Quella di ieri sera è per tutti o quasi la Traviata di Valentino. Garavani, aggiungo. Per quelli della Grisi era e resta quella di Verdi diretta -in pratica bene- da Jader Bignamini e pessimamente cantata. Questa è una premessa doverosa ed essenziale per riportare le cose nel loro giusto alveo, dal quale la cronaca di questa edizione romana testimonia una notevole ed incongrua virata. Ad un direttore artistico (Alessio Vlad, per completezza) che assume che l’opera deve aprirsi ad altri generi quale il cinema o la moda ( panzana peraltro trita e ritrita ) ci permettiamo di ricordare come fotogrammi di Senso e fotografie della Traviata di Visconti ritraggano Violetta (ovvero la Callas) nelle medesime pose dell’innamorata e duplice traditrice contessa Serpieri (ovvero Alida Valli). E chi vide quella Traviata racconta che Visconti insegnò alla Callas quelle stesse pose che nel film erano della Valli. Oppure dobbiamo ricordare che dalle prime esperienze del Maggio Musicale sino almeno agli anni ‘60 i più importanti pittori italiani furono reclutati quali scenografi e poi possiamo anche ricordare i costumi di Versace per la Leggenda di Giuseppe alla Scala, negli anni ’80 e che o non li conosce il d.a. dell’Opera di Roma o li ha dimenticati. Delle due quale sia non importa, ma importa, e soprattutto rattrista, che chi dovrebbe programmare la cultura sia tanto disinformato o, peggio, ignorante.
E con questo torniamo, nell’attesa che qualche amico fidato e romano vada allo spettacolo e riferisca della parte visiva del medesimo, affidata alla sartoria Valentino (un tempo c’era il grande Caramba!) alla musica. La protagonista Francesca Dotto è stata pessima senza se e senza ma, voce dura, stridula ed ingolata, poche intenzioni interpretative, un attacco del finale secondo “Alfredo Alfredo” con voce e timbro raccapriccianti da principiante che, presentandosi ad un concorso, deve essere cacciata con invito a cercarsi altra attività professionale. Non ci sono per questa prova appello e scusanti e dobbiamo dire che una lettera peggio letta o detta che sia non l’abbiamo sentita neppure da Joan Sutherland, con il suo accento da “romantica donna inglese”. In questo, lo dico, doveva intervenire la moderazione o meglio il diktat del direttore. Regia vocale, qui latitante, da parte del direttore. Gli altri interpreti sono stati a mala pena sufficienti, perché la salita a suoni superiori al fa acuto (ovvero coincidenti con il termine dell’operazione del passaggio di registro) da parte del tenore Antonio Poli dà luogo a suoni rochi, duri e forzati. Il “Croce e delizia” è solo croce e la scena della borsa urlata (anzi sbragiata, per usare un pregnante termine meneghino) senza alcun rispetto della grammatica vocale e per conseguenza dell’interpretazione. Il padre Germont, Roberto Frontali, un po’ meglio del figlio perché talune notazioni vocali ed interpretative non comuni in quanto ottenute con smorzature e rallentando (duetto con Violetta e aria di Germont) vanno segnalate in un’epoca di piattume e vociferazione.
Rimane poi la direzione d’orchestra sulla quale eravamo curiosi perché Bignamini con Chenier, Butterfly e Tosca ha dato prova di essere un ottimo direttore. L’orchestra dell’opera di Roma non è quella di Santa Cecilia, eppure sotto la guida del maestro lombardo è stata precisa negli attacchi, mai prevaricante del canto, abbastanza morbida e rotonda nel suono e spumeggiante in tutte le scene di festa dell’opera. E questo è un considerevole risultato cui aggiungere alcuni inserti davvero notevoli come la scena interna della danza, che precede il duetto d’amore all’atto primo e, come sempre accade ai direttori di una certa qualità, la festa di Flora, nevrotica al punto giusto, con i tradizionali rallentando delle invocazioni di Violetta, qui scempiate dalla Dotto.
Nevrotica, nervosa, movimentata, generalmente veloce nello stacco dei tempi (come la tradizione dei Toscanini, Panizza, Serafin ha sempre privilegiato) ma quasi mai se non la chiusa della scena della borsa rumorosa e questo è un ulteriore pregio. E lo è maggiormente con i tempi che corrono perché abbiamo assistito recentemente al travisamento di Lucia ad opera di un direttore ben più famoso a livello internazionale come Noseda e mi taccio degli svarioni di altre bacchette patrie che vengono spacciati per esempi per poi scivolare su titoli verdiani non certo problematici come Traviata. Problematici significa anche inflazionati nell’esecuzione e consolidati nelle scelte dinamiche ed agogiche. E Traviata di queste due qualità ne è il paradigma. Cavarsela e bene con la zeppa del cast romano è impresa non da poco!
6 pensieri su “Traviata a Roma: quella di Valentino? no di Verdi !”
