L’aria di Aminta il re pastore protagonista della serenata mozartiana è un’aria definita rondeau che è sempre stata eseguita da celebri prime donne. Nell’era del 78 giri ricordo tre esecuzioni quella della Melba, di Gabrielle Ritter Ciampi e di Ellen Beach Yaw. L’aria di scrittura centrale, salvo qualche attacco scoperto sui primissimi acuti o sulle note di passaggio, era prediletta per le esecuzioni concertistiche perché consentiva soprattutto alla cadenza (ne esiste anche una di Saint-Saens, eseguita dalla Melba) la gara fra la solista ed il violinista.
In epoca di rinascita mozartiana l’aria di Aminta è tornata in auge e spesso viene proposta in concerto. Per chi ritiene il confronto fra esecuzioni uno dei più sicuri modi di crescere e maturare come ascoltatore l’ascolto fra le esecuzioni dei soprani leggeri di un tempo e gli attuali insegna e spiega che i soprani leggi o lirico leggeri (categoria cui appartenevano le tre esecutrici a 78 giri sopra citate e la prescelta per il paragone) per essere cantanti degne di buona o grande carriera devono possedere saldezza, rotondità e morbidezza nella zona media della voce, perché ad onta dei sovracuti che possono rivelarsi l’asso pigliatutto per le colorature, il canto al centro consente espressione al cantante e riposo per la voce. Ricordo che celebri soprani leggeri come la Hempel furono anche celebrate interpreti di Marescialla. Questo sempre e solo in grazia di un controllo della voce al centro che galleggiava sul fiato ed era in grado di sostenere un orchestrale non certo esiguo.
Delle tre esecuzioni a 78 giri tralascio la Melba e mi soffermo sulla Ritter Ciampi ( 1886-1974) e su quella di Ellen Beach Yaw (1867-1948), quest’ultima allieva, come molte altre, fra cui la stessa Melba di Mathilde Marchesi. La cui scuola era famosa per “sfornare” soprani lirico leggeri dalla voce piena e sonora, cristillina e penetrante, quella che oggi, fra un vezzo ed un miagolio, esibisce Frau Gruberova.
Ebbene dalle due registrazioni ascoltiamo con riferimento alla Beach Yaw qualche fissità di suono, non particolarmente grata alle orecchie italiane ( è il limite di quasi tutte le allieve della Marchesi) , ma la cantante americana, che non mise mai piede in Italia sfoggia una dizione scolpita ed articolata anche in una aria di belcanto, un timbro chiaro, argentino, che rende l’idea di una voce che vola e si libra senza peso man mano che la scrittura sale ed impegna la voce in zona superiore e che è in grado di legare i suoni uno all’altro senza sforzo e senza che la linea musicale ne esca manomessa, che trilla con estrema facilità (trillo facile e granitico era un altro marchio di fabbrica della scuola della Marchesi) e che se deve scendere non ricorre a suoni intubati e artatamente oscurati. Eppure il timbro è senza alcuna svenevolezza quello chiaro e angelico del cosiddetto soprano leggero. Aggiungo che l’emissione immascherata, il sostegno del fiato che rende possibile la proiezione nella zona acuta della voce dà l’idea dello stesso tipo di suono anche in voci che cantavano ruoli drammatici o spinti. Basta ascoltare la Gadski o la Russ.
Quando poi ascoltiamo, in una registrazione di vent’anni successiva e quindi elettrica e di qualità ben più alta Gabrielle Ritter Ciampi abbiamo la prova che il soprano leggero o lirico leggero non solo debba essere esente da svenevolezze e bamboleggiamenti, ma anche da suoni ingorgati ed intubati e la voce debba sempre dare l’impressione di galleggiare sul fiato senza che nessuno dei suoni abbia parvenza di suoni di gola e spinto e forzato. Basta sentire come alla Ritter Ciampi bastino dizione e legato per rendere lo spirito della sezione centrale dell’aria e come la fiorettatura languida restituisca il clima arcadico del passo. Il confronto con l’esecuzione di Sonia Yoncheva che in questo giorni debutta Iris è significativo perché la giovane cantante che spazia come una giovane Callas o come certe colorature di primo ‘900 mostra una qualità del suono che è all’opposto di quella dei due precedenti esempi. Nel canto, per giunta di una pagina di sapore arcadico e scevra da ogni non dico realismo, ma naturalismo, abbiamo un peso della voce ed un ingrossamento non naturale (la Yoncheva in natura sarebbe un soprano lirico leggero e nulla più) che si ripercuote su flessibilità, morbidezza e rotondità del suono, che suona impastato con difficoltà di dizione e di linea musicale e con tensioni appena compaiano sol o la acuti o con suoni soffocati e sordi quando la scrittura porti la voce diciamo in zona primo e secondo rigo e spazio. Non solo all’ascoltatore attento non sfuggirà che ciò che nelle due cantanti del secolo scorso è cristallino e puro, nella Yoncheva, che si sforza di essere più di quello che è, suona sordo opaco e vetroso, quella che nel linguaggio gergale dei vecchi maestri di canto si diceva “la sabbia nella voce”. Oggi quando si sente cantare sembra di essere sulle sponde del Ticino da tanta sabbia si draga!!!
Caro Dom,
la tua ammirata considerazione per la Beach Yaw mi fa lo stesso effetto incredulo ed esilarante di quella del Mancini per la Torresella (fonte, ai bei tempi, di ripetuti scherzi tra lui e me). Stammi bene. L.