Beppe de Tomasi e Maria Luisa Cioni, mancati ultraottantenni nei giorni scorsi, collaborarono una volta e precisamente in occasione di Aureliano in Palmira, che l’Opera Giocosa allestì nel 1980 a Genova con la regia di de Tomasi e la presenza in alcune recite (a Savona al teatro Chiabrera, se non ricordo male) della Cioni. Credo anche che quelle furono le ultime apparizioni in scena del soprano toscano, che passava i 50 anni e vantava una più che trentennale carriera.
Altri motivi per accumunarli salvo lo spettacolo rossiniano ed alcuni “aneddoti”, che i melomani si tramandano, non ve ne sono. Apparentemente. L’anedottica su Beppe di Tomasi si sprecava a partire dall’allestimento delle astuzie femminili di Martina per il quale Celletti stanziò 6 milioni di lire (non aveva di più), che bastarono al Beppe; per arrivare a famose frasi tipo “la prima donna entra sempre dal centro come fa la Joan”; per tacere di altri autoironici e mordaci sulla sua melomania (“che fortunato tuo padre l’ha vista” scolion: “tuo padre è stato fortunato perchè ha potuto rendere omaggio alla salma di Maria Callas”) e su altro estraneo alla propria sfera professionale. L’aneddotica riferita a Maria Luisa Cioni riguarda soprattutto salvataggi all’ultimo di recite scaligere con arrivo del soprano toscano, direttamente prelevata dalla cucina di casa, a sirene spiegate in via Filodrammatici. Famosi i Puritani della Scala, dove fra generale e prima sparirono direttore e protagonisti, rimpiazzata la femminile (Mirella Freni) dalla Cioni, appunto. Ma i Puritani non furono il solo spettacolo salvato dalla Cioni perché ricordo una splendida Linda in sostituzione last minute con il solito cartello verde, della Rinaldi e così pure la Gilda di Rigoletto. La verità è che Maria Luisa Cioni possedeva la tecnica della vecchia scuola quella che ti fa cantare con il suono giusto, al posto giusto in ogni gamma della voce ed in ogni sonorità e per tutta la vita. Segreto di Pulcinella, ma ho il sospetto che la Cioni e poche altre cantanti tutte sopra o intorno ai 70 se lo porteranno nella tomba. Posso anche dire che alcune con carriere e nomee giustamente più mirabolanti di quelle di Maria Luisa Cioni, in alcuni momenti di “bassa” della carriera ricorsero alle lezioni ed alla pratica della cantante toscana.
Questi spiega due cose la possibilità di cantare sempre e la capacità di ampliare a dismisura il repertorio senza che ciò impedisse di praticare il repertorio pregresso e senza che ciò distruggesse in poche stagioni la voce. Ossia l’incontrario di quanto oggi vediamo e constatiamo con riferimento alla stragrande maggioranza dei cantanti, anche celeberrimi.
Questo ci dice che il mestiere del cantante ed anche del regista è, prima di tutto, artigianato. Concetto che era ben chiaro a De Tomasi che poche volte si prefisse, anche perché poche volte ne ebbe le possibilità, produzioni lussuose e ricercate, perseguendo sempre, magari con un po’ di semplicità e poca fantasia, ma tanta memoria di proprie ed altrui allestimenti, il servizio alla musica, la strumentalità dell’allestimento al dramma e soprattutto al musicista. Lo spettacolo operistico a scanso di equivoci da parte di chi non sa far altro che criticare questa pagine web non è solo questo. Talvolta, però, si ha solo questo e con questo si deve fare e servire autore, musica e dramma e molto spesso questo deve bastare e basta per evocare figure mitiche cui dedicate le opere e attrarre lo spettatore. Basta una gondola trainata dalle quinte, una bella donna vestita di velluto nero, che, scesa dalla gondola, si tolga il velo e mostri la propria bellezza e abbiamo davanti agli occhi Lucrezia Borgia. Montecarlo 2004 se non mi sbaglio. Altro non c’era.