Arthur Rubinstein (1975):
(da 01:31:37)
Mieczysław Horszowski (1990):
(da 01:10:42)
Piccole dita che baciai, che tenni
fra le mie, pensando ai derelitti
consolati di affanni e di delitti
dal gioco delle mani dodicenni:
o le tue mani, bimbo, se tu accenni
sui tasti muti, a pena! Ecco, e tragitti
un popolo di sazi e di sconfitti
alle rive del sogno alte e solenni.
E tu non sai! Il suono t’è un trastullo:
tu suoni e ridi sotto il cielo grigio
nostro piccolo gran consolatore!
E l’usignolo, come te, fanciullo,
canta ai poeti intenti al suo prodigio;
e non conosce le virtù canore.
Con queste parole, in una delle poesie de “La via del rifugio”, Guido Gozzano celebra il talento di un bambino prodigio, Mieczysław Horszowski (1892-1993), destinato a diventare uno dei maggiori e più longevi pianisti del Ventesimo secolo. Lo proponiamo, in questa puntata degli Ascolti comparati, accanto ad Arthur Rubinstein (1887-1982). La comparazione nasce dalle radici comuni (entrambi nacquero nell’odierna Polonia, Horszowski suddito degli Asburgo e Rubinstein degli Zar, da famiglie di origini ebraiche), dalla lunghezza sterminata della carriera (esordirono poco più che fanciulli e si ritirarono dalle scene in età avanzata) e, più ancora, dalla copiosa disponibilità di registrazioni “live” tardive, che ci rammentano quelle che sono le caratteristiche del grande pianista, anche e soprattutto nella vecchiaia, stagione della vita (e della carriera) in cui il motto “meglio rimpianti che compianti” dovrebbe essere un faro, almeno per gli artisti dotati in pari misura di talento e autocoscienza. Un valzer di Chopin (autore prediletto dai due pianisti, non solo in forza dell’origine geografica) permette di apprezzare, in primo luogo, la qualità del suono, elevatissima in entrambi, pur nelle differenze prodotte dal fraseggio, più disteso e cantabile in Horszowski, maggiormente incline a fremiti trattenuti e giochi di eco nel caso di Rubinstein, che peraltro sfoggia, nei passaggi più marcatamente virtuosistici (battute 32-48 e successive riproposizioni del tema), un’articolazione più precisa rispetto al collega e davvero impressionante anche in senso assoluto, e non solo in considerazione dell’età. Horszowski ottiene la sua “rivincita” nel passo in re bemolle maggiore (Più lento, battute 64-95), in cui il quasi centenario pianista asseconda la serena melanconia della musica con un’aderenza e insieme una sobrietà difficili da eguagliare. I pianisti colgono, della salottiera e insidiosamente semplice pagina, aspetti differenti, apparentemente inconciliabili, ma coesistenti nell’opera di un compositore che stenta ad emergere in tutta la sua grandezza, qualora lo si consideri, come spesso avviene, mero pretesto per sfoggi virtuosistici improntati a un freddo meccanicismo. Al tempo stesso, la solidità tecnica di entrambi gli esecutori li preserva (Rubinstein, come già osservato, in misura maggiore) dal rischio di evocare non già aridi esercizi di dattilografia, bensì i claudicanti fuochi fatui di esecutori, dal passato anche illustre, che si ostinano a riproporre in pubblico, in una sorta di tardivo divertissement, i resti del proprio mestiere.
Sono molto interessanti questi ascolti / confronti dal repertorio strumentale / sinfonico!
Io trovo meravigliose, all’interno dei due concerti che avete postato, le due esecuzioni delle sonate di Beethoven. In particolare la bellissima Op.10 no.2 di Horszowski. E’ una delle mie esecuzioni preferite per come riesce ad azzeccare l’atmosfera della sonata (certamente questo deriva da un perfetto controllo tecnico). Dovrò ascoltare nel futuro tutte le esecuzioni beethoveniane di Horszowski… voi del corriere mi fate perdere troppo tempo :):)