Direttore: Emmanuelle Haïm
Regia: Krzysztof Warlikowski
La Bellezza: Sabine Devieilhe
Il Disinganno: Sara Mingardo
Il Piacere: Franco Fagioli
Il Tempo: Michael Spyres
Il Festival di Aix-en-Provence quest’anno ha proposto, tra gli altri titoli, una rappresentazione in forma scenica del primo oratorio di Händel sulla linea di una prassi ormai piuttosto diffusa e sulla cui legittimità alcuni potrebbero storcere il naso. Personalmente ritengo che l’operazione di allestire scenicamente composizioni che in origine non lo prevedevano possa essere interessante e stimolante se ben realizzata. Cosa che in questo caso specifico non si è verificata, perché la regia di Warlikowski tradisce lo spirito di una simile composizione, anzi, dimostra di non averlo proprio compreso. Rivestire di tratti iper-realistici un simile testo è quantomeno inopportuno: Bellezza, giovane ragazza da discoteca, conduce un’esistenza fatta di esperienze al limite al pari di molti giovani ed è innamorata di un bel ragazzo che si droga e che poi muore nel corso dello spettacolo, Piacere è il suo amico/fratello che spinge l’incauta su questa strada pericolosa e non si risparmia bagordi di ogni tipo, Tempo (sessualmente ambiguo verso Bellezza) e Disinganno sono i saggi genitori che cercano di riportare la figlia sulla retta via. La scena unica è la sala di un cinema del presente in cui si avvicendano varie comparse, barelle di ospedale e un tavolino presso cui Disinganno batte a macchina come fosse una segretaria. Il regista si avvale di alcuni video: durante la sinfonia i bagordi in discoteca e l’overdose del giovane di cui Bellezza è invaghita e tra la prima e la seconda parte un estratto del film Ghost Dance in cui Jacques Derrida risponde alle domande piuttosto insulse di Pascale Ogier sui fantasmi. Questo eccesso di realismo molto forzato e a tratti poco chiaro non convince affatto e fraintende il bellissimo libretto del Cardinal Pamphili, ricco di raffinatezze, moralismo, filosofia, ma anche tanta ironia. Ecco che i tratti caratteristici di questo divertissement intellettuale tipico della cultura settecentesca (ma anche del secolo precedente) vengono irrimediabilmente sfigurati e tutta la ricchezza di questo testo impostato sul “gioco” dell’agone retorico, al contempo serio e divertito, profondo nei contenuti ma leggero nel modo di affrontarlo, risulta vanificata proprio perché costretta in un realismo che non gli appartiene e che rende tutto prosaico, banalizzato e monotematico; invece di stimolare una riflessione disincantata e rivolta all’universale, il libretto viene dirottato sul particolare, cioè proprio l’opposto di ciò che dovrebbe essere.
La direzione della Haïm è stata monotona, priva di sfumature e sostanzialmente meccanica. Peccato perché questo lavoro di Händel è di gran qualità e offrirebbe numerosi stimoli a un interprete fantasioso.
Il cast è stato complessivamente mediocre con una punta negativa costituita da Franco Fagioli, pessimo controtenore che interpretava il Piacere. Basti riferire che Fagioli imita chiaramente la Bartoli (pure con le facce), che la voce è disomogenea perché ogni nota ha una posizione differente, che nei gravi diventa comicamente grottesco (ma sembra compiacersene), che le agilità sono poco ordinate e, per finire, che canta in una lingua sua, incomprensibile a tutti, forse il misterioso esperanto.
Il Disinganno di Sara Mingardo spicca per misura, accento e intelligenza nel gestire i suoi mezzi attualmente limitati, ma la voce è ormai flebile e debole su tutta la gamma. D’altronde non è mai stata un vero contralto, ma, almeno, ha sempre svolto il suo lavoro con professionalità.
Michael Spyres dà voce al Tempo e ne esce bene in questo contesto: cerca di essere autorevole, padroneggia l’estensione e snocciola bene la coloratura (ma i trilli non ce li ha). Va detto, però, che c’è la tendenza a gonfiare i gravi e a risolvere gli acuti senza sfogarli correttamente perché la voce tende ad andare indietro e a rimpicciolirsi di molto. In questo repertorio, oggi in mano a vocine e vociuzze di ogni sorta, Spyres emerge senza troppi problemi nonostante la voce non sia né ampia né grande.
La star della serata è il nuovo astro francese della coloratura che pare essere pronto per il lancio internazionale: Sabine Devieilhe nel ruolo della Bellezza. La voce non è nulla di speciale, è molto piccola e piuttosto debole, non è illimitata sopra, sotto è fioca e sorda perché per natura molto leggera; c’è una certa correttezza nell’emissione, una buona dizione (ma l’accento è piuttosto generico) e il desiderio di essere un’attrice convincente sul modello della prima Dessay. I vocalizzi rapidi non la vedono sempre a suo agio (Un pensiero nemico di pace), i trilli sono deficitari, la coloratura (solo di grazia) non è sempre precisa. Si stenta a capire dove sarebbe il miracolo e viene il dubbio che in teatri più grandi e in altri repertori sia effettivamente udibile.