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E che oltre alla Leggenda di Giuseppe Versace alla Scala fece anche i costumi di Salomè (Caballè) nel 1986 e che nel 1982 per Lucia (con Pavarotti e Serra) c’erano i Missoni che reinventarono con la loro fantasia i tartan scozzesi. Anche questo evidentemente non lo sanno a Roma
Sinceramente almeno all’ascolto alla radio una stroncatura così severa sulla Dotto mi sembra troppo severa,di certo nel panorama attuale c’è di peggio,la lettura della lettera è stata veramente brutta,possibile che nessuno sia intervenuto nelle prove ? Il baritono insieme al direttore sono stati i migliori,visto che si è parlato anche di Noseda e della sua Lucia ,ho rinunciato ad andarla a vedere ,una direzione così brutta non l’ho mai sentita ,tanto la Pratt l’ho già ascoltata altre volte e in questo caso non valeva la pena….
Io ero in sala e – pur non essendo particolarmente esperto – devo dire che purtroppo la stroncatura ci sta tutta! Questa Violetta ha davvero guastato una grande occasione come avrebbe dovuto essere questa rappresentazione della Traviata.
Ho assistito a questa Traviata con il primo cast.
Devo dire che lo spettacolo è, nel complesso, molto godibile. Belle le scene, splendidi i costumi, “standard” la regia. Piccolo tocco di novità alla fine del 2° atto quando gli invitati a casa di Flora escono sulla terrazza che si vede sullo sfondo, con tanto di fuochi d’artifico che si levano alti nel cielo (mentre Alfredo e Violetta discutono animatamente in primo piano). Bella anche l’idea di far ballare gli ospiti di Violetta (atto I) in una stanza contigua dietro le porte a vetri.
Francesca Dotto suona meglio dal vivo che alla radio e migliora decisamente nel corso degli atti (il terzo è il più adatto per il suo tipo di vocalità). Poli ha voce giovane e fresca anche se, purtroppo, emessa con sforzo. Qualche anno di studio in più non gli avrebbe fatto male per imparare a gestire una natura tutto sommato generosa. Frontali si è dimostrato un solido professionista.
Il problema, secondo me, è sempre il solito: si tende a “sovraccaricare” gli ambienti: se nell’atto I Violetta è una ricca mantenuta (ricca sì ma pur sempre mantenuta, quindi ci si aspetta che viva in un appartamento molto bello ma sicuramente non con dei saloni da palazzo reale), nell’atto III, vive in assoluta povertà. In scena troneggiava invece un letto, neppure fosse quello del Re Sole… Un’ambientazione, quindi, eccessivamente lussuosa. A mio avviso, altri registi (come ad es. Carsen) hanno colto meglio lo spirito dell’atto finale.
Buona la direzione di Bignamini, direi quasi filologica visto che è stato cantato anche il famoso “E’ spenta” finale. Peccato per il taglio del da capo delle cabalette dei Germont (padre e figlio) dell’atto II e, soprattutto, del da capo dell’aria “Ah forse è lui” dell’atto I – francamente non me l’aspettavo. In ogni caso, Bignamini è stato molto bravo a controllare l’orchestra, evitando che coprisse le voci (cosa non così scontata oggigiorno).
Il secondo cast prevede Maria Grazia Schiavo, Chacon Cruz e Meoni. Il commento sentito alla fine della recita, che condivido, e’ stato “molto bello, peccato il tenore”. Ha cantato in modo francamente sgangherato, riuscendo a rovinare tutti i duetti. La Schiavo invece è’ stata molto brava, una voce morbida, calda e sicura, ha agguantato il pubblico al primo atto e non l’ha mollato più’ fino alla fine. Anche Meoni e’ stato apprezzato. Che ci fosse una regia nessuno credo l’ha notato. E a me tutto sommato non è’ dispiaciuto. Potersi concentrare solo sulla musica e non sul cercare di decodificare l’interpretazione del regista, tutto sommato non è’ male. L’impatto visivo molto raffinato, scenografia, costumi, colori. L’unico scopo dell’incongruo scalone del primo atto e’ concedere una passerella al meraviglioso abito di Violetta, nero con una lunghissima coda di pizzo verde acqua, che, illuminata nel buio completo della scena all’apertura del sipario, sembra un ruscello che lentamente scorre verso il palcoscenico. Penso che sia sbagliato polemizzare con “la Traviata di Valentino” perché ha portato solo vantaggi all’opera, e non forzature. Mi sembra ci sia stato un grande rispetto. Grande visibilità’ internazionale per un teatro considerato finora in sostanza provinciale, e grandi incassi. Le recite sono già’ tutte esaurite, tanto che già’ e’ stata comunicata una ripresa per l’anno prossimo. Direi un bilancio positivo.
Sentita è vista ieri sera: concordo quasi su tutto. Il “quasi” é dato soprattutto dal fatto che l regia c’era eccome, una regia fatta di lavoro con gli interpreti e grande attenzione alla narrazione. Si sente anche che Sofia é nipote di musicisti: c’era una ricerca quasi maniacale di far cantare in posizioni comode e che facessero correre l voce. Il lettone del finale sarà stato anche eccessivo, ma nel vuoto assoluto della scena dava proprio l’idea della povertà: era l’ultimo avanzo della vita di Violetta. Insomma, abbiamo assistito a una Traviata in cui tutti, a cominciare da Valentino (oltre al vestito spettacolare del primo atto, è stata memorabile l’entrata di Violetta alla festa da Flora con un vestito rosso Valentino, colore riservato a lei sola), si sono messi al servizio di Verdi, della Musica e dello spettacolo. Una sola cosa non ho capito: perchè riservare alla sola prima un altro (e ben inferiore) cast?