Violette romane

ZeaniDomani sera a Roma è prevista una nuova produzione di Traviata. Secondo l’ormai tanto consolidato quanto perverso costume, che governa il mondo dell’opera si sta già parlando della regia della Coppola junior e non di cantanti oppure, come in questo caso fonte di curiosità ed interesse, della bacchetta.
Uno dei compiti che sentiamo nostro, oggi più di nove anni or sono quando esordì il Corriere, è quello di provare a rimettere la cose al loro posto secondo una consolidata perché ovvia e giusta scala di valori e quindi parlare di cantanti.
La vicenda delle Violette romane dall’inizio del secolo (scorso!) è la vicenda di una serie di monopoliste del ruolo che rispondono a nomi illustri della storia del canto ed esemplari nell’esecuzione e nell’interpretazione del ruolo quali: Rosina Storchio (1912, 1916, 1918), Claudia Muzio (1918,1929,1935 quest’ultima descrittami da Rodolfo Celletti), Maria Caniglia (1939, 1941,1943,1945), Virginia Zeani (dal 1954 al 1972 per ben undici edizioni). Un poco distanziate per quantità dall’Olivero (1956 e 1957) ed Onelia Fineschi. Episodiche le presenze di due Violette fra loro contrapposte ossia la Tebaldi (1948) e la Callas (1953), quest’ultima non certo salutata dalla critica e dal pubblico come una Violetta esemplare ed indiscutibile. Confesso che trovo molto strana la circostanza perché nel 1953 eravamo dinnanzi ad una cantante vocalmente al meglio e nel contempo già considerata dalla critica e dal pubblico insuperata protagonista del ruolo.
Delle prime due Violette che ho citato resta pochissimo a documentare un’interpretazione molto apprezzata per la Storchio
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(oltre tutto una delle pochissime cantanti di scuola italiana a cavallo fra Ottocento e Novecento di una fonazione esemplare, di misura nell’interpretazione e capace di eseguire con proprietà passi di agilità e di vastissime risorse coloristiche) ed addirittura considerata storica per quanto riguarda la Muzio documentata dal fonografo all’inizio di carriera con l’Amami Alfredo
Immagine anteprima YouTube che rivela in una debuttante o poco più una completezza di preparazione oggi sconosciute alle cantanti in carriera da decenni ed alla fine con l’arioso del terzo atto
Immagine anteprima YouTube. Poesia pura è stato definito l’addio del passato della Muzio, che non più fresca, accorciata nei fiati è insuperabile per la varietà di accenti, la dizione scolpita, la capacità di trarre partito dai difetti come, appunto, i fiati accorciati.
Circa la Traviata della Caniglia di cui sopravvive una recita completa del 1939 in altra occasione si sono scatenati tuoni e lampi circa presunti difetti di intonazione e di gusto della cantante. Inutile cercare agilità impeccabili nella Caniglia, ma la voce sontuosa ed ampia che dava il meglio di sé dal secondo atto in poi è di tutta evidenza. Quando si dispone di voci del calibro della Caniglia se al primo atto i patteggiamenti sono di dovere al secondo nel duetto con Germont e soprattutto all’entrata di Violetta alla festa di Flora piuttosto che alla fine dell’atto si possono avere esiti ragguardevoli. Sotto questo profilo la Traviata di Maria Caniglia con le tare del gusto e della tecnica offre un modello di come intendere il personaggio della cortigiana che pure è capace di vero amore.
StorchioParlare delle Traviate romane è l’occasione per ripensare a quella di Virginia Zeani ed all’epoca della cantante rumena, ma di fatto italiana per qualità della voce e doti di accento (non dimentichiamo che alla lezione tecnica di Lydia Lypkowska, Violetta a Roma nel 1913 si aggiunse il rapporto con Pertile). Compresso nella querelle mediatica fra Callas e Tebaldi in Italia ed anche all’estero il day by day della lirica, che allora era e restava uno spettacolo popolare, era affidato ad un gruppo di cantanti di cui oggi sentiamo, più che allora, l’importanza e la rilevanza, si chiamassero Stella, Cerquetti, Tucci, Carteri ed anche Barbato o Mancini per restare alla serie A alta e media classifica.
La Zeani, Violetta per 648 volte, stando ai cronacisti della lirica, dimostra come al soprano lirico d’agilità il personaggio si adatti a meraviglia perché consente di superare le difficoltà di scrittura del primo atto e di non patire l’orchestrale e la tensione drammatica nei successivi.
Poi possiamo anche eccepire che in prima ottava, talvolta, la voce della Zeani suonasse un poco aperta o indulgesse a qualche suono un po’ aperto e sbiancato, ma lo splendore vocale dell’ottava superiore, la morbidezza e la sicurezza dell’emissione in quella zona della voce, la dizione sempre scolpita, mai esagerata od esagitata, il fraseggio se non esemplare ed irripetibile (alla Olivero per intenderci) rendono una grandissima Violetta. E poi in scena c’erano gli occhi e lo sguardo magnetico di una donna davvero bella e dallo spontaneo portamento scenico indispensabile per la prostituta di alto rango.

