggio, tanto per chiarire. Ecco che il legato con questa impostazione è assente e che già i primi acuti dimostrano fatica e difficoltà (il fa diesis del primo”lutto”), in gergo si dice che ballano, nonostante non siano note tenute particolarmente a lungo. Nel successivo “basti” si può ammirare ancora la pessima gestione delle note medio-gravi, che si fanno ancora peggiori qualora, la vocale sia “stretta” come appunto la i. In “a chi l’onor perdé” si può notare un maldestro tentativo di trillo e, poi alla ripetizione, la voce mostra ancora la tendenza a ballare e spoggiarsi quando tenta il piano e le note sono tenute. La cadenza conclusiva è disordinata e non fa che confermare quanto detto sopra.
L’Allegro con il suo tempo più sostenuto riporta la Peretyatko coi piedi per terra: è più facile simulare una voce più ampia di quel che si ha nei tempi lenti, ma qui emerge la natura della voce del soprano, una voce da soubrette con accento da operetta, cui difetta completamente di ampleur e che, per supplire alla carenza, tuba i centri. La zona superiore della voce, teoricamente quella privilegiata del soprano che infatti varia sempre in acuto, risulta problematica da gestire con una simile impostazione improvvisata: la fatica si fa sentire e ogni sollecitazione non fa che aggravare le cose. Dunque nel secondo “far ritorno” si può sentire sulla sillaba no la voce spinta, oscillante e sempre più prossima al grido. Nel “voi restate se il cielo è sereno” l’incapacità di governare la voce nel centro e nei gravi prova a puntare sull’emozzzzionare il pubblico con effetti veristi e suoni parlati senza il minimo ritegno come in “se nero si fa”.
La cabaletta vera e propria, formata da un tempo più lento iniziale seguito poi da un allegro, comincia con una nota sporca (sol) e di dubbia intonazione già nella prima parola “infelice”. Gli ulteriori nodi al pettine arrivano con le agilità, macchinose, tutte in bocca, prive di fluidità, imprecise e con le note tenute (il la di “non ha”), malferme e seguite da altre agilità, che, generosamente, si possono definire scolastiche.
Dopo i suoni tubati tutti in bocca di “caro padre, madre amata quale affanno sentirete”, sul “vostra figlia” fanno di nuovo capolinea suoni aperti e incerti di posizione e intonazione (il si b di vo) e nella cadenza prima della ripresa fa sfoggio di orrende e volgari note gravi oltre che intonazione incerta che coinvolge anche l’attacco dell’”infelice”, che in questa circostanza si riferisce palesemente al pubblico e non alla consorte di Don Geronio. La nota tenuta in questo caso sembra migliore e più stabile solo perché emessa più forte, dunque con spinta. Apprezzabile il tentativo di trillare, nonostante il risultato dilettantesco. I suoni tubati di “sentirete” e le variazioni di rara bruttezza fanno da anticamera alla sezione finale, quella più virtuosistica in cui non bastano le note, serve la tecnica. Ciò che colpisce in primo luogo è la necessità di slentare i tempi perché con una simile impostazione la rapidità e fluidità sono pure chimere, in secondo luogo la quantità esorbitante di suonacci tra acuti spinti e strillati, tirati e faticosi, note gravi uterine e emesse senza alcun controllo, note non bene a fuoco – utopia se la voce non lo è – che producono agilità imprecise ottenute con una sorta di glissando e caratterizzate da problemi di intonazione continui. Nelle frasi si ha un’idea di come dal vivo la voce fosse coperta dal coro, nonostante la ripresa sia estremamente favorevole e tutto sia stato “aggiustato” in quanto a sonorità e la voce messa in primo piano. Il desiderio di fare un sopracuto finale, grazie a dio risparmiatoci a Pesaro, si conclude in un bercio spinto che diventa poi fisso e legermente calante prima di morirle letteralmente in gola. Anche in questo caso consiglio ai lettori di passare in rassegna video casuali su YouTube per verificare come i sopracuti della signora siano intonati con una frequenza inversamente proporzionale all’infallibilità di Bolt, della Biles, di Phelps e altri medagliati atletici olimpionici.
Ovviamente i francesi di Aix, celebre località à la page anche operisticamente parlando, applaudono generosamente proprio come fanno con la Petibon, la Kermes, la Bartoli e altre meraviglie del presente che in Italia trovano ancora poco spazio.
Solo due ascolti per dimostrare che anche voci leggere, ovviamente gestite saggiamente, hanno saputo rendere con ben altri risultati questa difficile aria rossiniana. Nel frattempo le grandi “vecchie” della lirica, la slovacca e l’italiana, se la ridono e anche stavolta pensano che la pensione può tranquillamente aspettare.
Quando si dice la modestia
http://www.repubblica.it/spettacoli/teatro-danza/2016/08/18/news/olga_peretyatko-146190749/