Quel ribelle, e quell’ingrato
vuò che al piè mi cada esangue,
e saprò nell’empio sangue
più d’un fallo vendicar.
L’aria che chiude il primo atto dell’opera vede Mitridate inveire contro il figlio maggiore, Farnace, reo di tradimento. Il brano completa la presentazione musicale del sovrano: la cavatina di sortita dipingeva la nobiltà dell’eroe sconfitto, qui è di scena il tiranno, nonché padre, oltraggiato da quello che dovrebbe essere il più fedele dei vassalli. Il brano, in una sola sezione (Allegro, Re maggiore), è caratterizzato da frasi piuttosto brevi, su un accompagnamento ostinato degli archi: la coloratura prevista non risulta di insormontabile difficoltà, ma sono presenti passaggi alquanto ardui, come la scala discendente alle parole “più di un fallo vendicar”, che porta la voce dal la acuto al do diesis sotto il rigo (con successivo ritorno al la acuto). E’ soprattutto richiesta all’esecutore, chiamato a rendere lo sdegno del monarca, una buona omogeneità dei diversi registri (il brano insiste per buona parte della sua durata tra il centro della voce e la zona dei primi acuti) e la capacità di scandire con la necessaria alterigia il testo poetico. Per la comparazione odierna ho scelto due cantanti avvezzi al repertorio belcantistico, per loro natura egualmente distanti dal prototipo del baritenore da opera seria settecentesca: Giuseppe Sabbatini ha proposto diverse volte in teatro (nonché in sala d’incisione) l’eroe mozartiano, mentre Michael Spyres, dopo avere debuttato nel ruolo a Parigi, l’ha affrontato nuovamente a Bruxelles e lo riprenderà prossimamente al Covent Garden. Preciso che ho preferito l’audio di Sabbatini, benché piuttosto precario, alla registrazione in studio (di due anni precedente) per fugare ogni dubbio circa l’attendibilità di un confronto tra una registrazione dal vivo e una effettuata, per contro, nel mendace comfort della sala d’incisione. Dalle prime battute il tenore romano dà prova di una buona solidità, sebbene alcuni attacchi sul mi centrale (“e saprò nell’empio sangue”) risultino non immacolati e il registro medio non possieda l’ampiezza richiesta dal ruolo e dalla circostanza drammatica (ben risolto, per contro, il già richiamato intervallo di quattordicesima). Quando il brano riprende l’idea musicale di apertura (stavolta nella tonalità di la maggiore) troviamo un fraseggio non molto vario, ma ancora una volta un’apprezzabile sicurezza su una frase come “e saprò nell’empio sangue”, insidiosa proprio perché insiste su note di passaggio come sol e fa diesis acuto: un po’ meno felice è la puntatura al si acuto su “più d’un fallo vendicar”, mentre in chiusa il la naturale (altra nota non prevista in partitura) risulta più sicuro e, quindi, maggiormente giustificabile. In generale l’esecuzione si segnala per una certa ritrosia all’ornamentazione supplementare e verrebbe quasi da pensare che il direttore Christophe Rousset (come sempre generico e piatto nella resa orchestrale, anche se meno pasticciata del solito) poco tolleri, per malinteso intento di filologia, interventi di questo tipo sul testo musicale. L’ipotesi è prontamente smentita dal fatto che Rousset dirige anche l’esecuzione proposta da Spyres, che invece ritocca spesso e volentieri, non di rado a sproposito, la linea musicale, per giunta “puntando” in alto fin dal primo enunciato. L’attacco “Quel ribelle” vede il tenore statunitense aprire marcatamente i suoni (la tendenza è ancora più pronunciata in corrispondenza della frase “più d’un fallo vendicar”, che scende al mi grave): di conseguenza il la acuto di “piè” risulta malfermo e privo di squillo. In generale si ricava dall’ascolto l’impressione di una voce che fino al mi sopra il do centrale possiede un’impostazione più o meno consolidata, mentre al di sopra di quella nota (“empio sangue”, “più d’un fallo”: fa diesis) il cantante si affida più che altro alla generosità della natura: a volte la nota risulta a fuoco (“più d’un fallo”, la acuto che inizia la già richiamata scala discendente), altre volte convince molto meno (stessa nota, attaccata dopo il do diesis sotto il rigo). Discutibili da un punto di vista musicale (e ancora più per la claudicante realizzazione) le quartine vocalizzate aggiunte su “saprò vendicar”, mentre il mi grave (proposto in alternativa al previsto mi centrale) di “vendicar” risulta vuoto e sordo. Altri suoni decisamente aperti e altra coloratura farraginosa alla modulazione in la maggiore (“Quel ribelle”), con suoni di malcerta intonazione ancora una volta in zona fa diesis/la acuto (“mi cada esangue”). La puntatura al si naturale (“più d’un fallo”) è la medesima proposta da Sabbatini, ma la tecnica appare assai meno solida e la resa espressiva risulta fatalmente intaccata, così come non giovano al ritratto dello sdegnato monarca i passi aggiuntivi “di sbalzo” (“vuò che al piè mi cada esangue”), più prossimi ai lamenti di un animale ferito (idea indubbiamente creativa, ma distante dall’orizzonte espressivo dell’opera metastasiana), e la puntatura finale al re sovracuto, un suono bianchiccio, simile a uno strilletto. Che cosa una simile organizzazione (o piuttosto disorganizzazione?) vocale possa produrre in un ruolo che richiede – almeno – pari vigore d’accento ed è ben più esposto sotto il profilo dell’agilità di forza, lo udremo nei prossimi giorni.
tutto sommato Rousset non mi dispiace, meglio con Spyres che con Sabbatini; il problema principale di Spyres è che spappola letteralmente da linea musicale con una pronuncia pessima. In un brano come questo la parola deve avere mordente, essere ben scandita o si perde completamente la frase musicale. Sabbatini da questo punto di vista è di gran lunga migliore e proprio grazie a una buona dizione rende credibile un brano per il quale sarebbe in realtà necessaria ben altra ampiezza nei centri.
Sono d’accordo. L’incisione di Rousset di Mitridate è di gran valore e Spyres non è affatto così malvagio per gli standard odierni. I difetti ci sono a partire dagli acuti deboli e bianchicci e dai gravi troppo gonfiati (inutilmente direi: ha le note, non serve cercare l’effetto Podles a tutti i costi, semmai bisogna cercare di dare omogeneità al complesso). Altra caratteristica che mi rende perplesso è la reale ampiezza della voce, credo molto più contenuta di quanto appare nei dischi. Restano però dalla sua parte un piglio, un coraggio e un che di elettrizzante nell’affrontare certo repertorio in cui, di fatto, la concorrenza manca. Il caso di Rodrigo nella Donna è la conferma di pregi e difetti.
Credo sia un cantante da seguire e la sua parabola finora è stata spesso foriera di risultati interessanti.
Auspico che non si autodistrugga affrontando in modo così impetuoso certo repertorio: in questo senso dovrebbe ispirarsi all’intelligenza vocale e interpretativa di Bruce Ford, mai abbastanza ricordato (e modello, per mio conto, del ruolo di Mitridate tanto per ricollegarmi al topic), piuttosto che alla dote eccezionale di Merritt, di cui evidentemente non dispone.