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14 pensieri su “Violette romane

  1. Donzelli, ma non capisci? È il futuro dell’opera italiana, un’ IDEONA!!!!! Basta con le regie introspettive – madonna, me fanno veni’ i crampi ar cervelletto, nun me ce fa’ pensa’, volemo li Belli Costumi, bel-li co-stu-mi bel-li co-stu-mi!!! 😀

  2. Scommetto che ci sarà qualcuno che dirà: ecco voi “tradizionalisti” non siete mai contenti. Le Violette in cucina con Alfredo che fa la pizza non vi soddisfano, e non vi soddisfano neppure le Violette extralusso vestite haute couture. Eppure, non è mica tanto difficile capire che basterebbe rappresentare la Traviata ( o qualunque altra opera), così come è stata scritta, nell’ambiente e nell’epoca decisi dagli autori. Non è “strafacendo” che si serve l’Opera. Almeno, nel mio piccolo io la penso così.

    • Non sono d’accordo (vedi splendide regie di Visconti, Strehler e Ponnelle che non erano ambientate nei luoghi e nei descritti dai libretti), ma ovviamente liberissima di pensarlo. Nel caso romano, tuttavia, il problema mi pare il vuoto spinto in salsa glamour dell’operazione: personalmente ritengo la Sofia Coppola una pessima regista cinematografica (e definirla regista già mi pare troppo), non so cosa potrà combinare in un repertorio che per linguaggio, tecnica e soluzioni è l’opposto del cinema…

  3. Approfitto dello spazio commenti per una comunicazione di servizio,da qualche giorno la cbox del foyer e scaduta…. a Marina…. Alfredo alla Scala pelava patate non faceva la pizza forse la prossima volta gli faranno fare i dolci ah ah

  4. In realtà secondo il libretto Alfredo dovrebbe tornare dalla caccia, con tanto di abito da caccia e fucile, che depone per cantare “De’ miei bollenti spiriti”.
    Se ben ricordo quanto avevo letto temporibus illis, ai tempi della famosa traviata scaligera del 54-55 il buon Pippo Di Stefano si arrabbiò con Visconti perchè quest’ultimo lo voleva fare entrare in scena in abito da caccia. Forse fu questa una delle ragioni per cui il grande Pippo nazionale abbandonò la produzione dopo la prima recita?
    Oh tempi felici in cui i cantanti litigavano con i registi perchè i registi pretendevano il rispetto della volontà dell’autore e non il contrario!
    Quanto all’Alfredo cacciatore (e la cosa di spiega, perchè a gennaio, mese in cui è ambientato il secondo atto dell’opera, la stagione venatoria è al suo pieno) chi mai oggi – anche fra i pochi registri tradizionalisti rimasti – avrebbe il coraggio di metterlo in scena? Infatti rischierebbe sicuramente di apparire poco politicamente corretto e si vedrebbe contro le associazioni ambientaliste e tutti quelli che del politically correct hanno fatto la loro bandiera (con cui potrebbero pulirsi…… il naso!) mentre nulla a loro cale dello stato fatiscente del nostro melodramma, in cui troppo spesso, rispetto anche a pochi anni fa, ci si imbatti in pessimi cantnti, in pessimi direttori ed in pessimi registri e scenografi. Però guai a fischiare ed a buare, perchè non sta bene e non è politicamente corretto!
    PS io sono, di natura, profondamente politically scorrect (lo so benissimo che si dice incorrect, ma proprio per quello dico scorrect!) ed è anche per questo che mi piace tanto questo sito, mentr invece certi articoli di certi critici o certi libri di certi critici (che in gran parte coincidono con quelli degli articoli di cui supra) mi provocano solo disgusto ed altro.

  5. Non ho la vostra competenza nel giudicare le voci, l’unico metro di giudizio che ho è il mio orecchio, ma ieri sera, ascoltando La Traviata trasmessa da radio 3, l’impressione che ho avuto è che nel primo atto la soprano avesse paura. Poi si è rilassata, il terzo atto mi è piaciuto. Francesca Dotto è stata preceduta da giudizi molto positivi, a me eccezionale non mi è sembrata, a volte strillava in modo stridulo. Il tenore, insomma: la voce è bella ma non sempre era ben controllata. Del baritono non saprei dire, l’ho visto a teatro nel Trittico un mese fa: è una voce che non mi suscita nulla.
    Domenica vado a vedere lo spettacolo a teatro, ma ci sarà il secondo cast.

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